[nextpage title=”Testo” ]
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.
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[nextpage title=”Parafrasi” ]
Parafrasi:
La tempesta è passata;
sento gli uccelli far festa, e la gallina,
che è tornata di nuovo sulla strada,
riprende a chiocciare. Ecco il bel tempo
squarcia le nuvole da ponente, dalla parte delle montagne;
la campagna si sgombra dalla foschia,
e il fiume nella valle appare chiaro.
Il cuore degli uomini si rallegra, e in ogni dove
riprende il rumore
dei lavori abituali.
L’artigiano, con in mano l’oggetto del suo lavoro,
si sporge alla porta cantando
a guardare il cielo ancora umido per i vapori della pioggia;
a gara [con le altre donne] la giovane donna
esce fuori a raccogliere l’acqua
della recente pioggia;
e l’ortolano riprende ad attirare l’attenzione
strada per strada
con il suo richiamo quotidiano.
Ecco il sole che ritorna,
splende sui colli e sui casolari. I domestici
aprono le finestre sui balconi, sui terrazzi e sulle logge:
e dalla strada principale si sentono in lontananza
il suono delle campanelle appese ai carri;
cigola il carro del viaggiatore che riprende il cammino.
Ogni cuore gioisce.
Quando la vita è così dolce e gradita
come ora?
Quando l’uomo si dedica alle sue occupazioni
con tale gioia?
O torna ai suoi lavori consueti o a nuove attività?
Quando si ricorda di meno dei suoi dolori?
È un piacere, questo, derivante dal dolore;
una gioia vana, che è frutto
della paura appena passata, per la quale paura
chi odiava la vita si agitò e temette la morte;
per la quale paura le genti agghiacciate, ammutolite, pallide
sudavano e fremevano di una lunga angoscia
nel vedere mossi fulmini, nuvole scure e vento
ai nostri danni.
O natura gentile,
sono questi i tuoi doni,
sono questi i piaceri che tu
offri agli uomini. Smettere di soffrire
equivale al piacere per noi.
Distribuisci dolore in abbondanza; il dolore
nasce spontaneamente, mentre il piacere,
quel poco che per prodigio o per miracolo
talvolta nasce dall’affanno, è un gran risultato. Stirpe umana
amata dagli dèi! Abbastanza felice
se ti è concesso di prender tregua
da un qualche dolore: davvero beata
se la morte ti guarisce da ogni dolore.
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[nextpage title=”Analisi” ]
Analisi:
La forma e lo stile. La quiete dopo la tempesta fu scritta da Giacomo Leopardi in soli quattro giorni tra il 17 e il 20 settembre 1829. Costituisce un dittico con Il sabato del villaggio, con cui condivide la struttura, nettamente suddivisa in una prima parte descrittiva e in una seconda riflessiva, e la continuità dei temi. In questa lirica sono presenti più che nella altri “canzoni libere” le rime, sebbene Leopardi non si rifaccia a nessuno schema metrico: non mancano infatti rime al mezzo (tempesta / festa nei vv. 1-2), rime imperfette (tuoi / noi nei vv. 43 e 46) e assonanze (affanno / guadagno nello stesso verso, il 50), a testimonianza di una tessitura fonica molto articolata, fitta di rimandi e iterazioni. La prima parte della lirica è caratterizzata da una fluida musicalità e un tono misurato, meno drammatico e teso, in accordo con l’atmosfera serena del villaggio dopo la tempesta. La seconda parte presenta movimenti più ampi e, al contempo, frasi brevissime e sentenziose, con un numero minore di rime; anche il lessico diventa più astratto (diletti, duolo, piacer, affanno, morte…) in linea con il tono ragionativo e il linguaggio ironico che qui adotta Leopardi, più prossimo alla riflessione filosofica, benché l’ottica del poeta qui giunga nei pressi del paradosso: la natura viene apostrofata come cortese (v. 42), l’umana prole è cara agli eterni, con un chiaro intento di smascheramento delle illusioni.
I temi. Lo spunto per una riflessione sul destino dell’uomo è la descrizione di un borgo di campagna dopo un temporale. Il poeta indugia sulla ripresa delle azioni consuete con un motivo maggiore di felicità, dopo lo scampato pericolo (la tempesta). Il motivo principale della lirica è quindi piuttosto chiaro: il piacere che nasce dalla cessazione del dolore (Piacer figlio d’affanno, v. 32), tema che trova corrispondenze nelle teorie di Schopenhauer, da poco formulate dal filosofo tedesco, e in quelle di Pietro Verri (Discorso sull’indole del piacere e del dolore, 1773). I momenti di quiete, più che una vera e propria felicità, sono gli unici cui può aspirare l’essere umano: si tratta di una «gioia vana, ch’è frutto / del passato timore» (vv. 33-34), tuttavia in questi fugaci, vani momenti la vita ridiventa dolce e gradita (v. 26). Il dolore nasce spontaneo, mentre il piacere può derivare solo da quest’ultimo, come una tregua di durata brevissima. Infatti per il poeta recanatese la vera quiete, la cessazione definitiva d’ogni dolor non può che essere la morte (vv. 53-54)
Le illusioni, che rivestono grande importanza negli idilli e nei “grandi idilli”, qui sono reinterpretate e assumono una nuova veste, consolatoria ma non ingannevole: si tratta appunto della quiete e della serenità, se non addirittura della morte, come si evince dall’ultimo verso.
Lo stesso Leopardi appare meno polemico nella sua requisitoria contro la natura, quasi adattandosi alla serenità del quadro campestre che ha pennellato nella prima strofa. L’atmosfera felice che promana da quella descrizione è tuttavia di matrice letteraria. Leopardi non descrive con realismo il suo borgo, ma si affida a un linguaggio evocativo, in linea con la poetica del «vago e indefinito» (si vedano in particolare i vv. 4-7). Come è stato notato, un modello alla base di questa descrizione può essere rappresentato da una lettera dell’Ortis foscoliano, quella del 20 novembre 1797, in cui il ritorno del cielo sereno dopo la tempesta acqueta l’animo del protagonista; tuttavia la riflessione leopardiana si spinge oltre e la lirica costituisce una tappa importante nella sua elaborazione della teoria del piacere.
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