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Trama:
Il paesello agricolo di Vizzini, non molto distante da Catania, viene svegliato improvvisamente dal suono delle campane: non si conosce il motivo per cui è stato dato l’allarme e, dopo uno smarrimento iniziale generale, tutti si riversano nel palazzo dei nobili Trao per spegnere l’incendio che si sta propagando dalla cucina. Ma i padroni di casa non parlano d’incendio, non se ne sono nemmeno accorti, sono invece preoccupati dalla presenza in casa di un estraneo che credono essere un ladro. Don Diego Trao scopre infine in camera della sorella Bianca il cugino, Ninì Rubiera. Il fratello della ragazza cerca di tenere nascosto l’accaduto per evitare lo scandalo, ma è cosa impossibile con tutti gli impiccioni ed i pettegoli di paese che hanno approfittato del trambusto per entrare nel loro palazzo.
Il giorno dopo don Diego si precipita dalla cugina, la baronessa Rubiera, per informarla dell’accaduto. La donna va su tutte le furie. Dopo una vita di fatica non può proprio permettere a suo figlio di buttare via tutta la loro ricchezza con una Trao, una famiglia sì nobile ma oramai povera e costretta a vivere solo grazie all’aiuto dei parenti. Il suo Ninì dovrà sposare donna Fifì Margarone, primogenita di una famiglia ricca e d’alto rango, e la baronessa si impegna quindi solo a trovare un buon partito per Bianca.
Il prescelto è Mastro don Gesualdo Motta, un uomo di umili origini che, partito come semplice muratore, contando solo sulle proprie forze e sull’intelletto fine è riuscito ad arricchirsi tanto da poter infine frequentare gli stessi ambienti della nobiltà. Può ora competere anche economicamente con i nobili, mettendo a rischio affari che fino ad allora erano accessibili esclusivamente a loro e per questo sicuri (come l’acquisto dei raccolti, l’affitto delle terre comunali da sempre nelle mani della famiglia del barone Zacco, la costruzione di strade e ponti…). Nonostante la sua ricchezza, l’uomo continuerà sempre ad impegnarsi attivamente nelle proprie attività: le sue mani rimarranno callose e ruvide, il nomignolo di Mastro lo seguirà per tutta la vita.
Don Gesualdo non è visto bene dalla nobiltà ma neanche dai villani, che fanno fatica ad accettare che uno nato nella loro stessa umile condizione possa ora permettersi tanto: molto più naturale vedere uno nato nobile in quella posizione. Come se non bastasse il protagonista si trova spesso contro anche la sua stessa famiglia: il padre Nunzio non digerisce proprio il fatto di non essere più il capo della famiglia e si lancia così in progetti rischiosi che finiscono sempre in un fallimento (come il crollo di un ponte a causa di un suo ordine sbagliato), lo stesso fa suo cognato Burgio; la sorella Speranza lo aggredisce ogni volta che decide di lanciarsi in un nuova avventura economica, nonostante sia lui l’unico della famiglia ad avere dimostrato di avere fiuto per gli affari; il fratello Santo non gli è mai d’aiuto e pensa solo a godersi in osteria i soldi che gli vengono passati.
Il matrimonio con Bianca Trao è osteggiato dai fratelli di lei, don Diego e don Ferdinando, quasi fosse una umiliazione per il loro casato. La famiglia di lui è invece contraria perché, facendosi una famiglia, Gesualdo Motta li escluderebbe dalle sue proprietà. La repulsione iniziale della ragazza, ancora innamorata di Ninì e fedele ai fratelli, viene vinta facendo leva sui vantaggi che tutta la sua povera famiglia può trarre da quel matrimonio (don Diego e don Ferdinando rifiuteranno però sempre l’aiuto dal cognato). Per tutti gli altri imparentare il protagonista con tutta la nobiltà del paese è invece un affare: Don Gesualdo ha la possibilità di guadagnare un influente appoggio politico per i propri affari, mentre i nobili un potente appoggio economico… in realtà il contrasto rimarrà sempre molto acceso. L’unico guadagno vero dell’uomo sarà la compagnia e la fedeltà di Bianca, ma per il resto non otterrà proprio nulla: la donna è sempre malaticcia e sofferente, lui non riceverà nulla in dote, avrà sempre contro i parenti naturali e acquisiti, non avrà dalla compagna un erede maschio ma solo una figlia (il cui vero padre è Don Ninì) che per di più di carattere è tutta una Trao ed alla quale sarà anche costretto a dare il cognome della moglie.
Intanto si vocifera che ci sia aria di rivoluzione e che i villani puntino a prendere possesso dei terreni comunali, fino ad allora esclusiva dei nobili. Mastro don Gesualdo decide di all’incontro segreto della carboneria e, con l’arrivo in paese quella stessa notte degli sbirri della Compagnia d’arme, sarà poi costretto a starsene nascosto lontano da casa per qualche giorno.
Finanzia inoltre la relazione amorosa segreta tra don Ninì e Aglae, un’avvenente attricetta arrivata nel paesello per degli spettacoli itineranti, con l’obiettivo di acquisire un credito nei confronti della famiglia Rubiera tale da permettergli in futuro di impossessarsi di tutti i loro averi. Il matrimonio con Fifì Margarone salta e la baronessa per il dispiacere di vedere svanire tutte le sue ricchezze, costate una vita di fatica, perde la parola e rimane quasi paralizzata (don Ninì sarà costretto a sposare per interesse donna Giuseppina Aiòsi, una donna nobile molto più grande di lui).
