Certamente Viosci aveva bevuto un po’ troppo. Già parlava a voce alta, battendo coi pugni su la tavola, interrompendo questo o quello quasi cercasse appiglio a una baruffa. Sapevamo per esperienza ch’egli non aveva, come suol dirsi, il vino allegro; e Barulli, Rojani ed io, che in confronto degli altri quattro commensali potevamo esser qualificati per astemi, ci sforzavamo di evitare che Viosci eccedesse.
A Rinaldi era scappato detto, ora non ricordo a proposito di che: – La santità del rimorso! –
E Viosci di rimpallo:
– Santità? La immoralità del rimorso!… Sí, il rimorso è immorale, perché… non è naturale! È un prodotto della civiltà… e immiserisce e corrompe il carattere umano… L’animale non ha rimorsi… L’uomo schietto, non adulterato dalla religione e dal codice, dev’esserne esente. Chi parla della santità del rimorso è… un mezz’uomo!… Lo proclamo al cospetto del cielo e della terra!… Rinaldi, tu sei un mezz’uomo! E il pugno che suggellò quest’affermazione fece traballare la tavola.
Barulli, Rojani ed io fingemmo di applaudire. Io però tentai d’impedire che Viosci bevesse il bicchiere di vino che si era subito versato. Ma egli, afferratomi il polso, me lo strinse cosí fortemente da farmi aprire la mano che aveva preso il bicchiere per porgerlo a Barulli seduto alla mia destra.
– Non soffro questi scherzi! – urlò. – Non sono ubbriaco…! Ragiono, discuto… meglio di qualche altro!… –
E bevuto, tutto d’un fiato, quel bicchiere, se ne versò un secondo, che bevve lentamente in atto di sfida.
Rinaldi era impallidito; il vino, anche quando gli dava alla testa, lo faceva rimanere calmo, ma ne aumentava la ordinaria dose di ostinazione e di caparbietà. E siccome si piccava di psicologia positiva – e appunto in quel tempo si era reso insoffribile per le sue pretese osservazioni di psicologia animale, con le quali intendeva di provare che le bestie sono, egli diceva: “uomini chiusi!” – senza scomporsi, attese che Viosci finisse di bere, e rispose:
– Come puoi tu affermare che gli animali non sentano rimorso?… Che ne sai tu?
– Che ne so?… Che ne so? Dovrei averlo provato anche io… ogni volta che… Dovrei provarlo anche io… perché… E non ho sentito nulla, nulla, mai, mai, qui! – E picchiò con la palma della destra sul petto – Né qui!… – E picchiò su la fronte – E mi stimo qualcosa di piú delle tue bestie… te compreso!… Oh! E posso dartene le prove… Non sono un mezz’uomo io… Io sono fuori della chiesa… fuori del codice!… E per ciò ti ripeto… vi ripeto: il rimorso è immorale!… Quando una cosa è fatta!… è fatta!… Il rimorso non ripara a niente… E se quella cosa è stata fatta… vuol dire che doveva esser fatta… altrimenti nessuno avrebbe potuto farla… Questa è la mia filosofia! – E un altro suo pugno fece traballare la tavola.
– Filosofia positiva! – soggiunse accompagnando le parole con un terzo pugno piú vigoroso dei precedenti. Accennai a Rinaldi di star zitto; ma Viosci se n’accorse e gridò
– Lascialo parlare!… Non ho paura di lui… Non sono ubbriaco… Voglio discutere… Ragioniamo. Io cito fatti. Non faccio della metafisica, come lui… Che cosa è il rimorso? Cominciamo dal principio, dalla definizione. È la paura dell’ignoto, o della pena corporale… del carabiniere, del magistrato con la toga, quaggiú; del Padreterno, lassú, chi ci crede!…
– Ne ragioneremo un’altra volta – lo interruppe Barulli. – Intanto andiamo a prendere il caffé nell’orto. L’aria libera ci farà digerir meglio e ci darà un po’ di allegria. Siamo funebri oggi -.
Viosci accese un sigaro, e si alzò da tavola, con gli occhi torvi e il viso congestionato. Appena all’aria aperta, mi tirò in disparte e mi sussurrò all’orecchio:
– Rinaldi… è un mezz’uomo!
– Anche un terzo d’uomo – risposi ridendo. – Che te n’importa?
