Parafrasi canto 28 (XXVIII) dell’Inferno di Dante

Parafrasi del Canto XXVIII dell’Inferno – Dante e virgilio proseguono il loro viaggio nella nona bolgia, dove si trovano i dannati che diedero luogo a scissioni e scandali e che per questo vengono lacerati dalla spada di un demonio. I due poeti parlano con Maometto, che fa una predizione su Fra Dolcino.

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Chi potrebbe mai, anche scrivendo in prosa, descrivere
in modo completo tutto il sangue e tutte le piaghe che vidi
in questa nona bolgia, pur tornando più volte sulla narrazione?

Sicuramente qualsiasi lingua non sarebbe sufficiente al bisogno
a causa del nostro linguaggio e della nostra mente che non
hanno la capacità di esprimere e comprendere tutto quel che vidi.

Anche se si riunissero tutte le persone
che già nella travagliata terra del Mezzogiorno d’Italia,
in Puglia, soffrirono per le ferite sanguinanti a causa

dei Romani, figli di Troia, e per la lunga seconda guerra punica
che permise ai Cartaginesi di raccogliere tantissimi anelli dei
romani caduti, così come racconta Tito Livio, scrivendo il vero,

e si radunassero insieme alla gente caduta sotto i colpi di spada
combattendo per contrastare i Normanni di Ruberto Guiscardo;
e all’altra gente delle guerre angioine le cui ossa ancora

giaciono insepolte a Ceperano, là dove furono traditori
tutti i pugliesi, e là a Tagliacozzo, dove il vecchio Alardo
vinse senza usare armi, grazie alla sua strategia;

e anche se ognuno dei caduti mostrasse una sua parte del corpo
ferita o mozzata, questo spettacolo non eguaglierebbe per nulla
ciò che vidi di così stomachevole e orribile nella nona bolgia.

Una botte, che perde dalla doga mediana o da quella del fondo,
non appare così sfondata come un dannato che vidi io,
aperto e spaccato dal mento fino all’ano, da dove si scoreggia:

tra le gambe gli pendevano le budella; e gli si vedeva la corata,
l’insieme di cuore, polmoni e milza
, ed anche lo stomaco, il sacco
che trasforma quel che si mangia in feci.

Mentre lo sto a fissare tutto attentamente per vederlo bene,
egli mi guardò, e aprendosi il petto con le mani,
mi disse: “Guarda adesso come mi spacco!

Osserva come è malmesso Maometto, tutto storpiato!
Davanti a me se ne va in lacrime mio genero Alì,
con il volto squarciato dal mento alla fronte.

E tutti gli altri che vedi qui nella nona bolgia,
diedero origine a discordie civili ed a divisioni religiose
quando furono in vita, ecco perchè ora sono così spaccati.

Qui dietro c’è un diavole che ci concia
così crudelmente, affidando al taglio della sua spada
ogni anima che fa parte di questa schiera,

ogni volta che gli torniamo davanti lungo questa strada
di dolore; perchè le ferite si richiudono
prima di giungergli davanti un’altra volta.

Ma tu chi sei che stai sullo scoglio allungando il viso,
forse per ritardare il momento di andare incontro alle tue pene
che sono state decise in base alle tue colpe?”.

“Costui non è ancora morto, e non è condotto a scontare
nessuna colpa” rispose il mio maestro;
“ma per fare in modo che abbia piena conoscenza,

è stato affidato a me, che sono morto, così che lo conduca
quaggiù per quest’inferno, di cerchio in cerchio:
e questo è vero come è vero che io ti sto parlando”.

Più di cento dannati ci furono che, sentito Virgilio dire questo,
si fermarono nella fossa a guardarmi bene in volto
stupiti, dimenticandosi per un momento il loro martirio.

“Allora potrai ben dire a Fra Dolcino che si munisca bene,
tu che forse a breve riuscirai a ricedere il Sole,
se egli non vuole raggiungermi quaggiù velocemente,

di cibarie e vettovaglie, cos’ì che, bloccato dalla neve, non debba
poi arrendersi per fame e dare la vittoria ai novaresi, che
altrimenti non sarebbe per loro cosa facile riuscire a prenderlo”.

Nel mentre che teneva un piede sospeso, girato per andarsene,
Maometto mi fece questo discorso; e poi, una volta terminato,
lo posò a terra per ripartire.

