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Terminati gli studi presso l’accademia militare, Giovanni Drogo, appena nominato ufficiale, lascia una mattina di settembre la casa dove vive con sua padre per andare a prestare servizio con il grado di tenente presso la misteriosa fortezza Bastiani. È finalmente arrivato il giorno che il protagonista ha sempre atteso come l’inizio della vera vita. Lo attendono soldi e prestigio. Ma, stranamente, Giovanni non si sente affatto entusiasta, è anzi decisamente malinconico. Inizia ad avere sentore che il tempo migliore, la prima giovinezza, è in realtà praticamente finito. Ha il presentimento che il suo sia quasi un viaggio senza ritorno.
Ha appena lasciato la città, la sua casa, i suoi amici e già tutto gli sembra lontano: tutta quella vita facile ed elegante oramai non gli appartiene più, cose gravi e sconosciute lo attendono.
Per raggiungere la fortezza bisogna attraversare gole e valli, arrampicarsi a cavallo lungo sentieri che costeggiano scarpate, superare creste rocciose. Giovanni non sa nemmeno esattamente dove si trovi: l’indicazione fornita dall’amico Francesco Vescovi è sbagliata ed il ragazzo deve chiedere continuamente indicazioni, puntando infine ad una costruzione solitaria scorta tra le cime delle montagne.
L’ultimo tratto lo percorre insieme al Capitano Ortiz che lo introduce alla fortezza Bastiani. Non è assolutamente maestosa e imponente ma anzi una delle più piccole. È posta a difesa di una striscia di confine morta, di fronte ad un vasto deserto di cui non si riesce ad intravedere l’estremità; popolato forse anticamente dai Tartari che potrebbero, alcuni pensano, disporre ancora di un piccolo esercito… ma nessuno ne sa niente ed è quindi probabilmente una leggenda.
La fortezza non è di fatto mai servita a niente. È isolata dal mondo. L’attività militare che si svolge al suo interno è una routine infinita senza scopo. Giovanni Drogo è sconvolto dalla crudezza della realtà, così lontana dalle sue attese. Sente subito una forte sensazione di solitudine che lo spinge quasi a scappare ancora prima di entrarci. Ma la fortezza esercita su di lui anche un forte fascino, legato al misterioso deserto che si estende a Nord. Gli viene data la possibilità di tornare subito in città, la sua repulsione è comprensibile, ma poi una proposta meno impulsiva: rimanere in servizio per quattro mesi per essere poi riformato dal medico per motivi di salute.
Il protagonista rimane sorpreso dal fatto che ci siano alcuni uomini che abbiano deciso di rimanere a vita nella fortezza: come il sergente maggiore Trank, ossessionato dalle procedure e dal regolamento militare, o il sarto Prosdocimo e suo fratello, che mette in guardia il protagonista perché sembra leggergli negli occhi il suo destino, o Pietro Augustina, che è ha perso ormai ogni interesse per la vita e rifiuta l’invito dell’amico storico Max Lagorio, congedato, di partire insieme.
Passa il tempo e la giovinezza di Giovanni Drogo è oramai un ricordo. Durante la visita medica che dovrebbe finalmente decretarne la libertà, il ritorno alla vita di città, arriva una decisione inaspettata: vuole rimanere nella fortezza Bastiani, non vuole lasciarla…
Giovanni decide di rimanere sia perché sente che il suo eroico destino è legato al deserto del Nord, ma anche perché la vita della fortezza è diventata per lui una irrinunciabile abitudine.
Il tempo passa monotono alla fortezza e Drogo sembra non accorgersi che gli anni migliori della sua vita stiano passando senza che nulla accada. Lui, come tutti quelli che si fermano alla guarnigione, è convinto che qualcosa debba prima o poi succedere e vive nell’attesa.
Passano circa due anni e finalmente una notte come tante altre qualcosa sembra infine realmente accadere: quando Drogo è di guardia alla ridotta nuova, il fortino più estremo affacciato direttamente sul deserto del Nord, si vede in lontananza una macchia nera in movimento.
All’inizio Giovanni e le sue guardie pensano di avere un’allucinazione, ma poi quando comincia a far luce capiscono che quello che avanza verso le mura è un bellissimo cavallo nero sellato.
È solo un cavallo, ma Giovanni e il sergente maggiore Tronk capiscono che l’animale annuncia inevitabilmente l’arrivo del nemico. Non è infatti un cavallo selvaggio, è sellato e non può appartenere ad altri se non al popolo del Nord.
