La composizione poetica il Cinque Maggio, fu scritta da Alessandro Manzoni di getto, in soli tre o quattro giorni, spinto dalla commozione per la conversione cristiana di Napoleone avvenuta poco prima della sua morte. Nonostante la censura austriaca, la poesia ebbe una larga diffusione in Europa grazie soprattutto a Goethe, che la fece pubblicare su una rivista tedesca (Ueber Kunst und Alterthum). La prima edizione avvenne nel 1823 a Torino presso il Marietti.
Per alcune tematiche (tema del ricordo ed evocazione della storia), Il cinque Maggio ha delle analogie con il Coro di Ermengarda e con la Pentecoste, e, soprattutto, ha in comune con questi scritti lo schema, caratterizzato da un inizio drammatico e concluso da un moto di preghiera.
La poesia di Alessandro Manzoni può essere divisa in due parti: la prima va dal prologo fino alla nona strofa, ha un tono epico e si concentranta sulla figura storica di Napoleone, dalla sua ascesa sino alla sua caduta; la seconda va dalla decima strofa in poi, ha un tono più contemplativo e lirico, ed ha come motivo trainante la definitiva caduta di Napoleone come uomo e l’inizio del suo riscatto spirituale e religioso.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l’avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Parafrasi:
Napoleone è morto. Così come immobile,
dopo aver esalato l’ultimo respiro,
è rimasto il suo corpo dimentico delle sue vicende terrene
oramai privo di uno spirito tanto illustre,
allo stesso modo colpita, attonita
rimase la terra all’apprendere la triste notizia della morte,
rimase ammutolita, pensando all’ultima
ora vissuta dall’uomo scelto dal fato;
e non sa quando il passo
di un uomo altrettanto grande
la polvere insanguinata dalle guerre
tornerà a percorrere.
Nel suo massimo splendore, sul trono imperiale,
lo vide il mio genio poetico, ma non cantò di lui;
ed anche quando lo vide, con alterne fortune,
cadere, risollevarsi ed essere definitivamente sconfitto,
alle mille voci degli altri poeti
il mio genio non ha unito la sua:
conservatosi puro, non contaminato da adulazioni servili
ed anche da vili offese
il mio genio si innalza ora commosso alla notizia dell’improvvisa
morte di una figura simile;
e dedica alla sua tomba un canto
che forse resterà eterno.
Dall’Italia all’Egitto,
dalla Spagna alla Germania,
le azioni fulminee di quell’uomo senza esitazioni
seguivano immediatamente il concepimento dei suoi piani;
agì impetuoso dall’estrema punta dell’Italia fino al Don,
da un mare all’altro, dal Mediterraneo all’Atlantico.
Fu la sua vera gloria? A quelli che verranno dopo di noi
lasciamo questa difficile sentenza: noi
ci inchiniamo umilmente di fronte alla volontà del Sommo
Creatore, che su di lui volle
della propria potenza creatrice
imprimere un così forte sigillo.
La tempestosa e trepidante
gioia derivante da un grande progetto,
l’ansia di un animo ribelle che
è costretto ad obbedire, meditando già la conquista del potere;
e lo ottiene anche, ed anzi ottiene un premio
tale che era folle il solo sperarci;
egli sperimentò tutto: la gloria
che è tanto maggiore quanto più grandi sono i pericoli superati,
la fuga e la vittoria,
la sovranità ed anche l’umiliante esilio;
per due volte finì nella polvere, fu perdente,
per due volte finì sull’altare della gloria, fu vincitore.
Egli si autoproclamò: due secoli, il ‘700 e l’800,
rappresentanti di due situazioni politiche contrapposte
(rivoluzione e restaurazione), sottomettessi di volsero a lui
come aspettando da lui la decisione sul loro destino;
egli rimase però in silenzio e come giudice
si sedette tra di loro.
E infine scomparve, ed giorni nella più totale inattività
trascorse fino alla morte, prigioniero in una piccola isola,
oggetto di una immensa invidia da parte dei rivali
e di una pietà profonda da parte di chi aveva compreso il dramma,
di inestinguibile odio da parte dei nemici
ed amore eterno da parte dai fedeli.
Come sulla testa del naufrago
l’onda si avvolge e minaccia di travolgerlo,
la stessa onda su cui poco prima il pover uomo,
spingendosi in alto e proteso invano in avanti,
faceva scorreva la propria vista tentando di avvistare
senza successo coste lontane;
allo stesso modo scese sull’anima di Napoleone
l’enorme peso dei ricordi.
Quante volte inutilmente
s’accinse a scrivere le sue memorie per i posteri,
e su quelle pagine interminabili
la mano gli cadeva scoraggiata.
Quante volte altre volte, al silenzioso
tramonto di un giorno trascorso in una forzata inattività,
con gli occhi fissi a terra
e le braccia portate al petto conserte,
egli rimase immobile, e dei giorni passati
lo assalì il ricordo e la malinconia!
E ripensò quindi ad il continuo spostarsi
degli accampamenti, ai colpi inferti alle trincee,
allo scintillare delle armi dei plotoni,
all’avanzare della cavalleria,
agli ordini dati in modo rapido,
all’esecuzione altrettanto rapida degli stessi.
Ahi! Forse davanti ad un così doloroso contrasto tra passato e presente
quell’animo spossato cadde
e fu preso dalla disperazione; ma valida
venne la mano di Dio in sua aiuto dal cielo,
che in una realtà più serena
pietosamente lo trasportò;
e lo avviò, per i sentieri
fioriti della speranza,
verso orizzonti infiniti, verso una meta, la beatitudine eterna,
che supera qualunque desiderio umano,
verso quel luogo dove non vale più nulla
la gloria terrena, fragile e debole.
Mella ed immortale Fede! Benefica Fede
abituata ai tronfi!
Aggiungi anche questo tuo nuovo trionfo, rallegrati;
perché un uomo più potente di Napoleone
per rendere onore alla croce della passione di Cristo
mai si chinò prima di allora.
Tu, o fede, dalle stanche spoglie di quest’uomo
allontana ogni parola malvagia:
il Dio che può abbattere i superbi e risollevare chi si umilia,
che ci dà i dolori e ci consola,
su quel letto di morte abbandonato da tutti
si è posato accanto a lui.