Una lunga redazione. I promessi sposi come abitualmente li leggiamo oggi sono frutto di una redazione lunghissima, cominciata nell’aprile del 1821 e, tra interruzioni e revisioni, conclusasi intorno al 1842. Il Fermo e Lucia, la prima versione del romanzo, fu terminata nel 1823; a essa seguì una lunga revisione, in seguito ai commenti di lettura di diversi amici-letterati; la prima pubblicazione avvenne solo nel 1827, con titolo I promessi sposi. Storia milanese scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. L’ultima tappa data 1840-42, con la revisione linguistica che prevedeva l’uso del fiorentino parlato dalle persone colte.
La scelta del genere: il romanzo. Il romanzo, prima dei Promessi sposi, era un genere che aveva goduto di scarsa fortuna nella letteratura italiana: la mentalità classicistica, ancora molto forte, lo riteneva un genere minore e poco degno di considerazione. Questo aspetto storico-stilistico rende ancor più coraggiosa e rivoluzionaria la scelta di Manzoni, che optò per un genere da lui ritenuto più fresco e più vivo, prossimo alle esigenze del pubblico, che si era profondamente rinnovato e rispecchiava l’affermarsi della borghesia come classe-guida della società.
Le novità del romanzo manzoniano. Il romanzo era un genere più accessibile, che poteva contare su un numero di lettori ben più elevato della consueta cerchia di letterati; inoltre rispondeva pienamente alle esigenze di Manzoni sul piano morale e dell’impegno civile: questa forma letteraria, nella poetica manzoniana, incarnava pienamente il concetto di utile, secondo la funzione educativa e morale che per l’autore era propria della letteratura. Nel romanzo infatti l’autore poteva esprimere liberamente la propria visione del mondo, le idee politiche e i principi morali, senza dover fare i conti con i lacciuoli delle norme stilistico-retoriche che ancora ingabbiavano gli altri generi di più lunga tradizione. In questo modo Manzoni era libero di raccontare gli umili e farli diventare protagonisti della sua narrazione nonché portatori di principi e virtù nobili: una novità di enorme portata che garantiva un primato alla realtà concreta e alla problematicità del quotidiano, finalmente al centro della finzione letteraria. Manzoni dava vita a personaggi a tutto tondo, ognuno con la propria personalità, e riusciva a tessere un rapporto vivo, organico tra essi e l’ambiente in cui le loro vicende erano calate, nel rispetto della poetica del “vero” storico.
Il romanzo storico. L’urgenza di raccontare la realtà concreta condusse Manzoni a scegliere il romanzo storico, genere molto in voga all’epoca, come dimostrano i successi di Walter Scott. Tuttavia l’esigenza manzoniana era diversa da quella dello scrittore scozzese: a Manzoni non interessavano personaggi e situazioni calati in un medioevo immaginario; l’autore cercava la meticolosa ricostruzione storica per offrire un quadro il più possibile veritiero del contesto, dei modi di pensare, dei costumi, della società in cui intendeva ambientare il proprio romanzo. In tal senso la scelta del Seicento come sfondo dei Promessi sposi è emblematica: per Manzoni quello era il secolo della dominazione spagnola, basata su leggi arbitrarie, violenze, crimini, ignoranza diffusa e infine era il secolo di una grave epidemia di peste «che ha dato occasione alla scelleratezza più consumata e sfrontata, ai pregiudizi più assurdi e alle virtù più commoventi». Per lo scrittore milanese indagare il Seicento equivaleva quindi a ricostruire le radici dell’Italia del suo tempo, quella dell’Ottocento, dominata da un potere straniero e ancora incapace di aprirsi alla nuova società borghese che lentamente emergeva in Europa; ed era inoltre un modo per confrontarsi con i mali della società e rintracciare quel raro bene («le virtù più commoventi») che avrebbe posto le basi per una futura società.
Una società borghese e cristiana. Un’idea negativa della storia è quindi alla base dei Promessi sposi, come delle altre opere manzoniane, tuttavia l’autore non rinuncia a figurarsi una società ideale, con una giustizia equa e un’organizzazione economica e sociale tale da non generare conflitti tra le classi. La sua idea di società si fonda sul paternalismo dell’aristocrazia, che svolge ancora un ruolo fondamentale e di guida (si pensi alla svolta narrativa del romanzo, grazie alla conversione dell’Innominato, che da quel momento diventa un modello di signore positivo), mentre i ceti popolari si affidano alla volontà di Dio per poter aspirare a una vita dignitosa (le tribolazioni di Renzo, prima di porre la propria vita nelle mani di Dio, e la cristiana rassegnazione di Lucia ne sono la testimonianza). Una struttura razionale delle leggi e la fiducia nel mercato (non si dimentichi che Renzo, a conclusione della storia, avvia una piccola attività) lasciano intravedere un modello di società ispirata alla borghesia liberale e laica, dove la religione cristiana svolge quanto meno un ruolo di indirizzo morale.
