NON CHIEDERCI LA PAROLA di Eugenio Montale | Testo, parafrasi e commento

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Parafrasi:
Non chiederci la spiegazione che definisca in misura esatta e indubitabile
Il nostro animo inquieto, e con parole inequivocabili
Lo spieghi e lo mostri come [farebbe] un fiore di croco [pianta dello zafferano]
[Coi sui colori sfolgoranti] che risaltano in mezzo a un prato polveroso.

Ah, [come è distante da questa dichiarazione] l’uomo che se ne va sicuro di sé,
in sintonia con sé stesso e con gli altri,
e che non è turbato dall’ombra [i lati oscuri e nascosti della sua personalità] che il sole estivo
proietta su un muro senza intonaco!

Non domandarci la formula magica che possa darti qualche verità sull’esistenza,
ma solo qualche sillaba di poco conto, che ha il valore di un ramo storto e secco.
Solo questo possiamo dirti oggi,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo [cioè possiamo solo conoscere il mondo solo attraverso la negazione, non tramite l’affermazione di cose certe]

Analisi:
La forma e lo stile. Scritta nel 1923, Non chiederci la parola è la lirica d’apertura della sezione Ossi di seppia, che dà il titolo alla raccolta. Le tre quartine con rime incrociate e alternate riprendono apparentemente una forma chiusa di ascendenza classica, ma in realtà la misura dei versi, piuttosto varia e costruita intorno all’endecasillabo, e le rime insolite (rimarchevole quella ipermetra amico/canicola) mettono in crisi l’ordine costituto, in sintonia con i temi fondanti della lirica: la rivendicazione del dubbio e la sfiducia nei confronti di ogni certezza. Notevole la struttura circolare del testo, con la terza quartina che riprende la prima nell’incipit negativo e nella contrapposizione tra il “tu”, al quale il poeta si rivolge in tono esortativo, e il “noi”, che fa riferimento ai poeti della generazione di Montale, impossibilitati ad affermare certezze.

I temi. La critica tende a riconoscere in questa poesia una dichiarazione di poetica che riassume il senso, se non dell’intera raccolta, quanto meno della sezione eponima, a cui dà il titolo. In effetti lo stesso Montale vi riconosce una funzione determinante nell’economia del libro, come testimonia la collocazione che a essa riserva nella struttura dell’opera. La condizione negativa è un motivo ricorrente di Ossi di seppia che trova la formulazione più compiuta proprio in Non chiederci la parola: il reiterato ricorso alla negazione “non” contraddistingue l’intero componimento, minando qualsiasi verità presunta dall’uomo contemporaneo e dal poeta vate (anche qui vi si riconosce una presa di distanza da D’Annunzio e i poeti del XIX secolo). Per Montale l’uomo non può aspirare a una verità universale, risolutrice della angosciosa condizione umana, non può fare affidamento sulle inautentiche formule propagandate dalla retorica poetica e politica, ma può solo stabilire lo smarrimento di ogni certezza e la profonda crisi della società occidentale di quegli anni. Sullo sfondo di questa dichiarazione in negativo si staglia, secondo buona parte degli studiosi, il rifiuto di ogni superbo ottimismo, tipico del fascismo: l’uomo che se ne va sicuro (v. 5), che coltiva certezze e che verosimilmente è fiducioso nelle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria, è un uomo che vive la vita senza contraddizione e senza provare a conoscere i tratti più oscuri e nascosti della propria identità. Questa figura rappresenta per Montale il prototipo della superficialità e dell’ottimismo cieco, su un piano contemporaneamente storico ed esistenziale.