Un autore moderno. Nella straordinaria figura di poeta che è stato Ludovico Ariosto (1474-1533) confluiscono tutti i più importanti motivi letterari e culturali del tempo, riformulati e personalizzati in un forma che non ha pari nella letteratura rinascimentale. Le sue opere e in particolare il suo capolavoro, l’Orlando Furioso, posseggono quell’inesauribilità di senso e bellezza, di fantasia letteraria e confronto con il reale che le rendono grandi classici. L’Orlando Furioso è ancora oggi una delle opere italiane più studiate in Italia e all’estero, a testimonianza della modernità dell’autore e del complesso portato di temi e situazioni che emerge dalla sua poesia.
La vita di corte a Ferrara. Ariosto, come molti artisti suoi contemporanei, è stato legato a una corte, dove ha esercitato la propria attività di poeta. Nativo di Reggio Emilia, Ludovico era legato alla famiglia estense per via del lavoro che suo padre svolgeva per Ercole I d’Este. Trasferitosi a Ferrara, cominciò i suoi incarichi presso il cardinale Ippolito d’Este e poi per Alfonso d’Este. A differenza di altri mecenati, gli Estensi si attorniavano di uomini di cultura non tanto per il prestigio della corte che ne sarebbe derivato, né tanto meno per la celebrazione della propria famiglia, quanto piuttosto per affidar loro incarichi di natura burocratica e diplomatica: in breve, Ariosto non era propriamente un gentiluomo che viveva delle elargizioni dei propri mecenati, ma uno stipendiato a tutti gli effetti da cui ci si aspettava lo svolgimento delle proprie mansioni, che non sempre collimavano con quelle di poeta…
La libertà dell’intellettuale. Questo aspetto ha probabilmente influito sull’atteggiamento non sempre favorevole di Ariosto nei confronti dei propri mecenati e ha fatto sì che egli abbia dovuto costruirsi uno spazio privato, dedicato alla scrittura. Non è un caso, quindi, che uno dei temi ricorrenti nelle sue opere riguardi la libertà dell’intellettuale, come si evince in alcune delle sette Satire e come indirettamente testimonia il mirabolante impianto dell’Orlando furioso. Ariosto era refrattario all’adulazione e rivendicava lo spirito critico proprio dell’intellettuale rinascimentale, sempre disposto all’osservazione e alla conseguente riflessione, priva di pregiudizi.
L’ideale e il reale. L’eccezionale ispirazione ariostesca rappresenta il massimo grado di fantasia e ingegnosità poetica raggiunta nel Rinascimento, ma ciò non sottrae nulla alla sua capacità di comprendere e rappresentare il reale. Del resto la corte ferrarese, come ogni corte, era ben lungi dall’essere un mondo perfetto, armonioso, portatore di valori cavallereschi, e si presentava più come una sentina di intrighi, sospetti, ipocrisie: insomma la vita stessa e l’esperienza umana è un luogo di finzioni e maschere, di inganni e di esaltazioni di cui la poesia ariostesca si è posta come specchio, quando il proposito era la denuncia, e come fonte idealizzante, quando il proposito era la creazione di uno spazio fantastico. La stessa vita di Ariosto è la testimonianza di questa spinta oppositiva: da un lato la normalità del quotidiano, tra burocrazia e incombenze da affrontare, dall’altro la stanza segreta della poesia.
La molteplicità del reale e la varietà umana. Ciò che la fantasia ariostesca vuole cogliere è la molteplicità del reale, la straordinaria varietà della natura umana in tutte le sue ambivalenze e contraddizioni: un mondo polifonico e policentrico, in cui nulla è dato e nulla è stabile. Chi sa leggere tra le pieghe di questo mondo fantastico che l’ingegno di Ariosto ha partorito, vi troverà una sottile riflessione filosofica sulla natura mutevole delle cose, sul caos del reale e sul labirintico senso dell’esistenza di cui l’uomo, apparentemente al centro dell’universo, non ha la chiave. Ariosto pone in evidenza i limiti dell’uomo: la sua irrefrenabile curiosità, ma anche la sua fallibilità e lo scacco di fronte alla realtà.
L’illusione e l’effimero. Il fallimento e i limiti dell’essere umano sono conseguenza dell’illusione di cui si nutre l’uomo: l’illusione è un fantasma che perseguita ogni azione degli eroi ariosteschi, sempre smaniosi di raggiungere il proprio ideale. Ne è sublime rappresentazione poetica il palazzo di Atlante dove ogni prigioniero insegue vanamente l’oggetto del proprio desiderio, senza sapere che non è null’altro che uno spettro, la metafora dell’inafferrabilità della vita. L’oggetto del desiderio è dunque sfuggente, come Angelica, che lo incarna in tutta la sua evidenza erotica, una donna dalla sensualità conturbante ma priva di consistenza, perennemente in fuga, la cui bellezza si rivela effimera, un bene che non potrà mai essere trattenuto.
L’ironia e una superiore consapevolezza. Lo smisurato teatro degli errori e degli inganni che è il mondo ariostesco viene corroso dalla sottile ironia che pervade le sue opere. Dinanzi alla fallibilità dell’uomo e agli inganni della vita, che celano una visione pessimistica dell’esistenza, è proprio l’ironia lo strumento per raggiungere una consapevolezza superiore e rendere meno amara l’accettazione della realtà.
Il rapporto con i classici e la questione della lingua. Il disincanto trova espressione anche nella medietas che Ariosto cerca nella propria vita, come serena tranquillità, intento alle proprie attività di poeta. Non a caso, una delle fonti di ispirazione del ferrarese per la stesura delle Satire è Orazio, il poeta latino della “via di mezzo”. Questo ci racconta anche altro: in linea con le nuove attenzioni rivolte dagli umanisti e dagli uomini del Rinascimento ai grandi classici, Ariosto è lettore di testi del passato, come le Satire e le Epistole di Orazio, per altro non ancora così studiati in quegli anni. Oltre al rapporto con i classici un’altra questione che fa di Ariosto un autore perfettamente calato nel contesto del suo tempo è l’attenzione riservata ai modelli linguistici e il legame con Pietro Bembo, che risulteranno decisivi per la terza edizione del Furioso.