Alla figlia Isabella, Mastro don Gesualdo non fa mai mancare nulla: viene istruita prima nel Collegio di Maria presso il paesello e poi nella migliore scuola di Palermo, frequenta le giovani dell’alta nobiltà siciliana e riceve sempre ricchi regali. La figura del padre è però una presenza imbarazzante: le gelosie nate per la ricchezza che la circonda si traducono in umiliazioni per le origini povere dell’uomo, tanto che una volta trasferita in città, Isabella nasconderà il vero nome del padre facendo invece leva sul rinomato cognome della madre. Mastro don Gesualdo Motta dovrà accettare di farsi chiamare signor Trao.
Quando in Sicilia si propaga il colera, il protagonista recupera la figlia per rifugiarsi nella tenuta di Mangalavite. Per lui iniziano nuovi dispiaceri: riesce a offrire aiuto a molti suoi compaesani ma non ai suoi famigliari, che si rifiutano di seguirlo (suo padre morirà per una influenza perniciosa lontano da lui); approfittando della reclusione forzata, la zia donna Sarina Cirmena alimenta di nascosto la passione che sta nascendo tra la giovane Isabella (che riversa sull’amore tutta la sua frustrazione nel vedere che i palazzi di famiglia non possono competere con quelli visti a Palermo) e il cugino Corrado La Gurna, un giovane senza lavoro che si dedica esclusivamente alla poesia. Quando l’epidemia termina Mastro don Gesualdo deve così fronteggiare da un lato i fratelli che vorrebbero ottenere la divisione della sua ricchezza quasi fosse tutta eredità del padre e dall’altro proteggere la figlia dalle macchinazioni della zia Cirmena. Tutto il paese sembra attivarsi nell’aiutare i parenti contro di lui. La situazione sfugge dal suo controllo quando zia Cirmena organizza la fuga della giovane dal Collegio di Maria dove era stata rinchiusa, così da creare lo scandalo e mettere Gesualdo Motta alle strette. Lui non ne vuole però proprio sapere di buttar via tutto per assecondare un capriccio della figlia: fa arrestare il nipote e si accorda per dare in sposa la ragazza a un conte di Palermo, Alvaro Filippo Maria Ferdinando Gargantas di Leyra. Lo sposo viene scelto un po’ troppo frettolosamente ed il matrimonio si rivelerà essere un cattivo affare non riuscendo a dare la minima felicità a Isabella e richiedendo continui impegni economici da parte del protagonista.
Indebolita ulteriormente dal dispiacere dato dalla lontananza della figlia, Bianca è costretta a letto dalla tubercolosi. Nonostante tutte le attenzioni e le spese del marito in medici e farmaci, non si riuscirà a trovare una cura per la malattia e la donna morirà in breve tempo. Nel frattempo per le strade del paesello sta ora davvero accendendosi la rivolta e Mastro don Gesualdo Motta, l’uomo più ricco del paese, è al centro del mirino: i numerosi nemici e invidiosi gli attribuiscono qualunque colpa ed i villani vogliono entrare in possesso di tutti i suoi averi anche a costo di commettere un omicidio. Saranno poi gli stessi nobili suoi nemici a salvarlo, tenendolo nascosto alla folla in abitazioni sempre diverse, fintanto che i più agitati non avranno lasciato il paese per tentare migliore fortuna a Palermo. La loro buona azione è comunque sempre dettata dall’interesse personale: vogliono evitare che, partendo dai beni del protagonista, i villani si facciano prendere la mano ed inizino poi ad interessarsi anche alle loro proprietà. Ed è sempre puro interesse personale quello che muove tutte le persone che girano intorno a Mastro don Gesualdo Motta. Ammalato di cancro al piloro e indebolito dalle continue pene è ormai costretto a letto. Non si interessa più a nuovi affari ed è anzi costretto a lasciare che chiunque altro faccia il proprio comodo a casa sua e nelle sue proprietà. È oramai in balia degli altri: prima è il turno del barone Zacco che gli sta vicino solo perché interessato a fargli sposare sua figlia Lavinia, poi della sorella Speranza che improvvisamente si mostra premurosa nei suoi confronti facendo la padrona in casa sua, infine viene addirittura fatto prelevare dal genero, il duca di Leyra, per essere portato a Palermo con la scusa di poter avere a disposizione medicine e medici migliori (per i quali i protagonista non sta proprio badando a spese). La reale intenzione dell’uomo è quella di tenerlo sotto controllo evitando qualsiasi imprevisto dell’ultimo minuto: gli verrà negato sia il ritorno al paesello che l’incontro con un notaio per stendere testamento.
È a Palermo, circondato da tutto quel lusso estremo che mal sopporta (pagato anche da lui con spesi per il matrimonio della figlia), che infine il protagonista muore. La numerosa servitù di palazzo accorre nella sua stanza. Nemmeno da morto i villani esistano a guardarlo con curiosità:
— Si vede com’era nato…. — osservò gravemente il cocchiere maggiore. — Guardate che mani!
— Già, son le mani che hanno fatto la pappa!… Vedete cos’è nascer fortunati…. Intanto vi muore nella battista come un principe!…