Un altro dannato, che aveva la gola forata
e il naso tranciato fino a sotto le ciglia,
e non conservava intatto più di un solo orecchio,

e che era rimasto a guardarmi con meraviglia
insieme agli altri, prima di tutti gli altri aprì la bocca,
che era tutta rossa per il sangue che colava fuori da ogni parte,

e mi disse: “O tu che che sei qui non condannato dalle tue colpe
e che io vidi lassù, sulla terra latina, in Italia,
se non m’inganno per la troppa somiglianza con un’altra persona,

ricordati di Pier da Medicina,
se mai tornerai a vedere la dolce pianura padana
che declina da Vercelli a Marcabò.

E fai sapere ai due migliori cittadini di Fano, cioè
al signore Guido del Cassero e ad Angiolello da Carignano,
che se le nostre previsioni qui non sono false,

saranno gettati in mare, fuori dal loro vascello, in un
sacco e con una pietra al collo, nelle vicinanze di Cattolica
a causa del tradimento di un tiranno malvagio.

In tutto il mare tra l’isola di Cipro e quella di Maiorca,
Nettuno non vide mai un così gran tradimento,
nè da parte di pirati nè da parte degli antichi corsari greci.

Quel traditore, Malatestino, che vede con un solo occhio
e governa quella terra, Rimini, che un tale che è qui con me
vorrebbe non avere mai visto in vita sua,

li farà chiamare a sè per discutere di un affare;
poi farà in modo che, una volta morti, non avranno più bisogno
di far voti o di pregareper scongiurare i venti di Focara”.

E io risposi a lui: “Mostrami ora e dimmi,
se vuoi che io porti notizie di te su nel mondo,
chi è colui che non avrebbe mai voluto vedere Rimini”.

Allora egli mise la sua mano sulla mascella
di un suo compagno e gli aprì la bocca,
gridando: “E’ costui quella persona ma non può parlare.

costui, scacciato dal senato romano, tolse ogni dubbio a Cesare
affermando che chi è ben preparato ad un’impresa può essere
danneggiato solo dal rimandarla, dal non affrontarla subito”.
(si riferisce alla decisione di oltrepassare il Rubicone presso Rimini, marciare contro il senato e scatenare la guerra civile)

Oh quanto mi sembrava sbigottito il povero Curione
con quella lingua tagliata giù fin nel gola, perchè
era stato troppo audace e pronto nel dare un cattivo consiglio!

E un altro che aveva entrambe le mani mozzate, solevando
i suoi due moncherini nell’aria fosca, cosicché il sangue
che vi fuoriusciva, cadendogli addosso, gli sporcava la faccia,

gridò: “Ti ricorderai anche di me, del Mosca, povero infelice,
che dissi “Cosa fatta capo ha”, frase che fu il seme
della discordia per il popolo toscano”.

E io aggiunsi: “E fu anche la rovina della tua stirpe, i ghibellini”;
perciò egli, aggiungendo dolore al dolore,
se ne andò via come una persona triste fino alla pazzia.

Io invece rimasi a guardare quella schiera di anime,
e vidi una cosa, che avrei paura non venisse creduta
non avendone prova, ma limitandosi a raccontarla solamente;

ma la racconto comunque perchè m’incoraggia la coscienza,
la buona compagnai che rassicura l’uomo come se fosse
sotto l’armatura, perchè essa si sente pura, libera da menzogna.

Io vidi di certo, e mi sembra ancora di vederlo,
un busto d’uomo senza testa che procedeva, come
procedevano tutti gli altri dannati di quel triste gregge;

e teneva il proprio capo per i capelli,
portandeso dietro a penzoloni come fosse una lanterna;
e il capo ci guardava, e diceva: “Oh me!”.

egli faceva di sé luce a se stesso,
ed erano due in uno e uno in due: come ciò possa succedere,
lo sa solo colui che così ha deciso, Dio.

Quando fu giunto fino ai piedi del ponte,
alzò il braccio in alto tenendo appesa la testa,
per avvicinare a noi le sue parole,

che furono: “Ora vedi la mia pena durissima
tu che, respirando ancora, vai visitando i morti:
vedi se c’è un’altra pena dura come questa.

E perchè tu possa portare mie notizie nel mondo,
sappi che io sono Betram de Born, colui che diede
al giovane Re d’Inghilterra (Enrico) i cattivi consigli.

Io feci diventare nemici tra loro padre e figlio:
Achitofel non fece peggio di me con Assolone
e Davide, dando i suoi malvagi suggerimenti.

Visto che io divisi persone così legate tra loro,
porto il mio misero cervello diviso dal midollo
spinale di questo mio troncone, che è il suo principio.

Così in me è osservata la legge del contrapasso (corrispondenza tra pena e colpa).

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