Certe cose nascono piano piano. Ci vuole tempo.
Sono in molti ad apprezzare quello che faccio, ma pochi hanno veramente voglia di aver a che fare con me. Non so se questa diffidenza sia dovuta al mio aspetto che in qualche modo intimorisce, o a quell’alone di eleganza raffinata che tanti mi attribuiscono. Di certo non è facile andare d’accordo con me. In molti ci hanno provato.
Qualcuno mi si avvicina per curiosità, credendo che in realtà basti poco ad “addomesticarmi”, ma ben presto si accorge che è tutt’altro che facile. Bambini viziati, costretti a fare quello che non vogliono, prendendo tutto come un gioco, senza comprendere null’altro. Molti di loro non hanno nemmeno il rispetto che dovrebbero avere, come se avessero a che fare con un giocattolo che possono maltrattare come e quando vogliono.
Certe volte i bambini fanno male, l’ho scoperto a mie spese.
Non tutti per fortuna. Solo alcuni di essi sembrano messi in soggezione dalla mia presenza, timorosi di quello che potrei fare.
Quelle piccole dita delicate, incerte, ogni tanto mi mancano, come anche certi sorrisi quando finalmente le loro fatiche venivano premiate. E che dire delle loro risate squillanti quando ero io a stupirli.
Per molti sono tuttavia solo un passatempo temporaneo, una moda alla quale non si appassioneranno mai, un accessorio, un sopramobile che di giorno in giorno sparisce sotto la polvere.
Non hanno più interesse, né per me né per altri. Quanti mi hanno dimenticato senza dimostrare capacità proprie.
Altri invece, più caparbi, ci mettono impegno, passione, tecnica, tenacia, caparbietà, cocciutaggine. Potrei dire che ce la mettono tutta e per questo li ammiro.
Eppure certe volte mettercela tutta non basta. Quanti di loro ho visto smettere di punto in bianco, arrendendosi all’evidenza che aver a che fare con me va ben oltre un mero esercizio fisico. E io me ne dispiaccio, perché tra di loro qualcuno di simpatico c’era. E’ difficile capirmi, molto difficile.
Poi finalmente ho trovato lui. Il piccolo Richy.
Quando l’ho incontrato per la prima volta, pensavo fosse uno dei tanti che ci provano. Ne avevo conosciuti troppi di quelli che non capiscono, in tutti quegli anni. Richy era diverso e me ne accorsi piano piano. All’inizio mi sembrava solo particolarmente dotato, una delle tante promesse che non vengono mai mantenute. Invece mi sbagliavo e non sapete quanto.
Richy non mollava, passavano gli anni e non mollava. Piano piano l’ho visto crescere, ho visto quelle dita muoversi da incerte a sicure, da lente a rapidissime, mentre gli spartiti si facevano sempre più complessi. Ora le sue dita danzano, non saprei esprimermi in modo migliore. Danzano sui tasti in un ballo che lascia senza parole.
Mi piaceva suonare con lui. Non da subito, questo no, ma Richy è un po’ come me.. deve essere capito.
L’ho visto arrabbiarsi, piangere dalla frustrazione dopo l’ennesimo errore, dopo quel passaggio tanto difficile da risultare impossibile. Quando poi abbiamo trovato un intesa, dio… siamo diventati una cosa sola. E lo hanno capito tutti. Tutto il mondo ha capito cosa eravamo in grado di fare, insieme. La musica prendeva vita in maniera stupenda come mai prima.
E quando gli spartiti non bastavano più, ne abbiamo creato insieme di nuovi. Con il suo talento abbiamo continuato a suonare anche quando la musica era finita.
Perché gli spartiti a noi non servivano. Eravamo noi gli spartiti. Non agivamo a memoria, ma a fantasia, assecondando l’impulso del momento, ogni volta diversi, geniali, irripetibili.
Siamo diventati famosi, abbiamo suonato in ogni parte del mondo, ammaliando persone di ogni tipo, di ogni ceto sociale, cultura, razza, religione. Perché, come qualcuno ha detto, la musica è il linguaggio universale. Le emozioni sono universali e… dio… noi con le emozioni ci sapevamo fare. I volti del pubblico estasiato, le risate, la tranquillità che riuscivamo ad infondere, la gioia, la tristezza, la malinconia, l’amore e l’odio.
Quanta gente ho visto commuoversi sotto l’influsso di questo nostro potere. Il potere di far vibrare l’anima.
Perché ho smesso di suonare? Gli anni passano per tutti, anche se, lo devo ammettere senza falsa modestia, li porto molto bene.
E comunque non ho smesso di suonare. Semplicemente non lo faccio più in pubblico. Richy penso non smetterà mai, perché lui, come me, ha la musica dentro.
Quando torna a casa spesso suoniamo insieme, musiche che nessuno ha mai ascoltato, che nessuno ascolterà mai. Perché noi ci capiamo e certe cose vogliamo tenerle solo per noi.
Ora vi devo lasciare, sta tornando e forse suoneremo per noi. In tal caso non potete ascoltare, non me ne vogliate, ma non potreste capire.
Racconto di Danilo Simoni, simonidanilo.blogspot.it, tratto dalla raccolta Sephir