– M’importa – egli riprese – perché non mi piace di essere accomunato con lui… Se gliela dessi per vinta… terrebbe per mezz’uomo anche me.
– No! No!
– Sí! Sí! Io voglio ch’egli sia convinto che non ho mai sentito rimorso, di niente! Ed ho… Si fermò un istante, tirò due boccate di fumo e finí la frase. – Ed ho ammazzato! Ero nel mio diritto. Ognuno ha diritto alla felicità che gli conviene. Non mi credi?… sí, ho ammazzato, con queste mani, cosí… soffocando la miserabile creatura che si metteva a traverso del mio cammino… La ho soffocata in due, tre minuti… Non mi credi?… Sei uno sciocco… Ho la bocca inaridita… Un sorso di vino… Ma no; tu già mi credi ubriaco… Non negarlo… Non esser vigliacco!… –
Si era attaccato a me perché gli altri, conducendo via Rinaldi per impedirgli di rispondere, si erano allontanati sotto il pergolato. E insisteva, insisteva, ripetendomi: – Ho ammazzato! Sí ho ammazzato! Non mi credi? – vedendo che lo guardavo sbalordito, un po’ incredulo e un po’ col terrore negli occhi di quell’inattesa rivelazione.
– Tu non puoi denunziarmi… Non hai prove, non mi hai visto, non sai come il fatto sia accaduto… Nessuno lo sa… Nessuno lo saprà mai… se io non lo dirò. Sono già passati sette anni… Ed io, da sette anni, vivo piú tranquillo di prima. Ero a Parigi, studente, rue Trois Frères in una stanza al quinto piano… Ella abitava con la madre in due stanze su lo stesso pianerottolo… Bellina… bionda, magra, col nasino all’insú… Mi era piaciuta… Non le avevo voluto mai bene; capriccio!… La solitudine, la vicinanza… Si era quasi offerta… Lei mi voleva bene, sí – lo diceva almeno… Era vero, forse… Ma che è per ciò?… Un uomo non deve essere alla mercé di una donnina che dice di volergli bene… Se fosse stato proprio vero… Quando si vuol bene, si vuole anche la felicità della persona amata. Ella era egoista – Dovrei bere un sorso di vino… Ho la bocca inaridita… Lasciamo andare – Egoista! E badava soltanto alla sua felicità. Dovevo essere proprio cosa sua? Cosa; intendi? Cosa posseduta, cosa esclusiva? Io però…
Riaccese il sigaro che gli si era spento in mano, tirò in fretta in fretta alcune boccate di fumo, e riprese:
– Io però non ero dello stesso parere. L’avevo tollerata abbastanza… Le sue gelosie prima mi facevano ridere. Mi divertivo a sentirla sbraitare, a vederla piangere… Non ho il cuore tenero io… Due baci, un abbraccio l’avevano acchetata piú volte. Ma il giorno che scoperse nella tasca del mio soprabito – Non dimenticare mai lettere in tasca… Le donne frugano dappertutto… Hanno il fiuto, maledette bestie, come i cani da caccia! – una lettera dell’altra… Si trattava di cosa seria, di un matrimonio possibile, del mio definitivo stabilimento in Francia, se il matrimonio si fosse avverato… Diventò feroce. “Ah! Ah! vuoi buttarmi via, come uno straccio reso inservibile?” “Che pretendi? Che io ti sposi?” “No. Non ti ho chiesto mai nulla, all’infuori di un po’ d’amore, di un po’, in ricambio del molto che te ne ho voluto e te ne voglio io!” Era di quelle che si attaccano peggio dell’edera, che vogliono morire dove si attaccano. “Che pretendi?” “Che sii mio, tutto mio, ancora, sempre!” Una cosina da niente!… Ancora! Sempre!… Le aveva forse promesso questo?… Ero capitato male… E all’ultimo, sai di che mi minacciò? Di vitroil… vitriolare colei che mi rubava al suo cuore… Ah, non minacciava per burla! Ma prima scrisse… Si presentò in casa della signorina… Come ne aveva appreso il nome e il domicilio? Eh!… Dalla lettera trovatami in tasca… Figurati! Eh! E me lo narrò al ritorno, contenta. “Hai proprio fatto questo?” “Sí” “Hai proprio fatto questo?” Non lo credevo… tanto la cosa mi sembrava enorme. “Ha pianto anche lei, come me! Almeno non sono sola a piangere!” Si vantava!… Perdei il lume degli occhi… L’afferrai pel collo – bianco ed esile collo, con pelle fina come la seta; me n’è rimasta l’impressione! – la rovesciai sul lettino della sua camera… Eravamo soli; sua madre era andata a riportare un lavoro… Non sapeva niente, o fingeva di non saper niente… La rovesciai stringendole il collo con mani convulse… Stralunò gli occhi, dibattendosi, diventò pavonazza in viso… Veramente non avevo intenzione… Ma, meno la sentivo resistere e piú stringevo… piú stringevo… fino a che non sussultò piú… e non si mosse piú!… Era orribile a vedersi!… “Ormai! È fatta!” Non dissi altro! Avevo la mente lucida, il sangue tranquillo… sí, tranquillo, te lo giuro, tranquillo!… Allora… –
Avevo tentato piú volte di farlo tacere; ma egli mi teneva fermo per un polso, quasi incitato dall’espressione di angoscia e di orrore che mi leggeva in viso; e continuava con voce roca, strascicando le parole, spazientendosi perché la lingua non si moveva spedita com’egli avrebbe voluto.