Un soldato, Lazzari, è invece convinto che sia il suo di cavallo e durante il cambio di turno della guardia, al rientro dalla ridotta nuova, abbandona di nascosto i compagni per recuperarlo. La violazione del regolamento gli è fatale: al rientro alla fortezza con l’animale, che non è nemmeno il suo come credeva, si rende conto di andare incontro a molto più di una semplice punizione. Per poter rientrare è necessaria la parola d’ordine e lui non la può sapere, perché viene detta solo agli ufficiali e non ai soldati semplici. Superato il limite di sicurezza oltre il quale le guardie hanno l’obbligo di sparare a chiunque non sappia la parola d’ordine, Lazzari cerca di farsi riconoscere a vista ma la sentinella deve rispettare il ferreo regolamento e gli spara in fronte, uccidendolo. Il maggiore Matti non si dispiace affatto per l’accaduto ma è anzi compiaciuto dalla perfetta mira del soldato che ha sparato.
L’alba seguente i soldati della Fortezza vedono una piccola striscia nera che avanza lentamente lungo il deserto nella loro direzione. Come ci si aspettava, il cavallo era indizio dell’arrivo di soldati.
Nella fortezza dilaga l’eccitazione per una imminente battaglia. Tutti si aspettano che il comandante Filimore dia l’allarme ma l’uomo tentenna perché non riesce proprio a credere che finalmente, dopo una vita spesa ad aspettare uno scontro armato, possa essere ora davvero giunto il suo momento. Pensa che debba esserci un madornale errore, non vuole dover affrontare una ennesima illusione e rimane inerte. La fila di soldati intanto avanza e si fa sempre più vicina alle mura.
Proprio quando gli altri militari riescono finalmente a convincere Filimore ad agire e il comandante sta per dare l’allarme, un ufficiale dei dragoni lo ferma per consegnargli un messaggio dalla città, da parte di Sua Eccellenza il capo di Stato Maggiore: la fila di soldati avvistati sono reparti dello stato del Nord incaricati di stabilire la linea di confine in un punto sulle montagne dove non è ancora stato definito. L’incarico affidato ai soldati della fortezza è quindi quello di cercare di spingere i confini più in là possibile, anche se sono oramai in ritardo rispetto a quelli del Nord.
C’è così grande delusione da parte del comandante Filimore e dei suoi soldati che si erano molto eccitati all’idea di poter combattere veramente una guerra: tutte le loro speranze sono state ancora una volta disilluse.
La mattina seguente viene organizzata una spedizione con a capo il maggiore Monti e il sergente Angustina per assolvere al nuovo incarico. Il gruppo di soldati si dirige di gran passo verso la cima nord della montagna ma dopo ore di cammino, quando ormai si è avvicinata la sera ed una bufera di neve sta per abbattersi su di loro, si accorgono di non avere nessuna possibilità di arrivare in cima prima dei reparti del nord. La sconfitta diviene evidente quando a pochi metri dalla vetta un’alta roccia non permette loro il passaggio e, mentre si ostinano a cerca un modo di arrampicarsi, dall’alto i nemici gli calano delle corde invitandoli, in modo sarcastico, ad utilizzarle per raggiungerli sulla vetta. Per non perdere la faccia, Monti e Angustina decidono di inscenare una commedia facendo finta di giocare a carte per non dare troppo peso alla sconfitta subita. Il maggiore si presta al gioco per qualche tempo, poi si stanca e va a mettersi al riparo dalla tormenta. Il sergente invece non molla e nonostante il freddo estremo continua la farsa da solo, facendo anche finta di avere ancora un compagno di gioco. Angustina per qualche suo strano motivo rimane fermo nella sua decisione di rimanere esposto alle intemperie fino a superare il limite umano di sopportazione: il gelo lo coglie e il sergente muore congelato. Per i commilitoni è un eroe morto in battaglia: la croce in legno sulla tomba del soldato Lazzari è ora affiancata dalla croce in pietra bianca sulla tomba del sergente Angustina.
Il tempo riprende a scorrere inesorabile, uguale a prima, senza che nulla accada. Drogo prende un permesso per fare ritorno in città ma l’esperienza è negativa. Gli amici, Maria, la sorella dell’amica Francesco Vescovi e sua promessa sposa, i fratelli e la sua stessa mamma sono per lui ora quasi estranei. La loro vita è andata tranquillamente avanti anche in sua assenza e lui si sente ora lontano da loro. Ma ancora peggio, durante il colloquio con un generale per chiedere il trasferimento dalla fortezza, viene a sapere che è stato in realtà decisa da tempo una riduzione e molti dei suoi compagni hanno già fatto richiesta (la speranza di una battaglia è oramai definitivamente morta in tutti dopo l’ultima vicenda) guadagnando la precedenza. Lui è stato tenuto all’oscuro di tutto e non ha quindi ora nessuna possibilità di partire.
Giovanni si risente del fatto che gli altri gli abbiano tenuto segreta la faccenda, ma sente ancora più rabbia perché si sente come imprigionato. Gli hanno mentito sin all’inizio: non ha mai avuto la possibilità di scegliere; nessuno l’ha mai avuta la possibilità. Tutti, compreso lui, sono lì perché costretti… ma gli altri adesso hanno la possibilità di andarsene. La rabbia però svanisce presto e Drogo è anzi quasi sollevato dal fatto che non debba affrontare cambiamenti.
