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Trama:
Protagonista del romanzo Il sentiero dei nidi di ragno è Pin, una bambino costretto a crescere troppo velocemente: alla morte della madre, le visite del padre marinaio hanno iniziato ad essere sempre più rare fino a cessare del tutto e il protagonista vive così insieme alla sorella, una prostituta, nella sgabuzzino di fianco alla stanza dove la ragazza accoglie i suoi clienti. Pin è cresciuto in mezzo alla strada frequentando sempre e solo adulti che gli offrono da bere e da fumare, lo incitano a cantare canzoni volgari, gli raccontano storie di sesso e sangue, chiedono di sua sorella. Lui è solito scherzare con loro, canzonandoli tutti, ma si sente comunque escluso dal loro gioco misterioso fatto di parole misteriose e non si fida di loro. I bambini della sua età sono affascinati dalle sue storie d’adulto ma, incitati dalle madri, lo lasciano comunque da parte e lo escludono anch’essi dai loro giochi. Loro lo invidiano per come sa comportarsi con i grandi, lui segretamente invidia loro per i giochi ma apertamente li considera degli sciocchi. Pin è di fatto solo al mondo, evitato ed insultato da tutti.
L’unico aggancio con la sua vera età, con l’innocenza e le fantasie che la contraddistinguono, è rappresentato per Pin dal luogo dove i ragni fanno il nido (gallerie in ragnatela con cui lui gioca); un luogo magico che lui solo conosce e che è disposto a condividere solo con il suo migliore amico, se mai lo troverà.
Una sera Pin entrando nell’osteria che è solo frequentare, vede che tutti i suoi “amici adulti” sono seri, intenti ad ascoltare un personaggio misterioso al quale il bambino attribuisce il nome di Comitato: è lì nelle vesti di rappresenta del comitato per la lotta partigiana contro nazisti e fascisti. Gli uomini non sembrano proprio disposti a scherzare con il bambino e gli chiedono anzi di rubare la pistola al marinaio tedesco che frequenta sua sorella: se no non ti far più vedere
Pin prende seriamente il compito che gli hanno affidato ed approfittando del momento di intimità tra la sorella ed il marinaio, riesce ad intrufolarsi nella stanza di lei, a rubare la pistola e ad uscire in silenzio. Dopo averci giocato (puntandosela anche alla testa ed in gola) e fantasticato sul potere che gli può derivare dal possedere un’arma da fuoco, fa ritorno all’osteria godendo di già dello stupore generale di fronte al successo della sua missione. Tutti però sembrano essersi completamente dimenticati della pistola e sembrano anzi anche dubitare del personaggio misterioso incontrato in precedenza. Deluso da questo loro atteggiamento (i grandi sono una razza ambigua e traditrice, non hanno quella serietà terribile nei giochi propria dei ragazzi) decide di non dare loro il bottino e scappa disperato verso il luogo misterioso dove i ragni fanno il nido. Lì torna a giocare con la pistola e senza volerlo fa infine partire un colpo che echeggia nella notte, zittendo la natura circostante. Quando le rane tornano a gracidare e il mondo prima dato per morto torna a farsi sentire, il bambino seppellisce l’arma e fa ritorno in paese giocando con il cinturone che ha deciso di portarsi dietro. Ad attenderlo ci sono le pattuglie tedesche e fasciste armate: hanno arrestato tutti gli avventori dell’osteria e, su indicazione del marinaio, prendono anche lui e lo portano al comando.
I tedeschi sotto peggio delle guardie municipali e durante l’interrogatorio per fargli confessare dove ha nascosto la pistola, Pin non può barattare la libertà con una notte con sua sorella (che è pure presente). Viene così preso a cinghiate in faccia fintanto che non inizia ad urlare come un disperato costringendo l’ufficiale a rimandare l’interrogatorio. Mentre viene accompagnato nella prigione il bambino incontra Miscèl il Francese, il frequentatore dell’osteria che gli aveva chiesto di prendere la pistola del marinaio, arrestato anche lui ma ora lasciato libero: ha deciso di unirsi ai fascisti ed entrerà a far parte della brigata nera. Pin gli adulti non li capisce proprio.
