
Il telefono squillò.
L’uomo aprì gli occhi lentamente e in un primo momento faticò a riconoscere la stanza in cui si trovava.
Il trillo, intanto, era sempre più insistente. Da lontano e sommesso era diventato forte e chiaro, come un punteruolo che si incuneava nel suo cervello.
«Pronto», balbettò con la bocca impastata che sapeva ancora di alcol.
«Signor Cassini, è la reception», rispose una voce educata in un italiano perfetto.
Lo specchio barocco contornato in oro, la tappezzeria rossa e beige, il soffitto alto sei metri: adesso tutto cominciava ad apparire più familiare. Era nella suite Imperiale dell’hotel Ritz. Stava sdraiato nello stesso letto a baldacchino che la sera precedente aveva diviso con… la ragazza dallo strano braccialetto… come aveva detto di chiamarsi?
«Professore, ci aveva dato disposizioni precise», continuò la voce dall’altro capo del telefono. «Ci aveva chiesto di svegliarla alle 9 in punto».
Manuel Cassini si mise seduto sul letto. Con i piedi nudi sfiorò appena il tappeto. «Grazie», sussurrò con un filo di voce. In quel momento, la testa gli girava come se si fosse scolato un’intera cassa di Dom Pérignon. Almeno era quello che pensava, visto che non aveva l’abitudine di bere molto e non ricordava di essersi mai sentito tanto spossato…