Tra Milano e l’Europa. La figura di Alessandro Manzoni (1785-1873) è stata determinante nel rinnovamento della letteratura italiana del XIX secolo. Per certi aspetti il suo sguardo sul mondo, la sua concezione della storia, della società, della politica sono fortemente influenzate dall’ambiente culturale milanese: a Milano infatti Manzoni ha trascorso larga parte della sua vita. Eppure l’autore dei Promessi sposi è stato senza dubbio il letterato italiano che più ha saputo dialogare con la cultura europea, non solo in virtù delle sue vicende biografiche che lo hanno portato a Parigi, dove ha potuto frequentare un ambiente letterario vivace e aperto alle novità, ma soprattutto perché Manzoni ha saputo interpretare i cambiamenti dell’epoca, ha saputo confrontarsi con i rinnovamenti in atto nel mondo delle lettere e meglio di chiunque altro ha saputo portare la letteratura italiana in una dimensione europea.
Lo spirito cristiano. Nella formazione del suo pensiero e della sua sensibilità letteraria hanno inciso da un lato il retroterra illuministico, molto vivo nell’ambiente milanese dell’epoca e dall’altro l’influsso delle idee romantiche che circolavano nella stessa Milano e con cui Manzoni si confrontò. Queste si tradussero in una posizione politica liberale moderata, favorevole ai moti rivoluzionari e alle idee risorgimentali, ma furono soprattutto la conversione religiosa e lo spirito cristiano ad avere un ruolo decisivo nella sua concezione della vita, della storia e della letteratura.
Il rinnovamento letterario. Manzoni si è confrontato con i tre generi letterari, la poesia, il teatro e il romanzo, rinnovando profondamente ognuno di essi. Nella lirica ha messo da parte gli orpelli e gli artifici della tradizione classica, puntando decisamente nella direzione dei gusti e della sensibilità moderni: i temi sono quelli religiosi (gli Inni sacri) e civili (Il cinque maggio, Marzo 1821), in linea con la nuova temperie romantica. Nella tragedia (Il conte di Carmagnola, Adelchi) ha rifiutato le tre unità aristoteliche per confrontarsi più da vicino con il “vero” della storia e dando spessore ai drammi interiori dei personaggi. È stato tuttavia nel romanzo che Manzoni ha apportato le maggiori novità. Il romanzo era un genere piuttosto disprezzato dai classicisti e in Italia, in particolare, non era mai sbocciato. L’interesse di Manzoni verso la verità storica, la sua attenzione cristiana agli umili e agli oppressi ha trovato nel romanzo la sua espressione più compiuta, dando origine a una tradizione nuova che negli anni a venire non ha potuto fare a meno di confrontarsi con il modello manzoniano. Il romanzo manzoniano è un affresco storico che analizza lucidamente i soprusi di una società corrotta e ancora feudale; al contempo porta avanti un’idea di società nuova, ispirata a modelli liberali e animata da un senso evangelico che guarda con affetto agli ultimi.
La concezione della storia. Nelle Osservazioni sulla morale cattolica (1819) Manzoni esprime le sue idee in merito alla storia e alla letteratura, concezioni che resteranno valide almeno fino al compimento del suo capolavoro, I promessi sposi. Per Manzoni la storia è un intrico di avvenimenti violenti e soprusi, a partire dalle origini, mentre è solo il Medioevo cristiano che ha posto le radici della società moderna. L’interesse di Manzoni non è posto nelle grandi figure del passato, ma in quelle persone che la storia stessa ha reso invisibili, perché appartenenti a quelle masse senza nomi tralasciate dai libri. Questa visione negativa della storia si approfondisce nelle tragedie, che videro la luce pochi anni dopo, e nei Promessi sposi, dove su uno sfondo concreto e reale (il Seicento), gli umili protagonisti combattono contro l’oppressione e la violenza, guardando fiduciosi verso il volere divino, la “provida sventura”. Da qui emerge una visione tragica dell’esistenza, che permea tutta la produzione letteraria manzoniana: l’esigenza di guardare al “vero” apre le porte a un’arte vivificata da un impegno morale e civile. È per questo che Manzoni rifiuta il vuoto formalismo classicistico e affronta temi e questioni che sente vivi e più vicini alla propria coscienza.
L’utile, il vero, l’interessante. La letteratura ha uno scopo preciso che va al di là della finzione idilliaca e disimpegnata cui erano abituati i classicisti. Nella Lettera sul Romanticismo (1823), indirizzata a Cesare d’Azeglio, Manzoni espone tre principi fondamentali del Romanticismo italiano e della propria poetica: «la letteratura in genere [deve] proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo». Ereditando alcune concezioni illuministe della letteratura, Manzoni ritiene che l’aspetto educativo e morale («l’utile per iscopo») è il fine della letteratura. L’esigenza del “vero” è l’altro aspetto che a Manzoni preme particolarmente: in tutte le sue opere la veridicità storica è fondamentale per comprendere al meglio le vicende che muovono i popoli e i protagonisti delle sue opere. L’“interessante” è l’evoluzione del concetto di “dilettevole”: per Manzoni è opportuno trattare vicende che suscitino l’interesse dei contemporanei, che siano vicini alle esigenze di un gruppo di lettori che non si limiti all’élite dei letterati. Non a caso questo terzo principio si attua compiutamente nel romanzo, il più moderno tra i generi letterari e quello destinato a un pubblico più vasto.
Lo sguardo religioso sul mondo. Secondo Manzoni il suo “sistema” ispirato al vero, all’utile e all’interessante ha una «tendenza religiosa», cioè può avere un influsso positivo sul pubblico, stimolare i valori più alti di un essere umano, porre le basi di una società giusta. Una società giusta secondo Manzoni non può essere al di fuori di una concezione evangelica della società, tuttavia il pessimismo di fondo conduce Manzoni a spostare più in là il raggiungimento della felicità: essa non è possibile nel mondo terreno, bensì in quello eterno. È intorno a questa concezione che ruotano tanto le tragedie (in particolare Adelchi) quanto soprattutto il romanzo. Resta inteso però che il cattolicesimo è la sola forza in grado di contrastare la negatività della storia e portare a una maturazione tanto gli uomini quanto la società.
La questione della lingua. Lo scopo educativo della letteratura e la sua azione nella società degli uomini resterebbe vano se non ci fosse una lingua comune, comprensibile a un intero popolo. È in particolar modo su questo aspetto che la questione culturale-letteraria entra in simbiosi con quella sociale-politica. A partire dalla stesura degli Inni sacri, Manzoni si è posto il problema dei destinatari delle sue opere e del linguaggio da adottare. Se nella poesia l’autore milanese non è riuscito del tutto a liberarsi di echi classicisti e a portare a compimento quella rivoluzione del linguaggio che si era prefissato, nel romanzo egli riesce a trovare quel codice comune tra chi scrive e chi legge, quella lingua che, nelle sue intenzioni, sarebbe potuta essere quella dell’Italia futura. La scelta della lingua parlata dai fiorentini colti per la revisione dei Promessi sposi ha aperto una via nuova alla letteratura italiana e ha offerto una lingua viva, agile, disincrostata da quell’artificiosità che ancora caratterizzava la scrittura dei contemporanei di Manzoni.