Nella mensa della prigione Pin viene avvicinato da un ragazzo grande e grosso con la faccia più gonfia e livida della sua, è Lupo Rosso, un mito della resistenza partigiana: a ogni colpo incassato dai fascisti, a ogni bomba che scoppia nella villetta d’un comando, a ogni spia che sparisce e non si sa dove va a finire, la gente dice un nome sottovoce: Lupo Rosso. Nonostante la drammatica situazione in cui si è cacciato, Pin continua a comportarsi come se fosse un gioco, vantandosi di essere stato fatto prigioniero per aver rubato una pistola e sognando di dar luogo ad esplosioni insieme al nuovo compagno, che vorrebbe come miglior amico.
Lupo Rosso confessa a Pin che ha un piano per scappare e decide di coinvolgerlo. Lo fa prelevare dalla cella dove era stato rinchiuso (insieme a Pietromagro, il calzolaio presso il quale Pin lavorava come garzone) con la scusa di averne bisogno per portare il barile dell’immondizia. La fuga è spettacolare: mentre Pin distrae l’uomo di guardia parlando di sua sorella, Lupo Rosso lo ingabbia nel barile; il bambino si lascia scivolare lungo il tubo di scarico di una grondaia, il ragazzo si lancia su un albero ed usa i rami per attutire la caduta. Inseguiti dalla guardie riescono infine a scappare nascondendosi dietro un grande serbatoio presso un campo di garofani. Per Pin è ancora un gioco: mentre l’altro lascia scritte propagandistiche e vuole solo recuperare la pistola del marinaio, lui scrive parolacce, traccia disegni osceni e vuole fare interessare il compagno ai nidi di ragno per capire se davvero può essere il suo grande amico.
Successivamente Lupo Rosso abbandona il nascondiglio per ispezionare l’area circostante ma non fa più ritorno. Pin si decide così ad uscire anche lui allo scoperto e torna quindi al luogo dove a nascosto la pistola, l’unica cosa che gli resta al mondo. La disotterra ma poi la la nasconde nuovamente perché si rende conto di non sapere cosa farne e, disperato, con le lacrime agli occhi, si mette infine a vagare per i campi. Un uomo grande e grosso, vestito in borghese e armato di mitra viene attirato dal suo pianto: è un partigiano di ritorno da una missione solitaria che ha portato all’uccisione di un nemico. L’omone misterioso, soprannominato Cugino, lo consola, gli dà del pane e tenendolo per mano lo porta all’accampamento del Dritto, il comandante del suo distaccamento. Cugino è sempre arrabbiato con le donne: sua moglie l’ha prima tradito mentre lui era in missione e poi, al suo ritorno, l’ha anche denunciato ai fascisti costringendolo a fuggire per i boschi.
Quando arrivano è in corso una battaglia e sono tutti assenti. La canzone bandiera rossa annuncia che i partigiani hanno vinto e i soldati iniziano così a fare ritorno. Tra di loro Pin scorge anche Lupo Rosso: il ragazzo, durante la perlustrazione nei dintorni del campo di garofani, aveva visto tre autocarri carichi di soldati tedeschi pronti per partire ed era quindi subito andato ad avvisare i compagni dell’imminente attacco, abbandonando Pin. Grazie alla sua informazione, l’agguato era stato portato dai partigiani e non invece subito.
Lupo Rosso dice a Pin che nel distaccamento del Dritto ci mandano le carogne, i più scalcinati della brigata: raggruppa tutti quegli uomini e ragazzi che rischierebbero di rovinare soldati di valore. Il distaccamento è tenuto isolato, in disparte. Non gode della fiducia della brigata. Non viene mandato in prima linea ma tenuto in retroguardia.
A Pin viene affidato il compito di fare da garzone a Mancino, il cuciniere sempre accompagnato dal suo inseparabile falchetto Babeuf (che sarà poi costretto ad uccidere con le sue stesse mani per evitare di scontrarsi con i compagni). Gli sembra di essere tornato in paese e, come fosse nuovamente all’osteria, canta sempre a squarciagola e inizia a prende in giro tutti: i suoi preferiti sono Zena il Lungo detto Bertetta-di-Legno famoso per la sua pigrizia, ed i cognati calabresi Duca, Marchese, Barone e Conte con il loro linguaggio incomprensibile. Gli altri dal canto loro giocano con lui puntando tutto sul fatto che è solo un bambino e che non può per questo prendere parte all’azione.
