Poesie da Ossi di seppia: | Poesie da Le occasioni: | Poesie da La bufera e altro: |
– I LIMONI – MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO – NON CHIEDERCI LA PAROLA – SPESSO IL MALE DI VIVERE |
– LA CASA DEI DOGANIERI – NON RECIDERE, FORBICE, QUEL VOLTO |
– HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO |
Una vita lunga un secolo. Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) è stato autore di opere-chiave del Novecento letterario, un raffinato erede della grande tradizione lirica italiana, da Dante a Leopardi, e un sensibile interprete delle maggiori novità letterarie – volte al superamento del simbolismo – che emergevano in Europa nei primi decenni del secolo. Il poeta genovese ha attraversato quasi l’intero Novecento, testimoniando con i suoi versi le speranze e le illusioni, i drammi e le inquietudini dell’uomo contemporaneo. Attraverso il confronto con i grandi eventi della storia e l’attenzione alle piccole vicende del quotidiano, la sua poesia ha saputo tracciare il bilancio di un’epoca (o meglio: di più epoche) e raccontare la condizione umana non solo in rapporto con il suo tempo, ma trasponendola in una dimensione universale. Il portato etico della sua poesia, unito alla capacità di indagare ed esprimere i drammi dell’esistenza e i rovelli interiori dell’essere umano, ne fanno il poeta più grande del Novecento italiano. È stato premio Nobel nel 1975.
La letteratura come disincanto. La riflessione montaliana sul ruolo del poeta e sulla funzione della poesia segna un punto di rottura con le poetiche del tardo-Ottocento: non solo il rifiuto del poeta vate, ma la distanza che separano Montale dall’orfismo e dalla visionarietà tipiche del simbolismo ne fanno un interprete pienamente novecentesco. Montale ha voluto disfarsi di quell’aura sacrale che, pur tra mimetismi e mascheramenti, ancora ammantava la figura del poeta agli inizi del nuovo secolo: per il poeta ligure la poesia non ha nessun intento visionario né vuole essere uno spazio d’evasione, ma uno strumento per attraversare il presente e capirlo. La letteratura e la poesia, che «nasce dal cozzo della ragione con qualcosa che non è ragione», hanno una funzione conoscitiva, di disvelamento e disincanto, e non possono rinunciare a confrontarsi con i problemi del proprio tempo e con l’insondabile e spesso doloroso destino dell’uomo.
Il disagio esistenziale, l’orizzonte storico e la “salvezza”. Quella di Montale è una poesia che si fonda sul dubbio e su problematiche di ordine esistenziale, le cui premesse sono il “male di vivere” e la disillusione. Il poeta affronta questi temi rifiutando ogni eccesso di soggettivismo e di effusione sentimentale: l’io lirico non è mai ripiegato su se stesso, ma si confronta con una universale «corrosione critica dell’esistenza» (Alfredo Gargiulo) – formula che contraddistingue in particolare Ossi di seppia, il libro d’esordio –; nelle raccolte successive accanto alle questioni esistenziali e speculative, Montale affronta interrogativi etici e storici che lo aprono al confronto col mondo. Pertanto l’orizzonte all’interno del quale l’io lirico si esprime non è mai astratto, ma si allarga alle grandi vicende della storia e del suo tempo. Al contempo il disagio dell’uomo contemporaneo e il suo rapporto con il destino avverso, il tentativo di stabilire un contatto con un “tu” femminile (storico e metafisico insieme) e di aderire a un’effusione amorosa, la relazione con il paesaggio alla ricerca di segni liberatori e di vie di fuga aprono un ulteriore orizzonte, di ordine metafisico: Montale è sempre alla ricerca del “miracolo” (Forse un mattino…), dell’“anello che non tiene” (I limoni), della “maglia rotta nella rete” (In limine) che spalanchino la porta di una qualche verità metafisica più che storica.
