Nelle prime tre ottave del canto XII, Ariosto paragona Orlando alla ricerca di Angelica a Cerere, dea della terra e della fertilità, alla disperata ricerca della figlia Proserpina.
Secondo la leggenda a rapire la giovane, mentre coglieva i fiori sulle rive del lago Pergusa ad Enna in Sicilia, era stato Plutone, re dell’Ade, che la trascinò nelle viscere della terra per farla sua sposa e renderla quindi regina degli Inferi.
Cerere allarmata dalle grida della figlia cominciò a cercarla invano in ogni dove senza darsi riposo. Calata la notte, la dea creò due fiaccole eterne accendendo alle falde dell’Etna due ramoscelli di pino e dando loro il potere di non spegnersi mai. Per nove giorni e nove notti, dall’alba al tramonto, senza riposare né nutrirsi, la dea sorella di Giove proseguì quindi invano la ricerca sul suo carro trascinato da due draghi, spingendosi fino anche negli Inferi.
Orlando non aveva a sua disposizione un carro trainato da Draghi, ma poteva dirsi tanto voglioso di ritrovare la persona perduta quanto lo era stata allora Cerere; non riuscì come la dea a controllare ogni minimo luogo, ma svolse comunque una ricerca continua, minuziosa ed estenuante.