Per i soldati Pin nutre una grande ammirazione perché sanno storie di autocarri pieni di gente sfracellata e storie di spie che muoiono nude dentro fosse di terra. Sono inoltre diversi da tutti gli altri uomini incontrati in precedenza perché hanno sempre e solo il nemico in testa: non sanno pensare ad altro, come innamorati, e quando dicono certe parole tremano nella barba, e gli occhi luccicano e le dita carezzano l’alzo dei fucili.
Una sera a causa di una debolezza del Dritto, che si è invaghito della Giglia, la moglie del cuciniere Mancino, e preso dalla passione ha continuato ad alimentare il fuoco all’interno del casolare in cui sono accampati, scoppia un incendio che obbliga il distaccamento a spostarsi presso un fienile. Facile immaginare che l’incendio abbia attirato l’attenzione del nemico ed i soldati iniziano così a sentirsi già accerchiati e spacciati. Il Dritto sa di essere giunto comunque alla fine: se non morirà per mano del nemico, nella migliore delle ipotesi verrà allontanato dal comando di brigata, ma è molto più probabile la fucilazione. Ha inoltre contro l’odio di tutti i suoi che lo sanno essere il responsabile.
Giungono al distaccamento il comandante Ferriera e il commissario Kim, che oltre ad informarsi sulle responsabilità dell’accaduto (il Dritto confessa) comunicano anche i nuovi ordini: una colonna tedesca sta risalendo la vallata, per rastrellare tutte le montagne e loro devono farsi trovare pronti l’indomani mattina. Non è stato solo l’incendio a rivelare la loro posizione, c’è anche un traditore, Pelle. Il ragazzo sempre raffreddato e patito di armi, fino a poche sere prima era schierato dalla loro parte, ma lasciato il distaccamento con la scusa di andare a recuperare altre armi (e con la scommessa di trovare e sottrarre la pistola di Pin) si era presentato di sua spontanea volontà alla brigata nera e aveva fatto la spia. Il Dritto è chiamato all’azione ma non fa altro che ripetere ai due superiori che è molto malato.
Il mattino dopo tutti i soldati partono per andare in battaglia tranne il Dritto, che si tira fuori dichiarandosi ancora molto malato. Rimane così al fienile insieme a Giglia e Pin. Il bambino ha capito quali sono le intenzioni del comandante e prova anche ad armarsi con l’intenzione di unirsi alla marcia. Vuole vedere quale è la reazione dell’uomo, cerca di farlo uscire allo scoperto, ma il comandante rimane invece impassibile e continua ad ignorarlo.
Rimasto solo al fienile con la moglie del cuciniere e Pin, il Dritto cerca in tutti i modi di liberarsi del bambino mandandolo più volte a prendere dell’acqua ed infine a seppellire il falchetto Babeuf ucciso da Mancino stesso per farlo stare zitto. La battaglia inizia proprio mentre Pin sta sotterrando l’animale ed il bambino, spaventato, torna piangendo al fienile gridando aiuto. Trova così l’uomo e la donna distesi tra i cespugli con i corpi avvinghiati l’uno all’altro.
Terminata la battaglia con una ritirata strategica, che non è stata una sconfitta, tutti i soldati si ritrovano al passo della Mezzaluna. La Giglia e Pin li hanno raggiunti insieme al Dritto, che ora non ha più nessun potere sugli uomini del distaccamento: se lui desse un ordine, o se un compagno gli parlasse, certo tutti insorgerebbero contro di lui, sarebbero dette parole violente. Ma non è quello il momento: l’hanno compreso tutti, lui e gli altri, come per un tacito accordo, e continuano lui a non dar ordini né rimproveri, gli altri a fare in modo di non averne bisogno.
Pin incontra il sua amico dell’osteria Gian l’Autista che gli confida che è già stata presa la decisione di sciogliere il loro distaccamento e gli racconta anche cosa è successo in paese: gli altri frequentatori del locale li hanno fucilati o deportati in Germania; è caduta una bomba che ha distrutto quasi tutto l’abitato; sua sorella si accompagna ora agli ufficiali nazisti.
Arriva nel frattempo Lupo Rosso e racconta a tutti l’agguato che hanno teso a Pelle per vendicarsi del tradimento. Elenca anche tutte le armi che sono state trovate nel suo appartamento e la P.38 di Pin non c’è.
