Deciso ad ottenere l’allontanamento di padre Cristoforo per aiutare il nipote, il conte zio organizza un banchetto per il padre provinciale, al quale vengono invitati anche alcuni suoi parenti e sottoposti, con l’obiettivo di esaltare il suo prestigio e la sua autorità. Durante il pranzo, il conte zio porta la conversazione sul suo soggiorno madrileno presso la corte del conte duca Filippo IV, e sui privilegi goduti in quell’occasione; il padre, per controbilanciare bonariamente l’autoelogio del padrone di casa, parla allora della curia romana e del prestigio dei cappuccini.
Terminato il banchetto i due uomini si trovano faccia a faccia. Il conte zio sottolinea da subito la vontà di voler trovare presto un accordo, ed inizia quindi ad elencare i demeriti di padre Cristoforo in modo da preparare il terreno alla sua richiesta finale. Il politico denuncia prima l’appoggio dato dal cappuccino a Lorenzo Tramaglino, uno dei presunti capi dei recenti tumulti, ricordando anche il passato burrascoso del religioso. Visto però che il padre provinciale non si scompone e dice solo di volersi accertare dei fatti reali, il conte zio tira infine in ballo il conflitto tra Cristoforo e suo nipote Don Rodrigo, mettendo la questione sul piano dell’onore della potente famiglia e facendo velate minacce su possibili conseguenze di quella disputa, se non spenta subito. L’uomo termina quindi il proprio discorso chiedendo apertamente al padre provinciale di trasferire altrove padre Cristoforo. Il religioso, che aveva già capito dove il padrone di casa volesse arrivare, dopo inutili tentativi di difesa si mostra infine disposto ad acconsentire al trasferimento, dicendo di aver giusto giusto ricevuto da Rimini la richiesta di un predicatore. Il padre provinciale richiede in cambio del favore una prova chiara dell’amicizia di Don Rodrigo per l’ordine dei cappuccini, così, dice, da spegnere ogni possibile maldicenza. L’affare è stato concluso.
Alcuni giorni dopo, di sera, arriva al convento di Pescarenico un cappuccino di Milano e consegna al frate guardiano l’ordine per padre Cristoforo di recarsi a Rimini. Il religioso parte quindi subito la mattina dopo, accompagnato da un altro cappuccino.
Nel frattempo Don Rodrigo è ormai deciso a chiedere l’intervento di un uomo terribile, l’Innominato (Francesco Bernardino Visconti). Tale personaggio aveva vissuto tutta la sua vita spinto dall’innato desiderio di fare tutto ciò che è vietato dalle leggi, di decidere la sorte delle altre persone ed essere temuto da tutti. Superiore per seguito e per ricchezza alla maggior parte degli altri tiranni, divenne ben presto superiore ad ognuno di loro, costringendoli in pratica alla sottomissione. Costretto da un bando ad abbandonare lo stato, tornò in seguito a vivere presso il confine con il territorio bergamasco e fissò il suo quartier generale in un palazzo inespugnabile, posto in un luogo impervio.
Il palazzotto di Don Rodrigo dista circa sette miglia da quello dell’Innominato ed il signorotto di paese non potè quindi fare a meno, all’inizio della sua attività di tiranno, di offrire i suoi servizi al più potente padrone. Questa relazione viene però sempre tenuta il più possibile segreta da Don Rodrigo, così da evitare che possa compromettere l’amicizia con altri personaggi pubblici, come il podestà e lo stesso conte zio.
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