In lui si accende inoltre nuovamente la speranza che dal deserto dei Tartari possa arrivare il nemico e non vuole proprio perdere la possibilità di esserci, dopo tutto il tempo speso ad aspettare. Una volta partite tutte le carovane dei trasferiti, il tenente Simeoni mostra infatti al protagonista una nuova scoperta fatta grazie ad un suo personale nuovo binocolo, molto più potente di quelli in dotazione agli altri soldati: un piccolo gruppo di punti neri si muove al limite delle nebbie settentrionali del deserto… sembra che il popolo del nord stia costruendo una strada in direzione della fortezza.
Nessuno a parte Simeoni e Drogo dà credito a questa nuova ipotesi e le poche volte che i due ne parlano con gli altri della guarnigione vengono anche derisi. Un giorno viene anche dato ufficialmente un ordine che è chiaramente mirato a sopprimere ogni loro speculazione: l’uso di strumenti non della fortezza è proibito e viene anche chiesto di non parlare di nemici che vengono dal nord per non allarmare e mettere agitazione tra i soldati ed evitare anche di compromettere i buoni rapporti di vicinato con il popolo del nord. Simeoni si conforma subito alle nuove disposizioni, consegna immediatamente il suo cannocchiale al comandante ed evita bruscamente i tentativi di Drogo di avvicinarlo per commentare il comando. Quando lo incontra nega anzi tutto quello che aveva detto in precedenza, rigirandolo come uno scherzo.
Giovanni rimane l’unico a credere che quei puntini lontani siano soldati nemici impegnati a costruire una strada ad usa militare in direzione della fortezza… ed effettivamente ha ragione: il tempo passa, i puntini si avvicinano e non serve più nemmeno un cannocchiale speciale per vedere chiaramente cosa sta succedendo. Solo i tempi inizialmente ipotizzati e le dirette conseguenze non saranno come Giovanni si aspettava: i nemici ci impiegheranno 15 anni per terminare la strada e una volta ultimata si ritireranno nuovamente oltre le nebbie del nord.
Il tempo continua implacabile a passare. Drogo invecchia. Ortiz, Monti e Matti sono andati in pensione. I tenenti presenti sono saliti di grado per coprire le posizioni rimaste scoperte. Anche Giovanni è salito di grado diventando maggiore in seconda. Nuovi ne arrivano a dare il cambio. Un nuovo arrivato attira in particolare l’attenzione del protagonista: il tenete Moro sembra ripercorrere in tutto e per tutto la sua esperienza, quasi come la vita fosse un ciclo interminabile che vede cambiare i personaggi ma non le situazioni.
Arrivato oramai a 54 anni, prossimo alla pensione, Giovanni Drogo comincia a sentire gli acciacchi della vecchiaia, ha problemi al fegato e ora, oltre alla speranza della guerra, ha anche la speranza della guarigione. Non vuole farsi trovare impreparato.
La sua malattia lo rende però totalmente inutile alla vita militare e dopo una vita di attesa, di aspettativa per qualcosa di grande, quando finalmente dal nord, dal deserto dei Tartari, si vedono arrivano i nemici con chiare intenzioni di dare battaglia, lui non è più in grado di comandare. Non riesce a stare in piedi, ha continui mancamenti e così Simeoni, ora comandante della fortezza, contro il volere del protagonista, fa chiamare una carrozza per trasportarlo in città dove potrà curarsi. Il suo comando è però dettato da un motivo molto più pratico e meno sentimentale: ha bisogno della camera di Drogo, serve spazio per accogliere i soldati mandati come rinforzo per l’imminente guerra. Dopo anni di partenze, la fortezza Bastiani torna infatti a popolarsi.
Drogo che si era tanto eccitato all’idea di poter partecipare alla guerra tanto agognata, è ora arrabbiato, deluso e triste, ma non può far altro che conformarsi agli ordini del suo superiore anche perché non ha nemmeno la forza per reagire, tanto è malato. È costretto a lasciare la fortezza proprio alla vigilia della battaglia.
La carrozza che trasporta Drogo fa tappa in una locanda ed il protagonista, nella solitudine della sua stanza, riflette sulla propria esistenza. Passa dalla desolazione all’assoluta tristezza e mortificazione per la consapevolezza di avere aspettato invano per tutta una vita il suo momento di gloria, ad un ritrovato orgoglio e coraggio nell’affrontare la morte nel suo stato, solo al mondo, senza amici, figli e senza aver lasciato nessun segno. Si convince infine che ci voglia molta più forza nell’affrontare la fine nella sua condizione piuttosto che in battaglia o circondato da persone che ti vogliono bene. È questo il suo momento di gloria.
Con questi pensieri, Giovanni Drogo si lascia morire nel cuore della notte.
Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.