Pin è disperato, ha perso tutto e a breve, sciolto il distaccamento, partito anche Cugino, rimarrà da solo e senza nessun posto dove andare. Decide di sfogare questa sua disperazione sui soldati, che sente ora di odiare per il loro essere incomprensibili. Dopo aver annunciato loro lo scioglimento, canzona uno ad uno tutti i presenti dicendo loro a che battaglione saranno destinati. Arrivato il turno di Mancino il bambino lo assegna al distaccamento dei cornuti ed inventa anche una canzoncina che lo informa del tradimento della moglie. La Giglia è immobile per la disperazione; Mancino è preso da una crisi di isterismo e continua a ridere; il Dritto cerca di fare star zitto Pin torcendogli il braccio fino quasi a spezzargli le ossa.
Pin si libera con un morso e dopo aver insultato tutti scappa dall’accampamento. Il Dritto cerca di corrergli dietro ma viene fermato da due guardie: Ferriera e Kim lo hanno chiamato a rapporto e deve andare disarmato. L’uomo, rassegnato, va incontro al suo destino.
Pin scende dai monti, passa posti blocco tedeschi giocando sul fatto di essere solo bambino e giunge infine al suo paese. Si reca subito dove i ragni fanno il nido e trova tutta la terra smossa: la sua pistola è stata rubata. Si reca poi da sua sorella per mangiare qualcosa e scopre che la ragazza ha avuto in dono una pistola da uno della brigata, sempre raffreddato, che le ha anche detto cosi resta in famiglia. Era Pelle e l’arma è la P.38 di Pin, che subito se ne impossessa e scappa.
Vagando per i campi con le lacrime agli occhi Pin incontra nuovamente Cugino e gli parla del luogo segreto dove ci sono i nidi di ragno, suscitando la curiosità del’omone che subito vuole vederli. Può essere lui l’amico tanto atteso? Cugino sembra deludere il bambino quando chiede di essere indirizzato a suo sorella, ma quando poi fa subito ritorno senza aver combinato niente, vinto dallo schifo, è tutto chiaro: Cugino è davvero il Grande Amico… e continuano a camminare, l’omone e il bambino, nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano.
Commento e analisi:
Una formazione partigiana dalla dubbia eroicità. Non a caso i personaggi principali del romanzo, quelli della Banda del Dritto, sono tutt’altro che eroi della Resistenza. Più che una brigata partigiana, la formazione sembra un’armata picaresca riunitasi per caso, costituita da figure in aperto contrasto con quelle solitamente tratteggiate nei romanzi neorealisti. L’intento di Calvino però non è quello di sminuire la portata epocale della lotta partigiana né il ruolo etico e civile che ha avuto in un momento cruciale della storia italiana, semmai quello di reinterpretare i fatti attraverso lo sguardo di un bambino, i cui occhi fanno sembrare la guerra un gioco da adulti a lui incomprensibile. L’unico personaggio a cui Calvino affida riflessioni dall’alto contenuto teorico, seppure con stile piano e leggero, è il commissario Kim, verosimilmente portavoce del pensiero dell’autore. Per Kim combattere dalla parte dei partigiani equivale a combattere dalla parte giusta, perché i partigiani sono «dalla parte del riscatto […]. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori [che] non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio». Per Kim la lotta partigiana è dunque una lotta per la libertà, per il riscatto «da tutte le nostre umiliazioni» e serve ad evitare che si ripetano pagine orrende di inutile “furore” e “odio”.
L’irrompere del fantastico. Il titolo stesso del romanzo è inconsueto per l’epopea neorealista. Il sentiero dei nidi di ragno evoca boschi e climi fiabeschi, presenze che appartengono a un mondo diverso da quello degli uomini. Calvino sposta infatti la narrazione da un impianto cronachistico a uno fantastico, come notò Pavese che recensì positivamente il romanzo. La scelta del protagonista è in linea con tale soluzione narrativa, così come lo sono altri personaggi, dai tratti che li avvicinano più a caratteri dei romanzi d’avventura che a combattenti per la libertà. Anche l’ambientazione ha tratti favolistici, infatti nel finale Pin si allontana di notte mano nella mano con Cugino, tra un sentiero di lucciole. Di conseguenza lo stile adottato da Calvino non è secco e duro, ma è rapido, preciso, comprensibile a tutti, con frequenti ricorsi al parlato. Pin quindi non presta solo gli occhi alla narrazione, ma in un certo senso contribuisce anche a darle un’intonazione da bambino, all’insegna della leggerezza.