Se gli Ossi di seppia esprimono principalmente queste preoccupazioni (l’attesa del miracolo, l’ansia del fallimento), specchiandosi nell’assolato e arido paesaggio ligure, già con le Occasioni la figura della donna, del “tu” femminile sono indizi di una via di uscita dalla disperazione e da quella stessa aridità: la donna, talvolta solo evocata, ha raramente consistenza fisica e si presenta piuttosto come un fantasma, una traccia memoriale in grado di tirare il poeta fuori dalle catastrofi della storia. Nella Bufera la donna assume le fattezze della donna-angelo, di ascendenza stilnovista e dantesca. Anche nelle raccolte successive e in particolare in Satura, è il fantasma della moglie scomparsa a far visita al poeta e a consolarlo nella solitudine della vecchiaia. Nell’ultima fase poetica il disincanto di Montale diventa definitivo, i temi dell’angoscia e della disperazione persistono ma il poeta li rielabora presentandoli sotto altre vesti: affilando le armi dell’ironia e perfino della comicità il poeta riesce a osservarli con il giusto distacco, rifugiandosi nel quotidiano e rimarcando la propria estraneità al mondo.
Tra tradizione e innovazione. Il complesso rapporto tra dato reale, storico ed esistenziale si riflette nelle soluzioni stilistiche che pongono Montale in una posizione nuova nel panorama poetico contemporaneo, in bilico tra classicità e innovazione. Il rifiuto della poesia come evasione conduce il poeta a un attraversamento critico di D’Annunzio, al superamento definitivo del superomismo e al recupero di una classicità che possa diventare portatrice di un’alta valenza morale. Di D’Annunzio Montale eredita unicamente la ricchezza lessicale ma calandola in un contesto nuovo, spogliato di ogni preziosismo estetizzante. Nello stesso tempo, il poeta ligure evita accuratamente le fughe in avanti del futurismo e il suo proclama di azzeramento della tradizione. Nemmeno la parola rivelatrice, la frammentazione del verso e l’alto potere evocativo della coeva poesia ungarettiana seduce Montale, che è tuttavia un attento lettore dei maggiori poeti del tempo, da Valery a Eliot. Per certi aspetti le sue poesie hanno la compattezza, il grande stile, la ricchezza di sfumature dei classici, d’altro canto il poeta non disdegna una lingua articolata, inclusiva, dalla grande varietà di registri linguistici, nei quali confluiscono tanto le parole forbite e auliche quanto il linguaggio settoriale, da quello botanico a quello marinaresco, senza disdegnare i cascami del parlato e del linguaggio quotidiano.
Il correlativo oggettivo. L’artificio retorico del correlativo oggettivo è una delle novità espressive di Montale, che di fatto supera di slancio l’immediatezza del simbolo per proporre una costruzione più articolata e complessa. Messo a punto con ogni probabilità sulla base delle soluzioni retoriche adottate da Eliot, il correlativo oggettivo consiste nel presentare oggetti e situazioni quotidiane nella loro evidenza concreta, partecipi del contesto di cui fanno parte, ma nello stesso tempo sono segni di tensioni psicologiche, stati d’animo e vere e proprie epifanie che pongono in relazione il dato oggettivo con qualcosa che va oltre il dato fisico. Sebbene Montale parli di correlativo oggettivo solo nel 1931, quindi dopo le pubblicazioni de ’25 e del ’28 di Ossi di seppia, già nella raccolta d’esordio vi sono degli esempi di tale artificio retorico, a testimonianza di come il poeta sia giunto autonomamente a questa soluzione. Nella lirica Spesso il male di vivere a uno stato d’animo e a una situazione astratta fanno seguito, senza essere introdotti da una similitudine o da un rapporto metaforico, alcuni dati concreti che incarnano l’idea stessa di aridità e sofferenza: Spesso il male di vivere ho incontrato: / era il rivo strozzato che gorgoglia, / era l’incartocciarsi della foglia / riarsa.
È singolare anche il modo in cui Montale si pone nei confronti della metrica e della struttura strofica. Le poesie, compatte, alludono talvolta al metro della tradizione (endecasillabo e settenari), ma spesso sono volutamente fuori misura, come se la metrica stessa fosse il veicolo del disagio e delle inquietudini della contemporaneità, mostrando nello stesso tempo l’impossibilità di riprodurre fedelmente i classici, perché le perturbazioni della storia non lo consentono più. In un certo qual senso la poesia di Montale è una forma di resistenza al tempo e alle mode, è un tentativo di verifica della tenuta della lingua e in particolare di quella poetica di fronte alla corruzione linguistica e morale dei nostri tempi. Al di là degli aspetti tematici è quindi anche e soprattutto nello stile e nel rapporto con gli apparati linguistici e retorici che emerge la straordinaria contemporaneità di Montale.