LIBERO di Danilo Simoni

LiberoCorro.
Sono nato per correre. Sono veloce, molto veloce.
Senza falsa modestia posso dire di essere tra i più veloci al mondo, forse il più veloce. Non ho mai provato a misurarmi con i campioni, ma non ho bisogno di conferme per sapere quel che già so. Nel mio gruppo solo il mio amico Falstaff riusciva a tenermi testa, anche se per poco tempo.
E’ per questo che sono stato scelto. E’ per questo che ho dovuto lasciare la mia famiglia. Dovere però non è la parola adatta: il “dovere” è far qualcosa per scelta. In realtà nessuno “deve” per forza fare una cosa. Può sempre scegliere di non fare nulla. Io non ho avuto quella possibilità, altri lo hanno fatto per me. Lui, in particolare.
E’ lui che mi ci ha costretto. Quel piccolo, insignificante omuncolo si è illuso di potermi togliere quella libertà.
All’inizio lo consideravo uno dei tanti, uno di quelli che pensa di saper tutto, di poter far tutto, ignorando la sua piccolezza.
Ne ho visti molti come lui, che pensavano di essere alla mia altezza. Eppure bastava guardarmi, per capire che non è possibile privarmi della mia libertà.
Prima ha tentato di diventarmi amico e, a malincuore devo dire, avevo abboccato. I suoi modi gentili, le sue attenzioni, e la sua abilità (perché abile lo era e su questo non c’è dubbio), mi avevano alla fine conquistato. Gli avevo concesso l’onore di correre con me. Alla fine per merito suo ho scoperto il mio incredibile talento.
Poi tutto è cambiato e lentamente, piano piano, mi ha portato via tutto. Mi ha portato via dalla mia terra convincendomi che quattro mura fossero meglio dello spazio aperto, viziandomi con cibi prelibati sempre a mia disposizione e senza fatica alcuna. Mi ha tolto il cielo dalla testa, convincendomi che un tetto potesse ripararmi dalla calura estiva, dalla pioggia autunnale e dal freddo inverno.

Io ero cieco e non vedevo a cosa stavo rinunciando. Nemmeno quando mi ha separato dai miei amici e dalla mia famiglia, portandomi in questo posto, mi sono reso conto di quello che lui mi stava facendo.
Mi importava soltanto di correre, che su quell’anello di terra rossa era talmente bello. Lui diceva che potevo andare più forte, anche quando a me sembrava di dare il massimo. Era vero. Il tempo non si inganna, ma lo si può battere.

Quante volte ho sconfitto quella piccola lancetta e ogni volta che ci riuscivo mi sentivo capace di tutto.
Altri però non arrivavano alla meta e piano piano capii che non era tutto oro quello che luccica. Vederli correre quando non avevano più un briciolo di forza, costretti a farlo incitati da piccoli, insignificanti uomini.
Ho visto molti come me venir maltrattati da loro e nella mia assurda cecità pensavo che fosse giusto così.
Questo fino a quando ho incontrato Falstaff di nuovo dopo qualche anno, non saprei dire quanti, cresciuto e di molto.
Avrei voluto correre con lui per misurarmi ancora, per vedere se ero ancora il più veloce.
Quel giorno invece ho fatto in tempo solo a salutarlo, perchè un piccolo, insignificante uomo lo ha costretto a seguirlo nell’anello.
Io sono rimasto a guardarlo e l’ho visto correre. Ha corso più veloce di quanto mi aspettassi, forse più veloce della lancetta.
Quella volta però la lancetta non si è fermata, perché Falstaff non ha completato l’anello. E’ scivolato all’ultima curva. Una brutta caduta, una di quelle dalle quali è impossibile uscirne illesi.
Falstaff non né è uscito affatto. Ho visto quei piccoli, insignificanti uomini avvicinarsi a lui, e poco dopo… lo hanno ucciso. E’ bastato un attimo per fermare la lancetta di Falstaff.
Un colpo solo, secco, improvviso, brutale.
In quel momento ho ricominciato a vedere. Ho guardato tutto chiaramente, con occhi nuovi. I miei simili intorno a me si limitavano a volgere lo sguardo, come non volessero rendersi conto di quello che era successo.
Si rifugiavano tra le loro quattro mura, infilando il muso nel cibo, come se bastasse avere i paraocchi per ignorare la realtà.
Avevano perso tutto: la loro terra, la loro famiglia, i loro amici, la loro dignità e soprattutto la loro libertà.
Costretti a correre fino alla morte per un po’ di cibo e qualche comodità. Costretti a vivere una vita di prigionia in pochi metri quadri per una mezz’ora nella quale ci si illudeva di correre liberi, costretti a obbedire a piccoli, insignificanti uomini dal cuore crudele.
Ci è voluta la morte del mio migliore amico per farmi capire.
Me ne sono andato di corsa, travolgendo quel gruppo di piccoli insignificanti uomini che avevano ucciso Falstaff. Ho corso sul quell’anello di terra così veloce che la lancetta non ha compiuto nemmeno un giro. Ho scavalcato la recinzione mentre alcuni di loro, insieme ad altri come me, cercavano di raggiungermi.
Illusi… Io sono il più veloce, forse il più veloce del mondo.
Solo Falstaff riusciva a starmi dietro.
Ho corso fino al tramonto, con le lacrime agli occhi e quando non ce la facevo più, ho corso ancora e ancora, sempre più forte, nella sfida contro il tempo più importante della mia vita.
Ho corso per la mia terra, per la mia famiglia, per Falstaff e per … la mia libertà.

Racconto di Danilo Simoni, simonidanilo.blogspot.it, tratto dalla raccolta Sephir