Come temuto, i soldati imperiali, i Lanzichenecchi, portarono la peste nel territorio milanese, ed in poco tempo una buona parte dell’Italia ne fu infetta. Furono molti gli errori umani che contribuirono all’espansione incontrollata della malattia.
L’esercito aveva disseminato di morti i territori attraverso i quali era passato. In breve diverse persone si ammalarono e morirono di mali violenti, sconosciuti alla maggior parte delle persone; erano infatti pochi a ricordarsi ancora della peste di San Carlo (chiamata con il nome del santo a testimoniare la grande carità mostrata dal religioso in quell’occasione). Il tribunale della sanità mandò due diverse commissioni ad indagare sui casi sospetti che iniziarono a verificarsi nella provincia: la prima diede parere negativo, la seconda commissione confermò invece i sospetti e il tribunale chiese il 30 di Ottobre l’isolamento della città di Milano per evitare il contagio. Il nuovo governatore, Ambrogio Spinola, succeduto a Don Gonzalo, non solo trascurò la richiesta, occupato dai pensieri della guerra, ma ordinò anche pubbliche feste per la nascita del primogenito del re Filippo VI. A sorprendere maggiormente è però il fatto che la stessa popolazione di Milano trascurò le notizie provenienti dai paesi limitrofi: le morti venivano attribuite a cause di ogni tipo, ma guai a nominare la peste.
La grida che doveva eseguire l’isolamento della città venne pubblicata solo il 29 di Novembre: la peste era ormai già entrata in città attraverso un soldato italiano al servizio della Spagna, giunto a Milano con vestiti rubati o comprati da soldati nemici. In breve tempo morì il militare e morirono le persone che erano venute in contatto con lui. Vennero date indicazioni perché tutti gli oggetti contaminati venissero bruciati o isolati, ma le leggi non furono efficaci e comparvero focolai in ogni parte della città. I casi erano però ancora isolati ed i decessi continuarono ad essere attribuiti ad altre cause. Una volta accertato un caso di peste, il tribunale della sanità faceva bruciare oggetti, sequestrare la casa e mandare l’intera famiglia al Lazzaretto. Non fu quindi difficile suscitare l’odio del popolo e trovare ostacoli al proprio operato. I medici vennero accusati di voler speculare sul pubblico spavento e non furono rari i casi di aggressione.
Sul finire del mese di Marzo le morti iniziarono a diventare frequenti e fu difficile nascondere la verità. Per non dover ammettere la propria ignoranza ed i propri errori, non si parlò però ancora di peste ma di febbre pestilenziale. I magistrati iniziarono comunque a dare maggior ascolto alle richieste della sanità. La popolazione del Lazzaretto crebbe di giorno in giorno nonostante le numerose morti giornaliere, e la sua gestione iniziò ad essere difficoltosa; venne così deciso di affidarne il governo ai frati cappuccini, che si distinsero ancora un volta per il loro senso di carità e sacrificio. Anche tra il popolo iniziò a vacillare il voler negare a tutti i costi l’esistenza della peste, ma la reale causa del contagio non venne comunque accettata: per la gente l’origine del male erano veleni contagiosi, operazioni diaboliche e malefici. A contribuire al pensiero comune fu uno scherzo sciocco portato a termine da sconosciuti: in ogni parte della città comparvero improvvisamente macchie di sudiciume giallognole e biancastre. Scoppiò il panico, ogni persona sospetta era un possibile untore.
Nonostante le continue morti, non tutti erano ancora persuasi che si trattasse effettivamente di peste. Per togliere ogni dubbio, per convincere il popolo, spaventarlo e farsi dare ascolto, il tribunale della sanità approfittò di una festa religiosa per trasportare in mezzo alla folla, in bella mostra, i corpi di un’intera famiglia appena morta, con segni evidenti della malattia. Si trattava finalmente per tutti di peste.
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