Poesie di Giacomo Leopardi:
– L’INFINITO
– ALLA LUNA
– ULTIMO CANTO DI SAFFO
– LA SERA DEL DI’ DI FESTA
– A SILVIA
– IL PASSERO SOLITARIO
– LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA
– IL SABATO DEL VILLAGGIO
– A SE STESSO
– LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO
– AMORE E MORTE
– CANTO NOTTURNO Dl UN PASTORE ERRANTE DELL’ ASIA
Dalla filologia alla poesia. Giacomo Leopardi è innanzitutto un poeta lirico. Sebbene l’affermazione possa sembrare ovvia, è bene ricordare che Giacomo produsse una notevole quantità di opere di carattere storico-erudito, traduzioni dal greco e dal latino, trattati e dissertazioni, senza contare le successive Operette morali e la stesura dello Zibaldone. Il centro di gravità degli studi filologici e degli innumerevoli interessi del giovane studioso è in ogni caso a cavallo tra poesia e filosofia. Ed è proprio dalla filologia e dalle traduzioni dei classici che Leopardi trae spunto per i primi esperimenti poetici, da cui emergono alcuni dei temi dominanti dei Canti: l’esperienza dell’innamoramento e degli affetti che prendono possesso dell’animo del poeta, il dolore, la bellezza della donna.
Il titolo. Prima della raccolta del poeta recanatese nessun libro di poesia ha mai recato il titolo Canti; Leopardi è giunto a tale scelta dopo aver adottato nelle precedenti edizioni titoli diversi, prima Canzoni e poi Versi: il titolo Versi aveva una connotazione troppo generica che non avrebbe potuto porre in rilievo l’originalità dei versi di Leopardi; all’opposto il titolo Canzoni risultava troppo specifico, identificando un preciso componimento poetico, la canzone appunto, e poiché in seguito Leopardi ha inserito nella raccolta testi che adottavano schemi metrici differenti, tale titolo non avrebbe più avuto ragione di essere. Il titolo Canti sta a indicare secondo Leopardi il genere lirico senza ulteriori etichette, la poesia nella sua accezione più pura, il “canto” appunto.
Le edizioni. La stesura del libro si articola in varie fasi che hanno accompagnato l’intera vita di Leopardi. Pertanto non si è trattato di un progetto definito fin dall’origine, ma di un lungo percorso che si è concluso solo con la morte del poeta. Nel 1824 Leopardi pubblicò a Bologna una raccolta di dieci testi, Canzoni, scritti tra il 1818 e il 1823. Tra essi si distingue il celebre Ultimo canto di Saffo.
Nel 1826 esce sempre a Bologna il libro Versi: oltre alle dieci canzoni, fanno la loro comparsa altri celebri titoli, tra cui gli “idilli” L’infinito, La sera del dì di festa e Alla luna. Solo nella pubblicazione fiorentina del 1831 il libro reca il titolo definitivo Canti. Tra i nuovi versi che lo compongono si segnalano A Silvia, Le ricordanze, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta e Il sabato del villaggio. Nell’edizione napoletana del 1935 il libro si arricchisce di nuovi titoli e assume una forma prossima a quella definitiva: Leopardi intendeva pubblicare un’edizione comprensiva di tutte le sue opere, ma vide la luce solo il primo libro, che raccoglieva appunto i suoi Canti. Tra i titoli nuovi di questa edizione: Il passero solitario, A se stesso, Amore e morte. Nel 1845 uscì per Le Monnier di Firenze l’edizione definitiva curata dall’amico Antonio Ranieri, che raccolse le ultime correzioni e volontà di Leopardi stesso. Gli unici titoli nuovi sono La ginestra o il fiore del deserto e Il tramonto della luna.
La struttura. Gli studiosi tendono di solito a ripartire i canti in cinque parti che corrispondono pressappoco a cinque momenti della vita e della ricerca poetica di Leopardi. Secondo questa scansione si dà credito a un’interpretazione dei Canti che li equipara a una «variante del romanzo [mai realizzato] Storia di un’anima» (Gino Tellini). In altre parole la struttura del libro racconterebbe la storia dell’io lirico, le esperienze dell’animo del poeta. Il rispetto dell’ordine cronologico dei testi, da cui si sottraggono solo pochi titoli, incoraggia questa lettura. D’altro canto, l’ordinamento tematico e quello metrico-formale costituiscono delle variabili che rendono più difficile ricostruire i criteri di composizione.
Le cinque parti sono: le canzoni, gli idilli, i canti pisano-recanatesi (o “grandi idilli”), il “ciclo di Aspasia”, i canti napoletani.
Le canzoni: stile e temi. Le canzoni si compongono di strofe di diversa misura e di diverso numero, con schema metrico molto variabile, sulla base di endecasillabi e settenari, e un sistema di rime molto complesso. In questo modo Leopardi muove il primo passo verso una ridefinizione della canzone, che porterà alla “canzone libera leopardiana”, sperimentata con A Silvia. In questa fase il lessico è prezioso e lo stile elevato, in ossequio alla tradizione classica. Tra i temi trattati, la situazione culturale e politica italiana, l’auspicio di un riscatto, la celebrazione dell’antica Roma (All’Italia); il dolore e l’infelicità, l’impossibilità di raggiungere i propri ideali, il disinganno (L’ultimo canto di Saffo e Bruto minore), che apriranno la strada agli idilli.
