[nextpage title=”Testo” ]
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
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[nextpage title=”Parafrasi” ]
Parafrasi:
O graziosa luna, io ricordo
che un anno fa, sopra questo colle
venivo a contemplarti pieno d’angoscia:
così come ora, tu eri sospesa
su quella selva che rischiari.
Ma il tuo volto appariva ai miei occhi
annebbiato e tremolante, a causa del pianto
che mi sgorgava dalle ciglia, perché la mia vita
era tormentata: e lo è tuttora né cambia caratteristiche,
mia diletta luna. Tuttavia mi è utile
il ricordo e il contare il tempo
delle mie sofferenze. Oh come il ricordo delle cose passate,
anche se dolorose e anche se l’angoscia permane, rimane,
si presenta grato nel tempo della giovinezza,
quando c’è ancora molto da sperare e la memoria ha poco da ricordare.
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[nextpage title=”Analisi” ]
Analisi:
La forma e lo stile. L’idillio fu scritto probabilmente nel 1819, lo stesso anno dell’Infinito, con cui condivide la misura breve: è composta infatti di 16 endecasillabi sciolti. In realtà i versi 13 e 14 furono inseriti da Antonio Ranieri nell’edizione dei canti del 1845, interpretando una correzione apportata dalla mano dello stesso Leopardi su una pagina dell’edizione dei Canti del 1835. Come altri idilli la lirica è emblematica della poetica del vago e dell’indefinito: in questo caso Leopardi più che far ricorso a un lessico evocativo, come per esempio nell’Infinito, punta alla suggestione resa dall’ambientazione notturna, dal chiaro di luna, tipiche dell’atteggiamento romantico. In tal modo il poeta costruisce un piccolo quadro i cui tratti salienti sono un certo gusto per lo sfumato e la penombra.
I temi. La lirica presenta una caratteristica comune a molti altri componimenti leopardiani: la luna è la destinataria della poesia, un interlocutore muto ma affettivamente vicino al poeta, al punto da incoraggiarne l’atteggiamento confidenziale («mia diletta luna» al v. 10). Il poeta ricorda che esattamente un anno prima, abbandonato al pianto, contemplava il chiarore della luna, un chiarore che gli offriva consolazione e speranza. Ed è proprio il ricordo (la “ricordanza” al v. 11) il tema fondamentale della lirica e di buona parte della produzione leopardiana; infatti all’ambito semantico della memoria appartengono i vocaboli fondamentali del testo: “rammento”, “ricordanza”, “rimembrar”. Il ricordo è qualcosa che «pur mi giova» (v. 10), scrive il poeta: funge da risarcimento al dolore che prova («pien d’angoscia», «travagliosa / era la mia vita»), «grato occorre» il ricordo delle cose passate. La correzione di Leopardi (i due versi aggiunti successivamente) tende ad attenuare il ruolo che svolge la memoria, o meglio a confinarne la validità solo nel periodo giovanile, quando c’è ancora molto da sperare e la memoria ha pochi momenti tristi da ricordare.
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