– Allora… Ella aveva le mani increspate per essersi afferrata alle coperte del letto… dopo che mi aveva graffiate le mie difendendosi… Gliele adattai attorno al collo, e le dita contratte, di mano in mano che il corpo si irrigidiva, si affondavano nella carne nei medesimi punti dove si scorgevano ancora le impressioni delle mie ugne… La guardai per convincermi se l’illusione era completa… da simulare il suicidio… Ormai! Era fatta!… Non lo aveva voluto lei?… Ebbene… Sono sette anni… Hai tu avuto rimorso del primo passerotto ammazzato la prima volta che sei andato a caccia?… Proprio cosí, io… La portarono via subito, all’ospedale… Ma io lasciai Parigi la sera di quel giorno… Tutti avevano creduto al suicidio… prima di tutti, la madre! Un collega ha voluto darmi a intendere che la “mia vicina” – egli sapeva! – era stata salvata, all’ospedale… Che! Che! Costui credeva di consolarmi… – egli sapeva! – scrivendomi cosí… Ma io sono certo di averla lasciata morta sul suo letticino, con le mani rattrappite attorno al collo… Ero nel mio diritto… Ognuno ha diritto d’impedire che altri gli attraversi la via della felicità… È vero che io non ho impedito nulla… Ma che vuol dire?… E non ho sentito mai rimorso, mai, mai!… I miei sonni sono stati dolci e sereni; le mie giornate… Non sono uno squilibrato… Sono fuori della chiesa, fuori del codice io!… Sono un uomo… E Rinaldi è mezz’uomo… o un terzo d’uomo, come tu dici!… Perché non ha voluto stare a sentirmi? Mezz’uomo! Egli mi fa pietà!… Si chiamava Enrichetta… Henriette… Riette la chiamavo io… E anche Risette, perché sorrideva, sempre, dolcemente, finché non divenne gelosa e cattiva… Vedi? Ora mi sento intenerire dal ricordo… Mi voleva bene, veramente… Ma dovevo essere cosa sua… ancora, sempre?… E via! E via! Forse sono stato un po’ violento, un po’ crudele con lei… sí, violento, lo confesso… Crudele, ne convengo… Ma rimorsi, mai! Ero nel mio diritto!… Povera Risette!… Non dovevo stringer troppo quel suo collo sottile con pelle fina come la seta… Ma ella mi graffiava le mani… E io stringevo!… Se fosse vero che all’ospedale l’hanno salvata!… Ma che! Ma che! Ne avrei piacere ora… Ormai! È fatta!…!
Viosci si asciugava le lagrime. Il vino gli si scioglieva in intenerimento. Poi cadde in una mutezza triste, in un accasciamento di tutta la persona e volle sedersi. Balbettando parole incomprensibili, si sdraiò sul sedile di pietra, sotto il pergolato, e poco dopo russava. Aveva detto la verità? Nel suo cervello offuscato dai fumi del vino i fatti si erano alterati? Risette era stata davvero salvata all’ospedale da quel tentativo di soffocazione? O neppur il tentativo era avvenuto? Non ho mai avuto coraggio di accertarmene. Viosci non mi ha piú riparlato di Enrichetta, ed io mi son lusingato, per carità umana, che come tutti i proverbi, anche “In vino veritas” abbia questa volta mentito!