Ruggiero prende la via per la città di Arles. Bradamante e Marfisa raggiungono insieme l’accampamento cristiano e ricevono un’accoglienza festosa.
Re Carlo le accoglie personalmente e, per la prima volta in tutta la sua vita, Marfisa si inginocchia, tanto è il rispetto, tanta la reverenza che nutre nei confronti di Carlo Magno.
Marfisa confessa al re cristiano di essere giunta in Francia solo per muovergli guerra, spinta dall’invidia, dal non volere accettare che un re di religione opposta alla sua potesse avere tanto potere.
Racconta di essere figlia di Ruggiero II (e quindi parente dello stesso re Carlo), ucciso a causa del tradimento dello zio. Morta anche la madre (a causa degli zii di Agramante), era stata allevata dal mago Atlante fino all’età di sette anni. Un gruppo di arabi l’aveva però rapita ed era stata poi venduta come schiava ad un re persiano, da lei ucciso.
Ad appena diciotto anni aveva già conquistato numerosi regni. Decise quindi, spinta dall’invidia, di raggiungere l’Europa per combattere contro l’esercito di Carlo Magno.
L’aver conosciuto le proprie origini le aveva ora spento il furore verso i cristiani, ed acceso un profondo odio verso re Agramante. Marfisa dice anche di voler essere parente e serva di re Carlo, così come in passato lo era stato suo padre. Dice infine di volersi convertire al cristianesimo e di voler poi tornare nelle proprie terre, una volta morto re Agramante, per convertire al cristianesimo anche i suoi sudditi e combattere contro i pagani.
Re Carlo accetta di avere Marfisa non solo come parente ma anche come figlia. Il giorno dopo viene allestita una ricca cerimonia e la donna viene battezzata, con il re che le fa da padrino.
Tornando a parlare di Astolfo, il cavaliere, presa con sé l’ampolla contenente il senno di Orlando, riceve dall’evangelista Giovanni anche un’erba in grado di ridare la vista a Senapo, re d’Etiopia, e le indicazioni per riuscire ad attraversare senza danni il deserto ed assalire Biserta, capitale del regno di Agramante, con il supporto degli uomini di Senapo stesso.
Il paladino raggiunge quindi in sella all’ippogrifo l’Etiopia, ridona la vista al re e fa organizzare l’esercito per muovere guerra contro i pagani. La notte prima della partenza Astolfo raggiunge la caverna dalla quale ha origine il vento australe, che genera le tempeste di sabbia nel deserto, e pone al suo imbocco un otre vuoto. Il giorno dopo il vento si sveglia, come è solito fare, esce furioso dalla caverna e rimane così intrappolato.
Il cavaliere conduce l’esercito di Etiopia attraverso il deserto senza alcun problema. Giunti presso un colle, Astolfo mette i guerrieri più fidati alla sua base e ne raggiunge in volo la cima. Seguendo le indicazioni ricevute in paradiso, invoca l’evangelista Giovanni ed inizia a buttare dalla cima del colle dei sassi che, per miracolo, si trasformano in cavalli durante la caduta.
Ogni fante diviene un cavaliere e l’esercito inizia a fare scorrerie per tutta l’Africa. I re messi da Agramante a guardia del suo regno, tra i quali Branzardo, si muovono contro i cristiani, prima però mandano una nave in Francia per informare il loro signore degli avvenimenti.
In Francia, ricevuto il messaggio dall’Africa, Agramante chiama a consiglio i re ed i principi pagani. Il re dice di aver sbagliato a lasciare incustodite le proprie terre, ma di non aver mai comunque ritenuto possibile che il popolo di Etiopia, così distante e separato da loro da un deserto tanto pericoloso, potesse giungere nelle sue terre ad arrecare loro danno. Chiede quindi consiglio a re Marsilio su come comportarsi.
Il re di Spagna consiglia ad Agramante di non dare troppo peso alla notizia ricevuta. Dice che probabilmente era stata ingigantita eccessivamente per giustificare una sconfitta di ben minore entità, soprattutto considerando che il fatto appariva in sé troppo inverosimile.
Marsilio consiglia infine al re pagano di mandare in Africa solo poche sue navi, basterà la vista della sua bandiera per mettere in fuga gli oppressori, e di non abbandonare quindi l’impresa in Francia, così da non subire un grosso danno e perdere il proprio onore. Il re spagnolo spinge quindi affinché Agramante non abbandoni l’Europa, ma ci rimanga per sconfiggere Carlo Magno.
Re Sobrino capisce che le parole di Marsilio sono dettate più che altro dall’interesse personale, e prende quindi subito parola.
Ricorda al re saraceno di avergli in passato consigliato di stare in pace, era stato allora chiamato codardo, ma ora si trova ancora al suo fianco. Altri, come Rodomonte, avevano spinto per muovere guerra ai cristiani, ed ora si tengono lontani dall’azione. Sobrino esorta Agramante a tornare in Africa. Non basta l’assenza di Orlando a fare sperare in una loro vittoria, dal momento che molti di loro sono comunque stati uccisi anche in assenza del paladino, ed ora quella guerra rischia di portarli all’estinzione.
I più valorosi guerrieri saraceni non ci sono più e non è previsto l’arrivo di altri rinforzi, mentre re Carlo ne ha adesso dalla sua parte molti di più. L’esercito rimasto serve per proteggere la loro patria, chiede quindi a re Agramante di cambiare i suoi piani e di fare pace con re Carlo. Se però pensa che sia un disonore l’essere il primo a chiedere la pace e voglia proseguire nella battaglia, almeno faccia in modo di uscirne vincitore: proponga a re Carlo di decidere la sorte di tutta la guerra con il combattimento di soli due cavalieri. Propone di mettere il destino di tutti i pagani nelle mani di Ruggiero.
Re Agramante viene convinto dalle parole di Sobrino e quello stesso giorno vengono mandati dei messaggeri da re Carlo, che subito accetta il patto sapendo di poter confidare nel valore di Rinaldo. Il paladino è onorato di essere stato scelto per l’impresa. Anche Ruggiero è onorato, ma allo stesso tempo si duole profondamente sapendo che lo sfidante è il fratello della sua amata.
Bradamante è disperata, capisce che qualunque possa essere l’esito di quel duello, lei non potrà che averne un danno. La maga Melissa ascolta le sue lacrime e le promette di darle tutto il suo aiuto per fare interrompere quel duello.
I cavalieri dovranno combattere a piedi ed armati solo di un ascia e di un pugnale. Rinaldo conosce il potere della spada Balisarda di Ruggiero, che annulla qualunque incantesimo, e preferisce pertanto non averne a che fare.
Il giorno fissato per il combattimento entrambi gli eserciti escono dai loro accampamenti e si schierano l’uno di fronte all’altro. Vengono eretti due altari e su di essi prima re Carlo e poi Agramante promettono sulle proprie scritture sacre di rispettare il patto: chi perde dovrà pagare un tributo in oro ogni anno al vincitore e non dovrà mai più muovergli guerra. Entrambi i cavalieri giurano quindi di abbandonare la loro schiera e di servire l’esercito avversario, se qualcuno dei loro dovesse intervenire nel combattimento.
Inizia quindi il combattimento. Ruggiero, indeciso sul da farsi, è più impegnato a difendersi che ad attaccare.
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