Gli idilli: stile e temi. Nella tradizione classica l’idillio è un poemetto di ambientazione campestre. Nell’accezione che ne dà Leopardi, si tratta invece di brevi componimenti che esprimono «situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo», un rapporto nuovo tra la natura e l’interiorità del poeta. Nell’opera leopardiana, gli “idilli” rappresentano la prima grande novità e un decisivo salto in avanti verso una straordinaria ricerca poetica. In genere il componimento è un corpo unico di endecasillabi di misura breve; Leopardi abbandona lo stile aulico delle canzoni e privilegia una sintassi semplice, un linguaggio che miri alla rievocazione di quel vago e indefinito, a tracciare i contorni sfumati di oggetti, ricordi, situazioni: è la poetica della lontananza che si fonda su un legame insolito tra lo spazio, il tempo e la memoria. L’osservazione del paesaggio lascia il campo a meditazioni sui sentimenti, su temi di carattere esistenziale, come il l’infinito, il tempo… Per il felice rapporto tra temi e stile, la grazia del dettato e la profondità dell’ispirazione, i cinque idilli vanno annoverati tra gli esiti più alti della lirica italiana.
I canti pisano-recanatesi: stile e temi. Dopo una pausa di 7 anni, Leopardi torna alla poesia, con alcuni tra i componimenti più noti della sua produzione. Si tratta di canti di endecasillabi e settenari, senza uno schema metrico e di rime definito. Questa non è l’unica novità rispetto ai precedenti idilli. La meditazione sui temi dell’esistenza viene trasportata in un tempo passato: il poeta recupera con la memoria la felicità della fanciullezza, ne rievoca i sogni e le illusioni, ne constata la dissoluzione. Leopardi, tuttavia, non si limita a esprimere i moti e le avventure del suo animo: cala la sua esperienza, già trasfigurata dalla “rimembranza”, all’interno del destino dell’uomo, inesorabilmente proiettato verso la sofferenza. Pertanto la riflessione si fa più ampia, la sintassi più articolata (usuale il ricorso alle domande retoriche e alle esclamazioni), senza perdere tuttavia la grazia del verso, che già contraddistingueva gli idilli; l’io in taluni casi viene sostituito dal “noi”, a testimonianza della sofferenza comune tra gli uomini, che va al di là dell’esperienza privata (il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). L’approfondimento tematico e stilistico sono ancora una volta novità sostanziali nella lirica italiana e lo straordinario impasto di poesia e pensiero trova un felice equilibrio che mai era stato raggiunto in precedenza.
Il ciclo di Aspasia: stile e temi. Sebbene sia improprio associare tutti i componimenti di questa fase alla figura di Fanny Targioni Tozzetti (è lei la donna che si nasconde sotto il nome di Aspasia), essi costituiscono un blocco unico per ragioni tematiche e stilistiche. L’illusione e il turbamento dell’esperienza amorosa e la riflessione sull’amore stesso sono i temi principali. Il linguaggio diventa via via più asciutto ed aspro, l’articolazione della sintassi si sgretola per fare strada alla perentorietà della sentenza. In questa fase Leopardi fa ampio uso di lessico astratto, che dà linfa alla meditazione sulla vita e sulla morte; nel contempo il vago e l’indefinito perdono la loro connotazione benevola, quella rarefazione dei contorni che dava corpo al ricordo e all’infanzia: subentra invece l’imponderabilità del fato, del mistero, dell’arcano che aprono le porte alla disperazione. Ciononostante l’io lirico resiste strenuamente alla malvagità del destino.
I canti napoletani: stile e temi. L’ultima fase dei canti coincide con il soggiorno napoletano del poeta, l’ultimo, poiché proprio all’ombra del Vesuvio Leopardi morirà nel 1837. Le due liriche chiave del periodo sono Il tramonto della luna e La ginestra, testamento poetico-spirituale del poeta. La sofferenza comune degli uomini, la vanità del progresso sono il punto di partenza per meditazioni che non cedono allo sconforto, ma accendono la necessità della resistenza al patire, una dignità che possa portare l’uomo ad affrontare il male dell’esistenza senza superbia, ma con tenacia. L’io lirico quindi non è più al centro del componimento, lo sguardo di Leopardi diventa oggettivo, per meglio fotografare il “vero” della vita; lo stile diventa più austero e anche l’impianto formale si rinnova: le strofe della Ginestra, in particolare, sono lunghissime e legate da una trama di accenti e rime che ne fanno una sintesi di musicalità e riflessione; allo stesso tempo le parti descrittive si alternano a quelle argomentative. Si tratta di una poesia molto diversa da quella degli idilli, per certi versi titanica.