Genesi e composizione. Già nel luglio del 1821 Giacomo Leopardi annotava sullo Zibaldone il suo personale impegno «a scuotere la mia povera patria». Gli strumenti adeguati a tale proposito sono la «immaginazione nella lirica […]; le armi della ragione, della logica, della filosofia […]; e le armi del ridicolo ne’ dialoghi e novelle lucianee ch’io vo preparando». Nel 1824 comincia la stesura dei primi «dialoghi e novelle lucianee», che vengono pubblicati nel 1827 con il titolo di Operette morali. Solo nel 1845 tuttavia, dopo varie vicissitudini (tra cui la censura del governo borbonico che ne blocca l’uscita nel 1835) e l’aggiunta di ulteriori testi, vengono raccolti tutti i 24 testi che le compongono, grazie all’edizione delle opere curata da Ranieri.
Titolo e il modello di Luciano. Sin dal titolo risultano chiare le intenzioni dell’opera. L’aggettivo “morale” introduce l’argomento filosofico, ambito all’interno del quale il libro si inserisce: la filosofia morale tratta dei comportamenti, la vita pratica, la “morale” degli uomini. Il sostantivo “operette” allude a un genere letterario di tipo scherzoso e satirico e segnala la misura breve dei testi, che non ambiscono alla seriosità della trattatistica filosofica. Nel proposito di Leopardi, questi dialoghi e novelle sono infatti caricati con «le armi del ridicolo», per cui la critica dei costumi e dei comportamenti umani viene conseguita tramite una «leggerezza apparente», come annota lo stesso Leopardi. Il modello del poeta recanatese è rappresentato dai dialoghi dello scrittore greco Luciano di Samosata (II secolo d.C.), autore di testi corrosivi e satirici che prendevano di mira la società del tempo, i difetti degli uomini e degli dèi. A lui si ispira sia la varietà dei generi esplorati da Leopardi, sia lo stile, sia l’inconsueta invenzione fantastica. Leopardi attinge inoltre ai romanzi filosofici in auge nell’Illuminismo francese, in particolare gli scritti di Voltaire, brevi narrazioni di carattere morale con assunti filosofici.
Le forme letterarie. Le Operette sono costituite principalmente da dialoghi, come sottolineano i titoli stessi, altre volte da apologhi e frammenti (La scommessa di Prometeo), narrazioni (Storia del genere umano), prose liriche (Il cantico del gallo silvestre); a volte le prose sono introdotte da vere e proprie liriche (Dialogo di Federico Ruysch e le sue mummie)…; lo stile è percorso da una pungente ironia e i personaggi sono spesso immaginari e inverosimili (il gallo silvestre, la Natura, la Terra, la Luna, il mago Malambruno, il diavolo Farfarello, la Moda e la Morte…), tratti dal mondo mitologico (Ercole e Atlante, Prometeo), quello favolistico (gnomi e folletti), dalla storia (Torquato Tasso, Cristoforo Colombo, Plotino, Porfirio)…
I temi, gli argomenti e la filosofia. La composizione delle Operette morali coincide con la fase della vita e del pensiero di Leopardi segnata dalla caduta di ogni illusione e dalla consapevolezza dell’infelicità come tratto distintivo dell’esistenza umana. Non è un caso che Leopardi abbia abbandonato temporaneamente la poesia e si sia dedicato alla riflessione sull’arido vero, in virtù di quella “conversione filosofica” maturata qualche anno prima. Muta infatti il rapporto con la natura, che diventa “matrigna” gelida e indifferente, causa dell’immutabile infelicità dell’uomo: sono le conclusioni del Dialogo della Natura e di un islandese, compendio del pensiero leopardiano in questa nuova fase, e ironico quanto agghiacciante dialogo sul fallimento di ogni filosofia e sulle verità negative dell’esistenza.
Le Operette rappresentano infatti il culmine della sfiducia nella natura, l’approdo definitivo al meccanicismo e all’ateismo, il che non significa tuttavia l’abbandono dell’esercizio critico e la rassegnazione alla negatività. La sostanza filosofica delle Operette si ascrive invece proprio a quel filone del pensiero critico che si pone come obiettivo lo smascheramento delle credenze, dei luoghi comuni, dei falsi miti che imprigionano la lucidità e l’intelligenza umana. Da questo punto di vista infatti le Operette possono essere lette come un’anticipazione del nichilismo che trova in Nietzsche il proprio compimento. L’intento di Leopardi infatti è proprio quello di criticare i costumi degli uomini, che si fanno incantare dalle sirene del progresso scientifico ed economico, dalla fiducia nel futuro in nome di un ottimismo che non trova ragion d’essere. Leopardi vuole portare davanti ai loro occhi la negatività dell’esistenza, senza mediazione, mostrare la macchina distruttrice della natura, ma al contempo invita gli uomini alla solidarietà: esemplare in questo senso il Dialogo di Plotino e di Porfirio, che in parte anticipa le riflessioni della Ginestra.
Lo stile. La «leggerezza apparente» delle Operette è data da uno stile unico e innovativo. Innanzitutto il ricorso all’ironia, che permea il testo a ogni livello, mette al riparo i dialoghi da ogni cupezza, mettendo anzi in risalto il ridicolo e il comico di taluni atteggiamenti umani. Di conseguenza ne nasce uno sguardo spesso straniato del reale: infatti affidare a personaggi immaginari o favolistici, come gnomi e folletti, il giudizio sugli uomini muove il testo in una dimensione nuova, nello stesso tempo affascinante e verosimile. In questo modo Leopardi pone l’accento anche sulla relatività della condizione umana rispetto agli accadimenti dell’universo: è come se il poeta recanatese mostrasse la piccolezza dell’uomo e la sua inconsistenza di fronte al cosmo, di cui è solo una minima e trascurabile parte. In questo modo l’uomo non è più al centro, ma un elemento marginale. Sul piano più strettamente linguistico Leopardi si rifà in parte ai dialoghi di Galileo, in particolare per la chiarezza espositiva e l’impostazione razionale, ma non rinuncia alla componente emotiva, ereditata direttamente dalla propria lirica, giocando su figure tipiche della poesia leopardiana e su una ricchezza e brillantezza inusuali in una prosa filosofica. Si tratta di una lingua moderna, che dialoga con la tradizione trattatistica cinquecentesca senza tuttavia le sue complesse volute sintattiche, ma si pone su un piano diverso, spostando più avanti, in direzione della bellezza e della finezza l’uso della sintassi e del vocabolario. Anche in ragione di questa particolare veste linguistica le Operette ebbero scarsa fortuna. È interessante notare che la loro uscita data 1827, lo stesso anno di pubblicazione di un altro grande classico della nostra letteratura, i Promessi sposi.