Il ruolo della religione. Il cristianesimo manzoniano da un lato porta l’autore a una visione pessimistica della storia (solo nell’aldilà ci può essere riscatto, mentre l’uomo da solo non è in grado di agire per sconfiggere il male nella società), dall’altro alimenta un atteggiamento non rinunciatario (si vedano i modelli di Fra Cristoforo e del Cardinal Borromeo), ispirato al bene e per questo in grado di porre un argine alla deriva negativa. I promessi sposi Renzo e Lucia, e con loro tutta l’umanità, devono attraversare il male della storia per comprendere la prospettiva dell’eterno e maturare una consapevolezza che li conduca verso una vita migliore: in questo “attraversamento” è possibile cogliere il concetto manzoniano di provvidenza, che non risponde ingenuamente all’intervento di Dio a favore dei buoni, ma a un percorso tortuoso e formativo.
I personaggi: struttura e movimento. Non è un caso che i protagonisti del romanzo, Renzo e Lucia, sembrano in balia di un incessante movimento all’interno della narrazione: una serie di avvenimenti, come un effetto domino, generano una forza centrifuga con conseguente allontanamento dei protagonisti, che si ritroveranno solo alla fine del romanzo. Questo movimento parte da una ripartizione bipartita e simmetrica dei personaggi principali, che tuttavia intessono infinite relazioni tra loro. I personaggi principali sono 8: Renzo, Lucia, don Abbondio, padre Cristoforo, don Rodrigo, il cardinal Borromeo, l’Innominato, Gertrude. 4 sono laici e 4 sono ecclesiastici; tutte le classi sociali sono rappresentate: 4 appartenenti all’aristocrazia, 2 al ceto medio e 2 popolani, con questi ultimi che vestono i panni dei protagonisti; 4 personaggi sono positivi e 4 negativi. Con la tormentata conversione dell’Innominato, si genera una dissimmetria nella struttura dei personaggi, a vantaggio dei “buoni”, che dà il la alla svolta narrativa, rimettendo in moto l’intera struttura del romanzo. Ancora una volta è un atteggiamento “cristiano” a smuovere la storia. Al contempo il continuo peregrinare di Renzo e Lucia porta i protagonisti alla maturazione, offrendo un quadro narrativo che molto ha in comune con la grande tradizione europea dei romanzi di formazione.
L’ironia. Sul piano stilistico, una delle caratteristiche principali della prosa manzoniana è l’ironia. Già l’espediente romanzesco del ritrovamento del manoscritto è di per sé ironico, cita una lunga tradizione romanzesca e consente un gioco prospettico che dà vita a punti di vista diversi; dà infine occasione al narratore di pronunciare una serie di commenti ironici sull’autore seicentesco e sul suo stile “sgangherato”. Il commento della voce narrante è un tratto distintivo dei Promessi sposi e attraversa tutta la narrazione: smaschera talvolta le intenzioni dei personaggi con sarcasmo o con ironia bonaria, fa sì che il narratore prenda le distanze dai fatti narrati e addirittura sia autoironico, mettendo persino in dubbio l’utilità della lettura del romanzo. Insomma, l’ironia si manifesta a più livelli del testo, dà voce a più punti di vista e perciò è tesa a favorire una partecipazione attiva del lettore.
La lingua. La straordinaria importanza dei Promessi sposi nella letteratura italiana non si esaurisce con la fondazione di un nuovo genere in Italia e per le scelte rivoluzionarie sul piano narrativo. Il grande romanzo manzoniano stabilisce un nuovo modello di lingua letteraria, con il quale dovrà fare i conti non solo l’intera narrativa a venire, ma l’intero italiano scritto. Manzoni aveva colto uno dei grandi problemi della lingua italiana: un divario molto ampio tra la lingua scritta e quella parlata; proprio in virtù di questa consapevolezza tentò di diminuire la distanza tra i due codici e comprese che per ottenere un risultato soddisfacente era necessario scostarsi da un italiano libresco, ampolloso e retorico, per preferire una lingua viva, accessibile a chi legge. La lingua viva fu trovata nel fiorentino parlato dai colti, in seguito al viaggio a Firenze avvenuto nel 1827. L’edizione del 1840-42 restituì sulla pagina la stessa agilità del parlato, abbandonando la lingua composita delle stesure precedenti, dove il toscano letterario si mescolava al lombardo, a forme del parlato, a francesismi… Si apriva così una nuova fase della letteratura italiana.