Erano giorni afosi e umidi, fra la fine di agosto e l’inizio di settembre di una decina d’anni fà, tornavamo da un giro di pochi giorni fra i castelli della Baviera e la Romantic Strasse con meta finale a Rothenburg ob der Tauber, straordinario villaggio ricostruito pietra su pietra dopo la seconda guerra mondiale.
Mentre rientravamo in Italia, un’idea e una voglia di conoscenza mi assalì, dissi a mia moglie: “voglio andare sul lago Maggiore … voglio vedere l’isola Bella, voglio visitare Arona”, chissà perché quel nome era rimasto nella mia mente così scolpito …. probabilmente per una cartolina d’epoca della mia collezione particolarmente suggestiva.
Così attraversammo la Svizzera senza soffermarci più di tanto e finalmente il bel lago si spalancò ai nostri occhi, una visione panoramica eccelsa, scendendo giù da Luino incastonato fra le Alpi, colori riflessi nel blu che a volte sembrava un verde smeraldo a seconda del riverbero e dei raggi che lo illuminavano.
Arrivammo ad Arona, facemmo conoscenza con il paese, passeggiando in corso Marconi e corso della Repubblica, ammirando le bellezze amene del luogo, ma l’ora cominciava ad essere tarda e fummo avvertiti dal brontolio dei nostri stomaci, non ci restava che farsi consigliare un buon e tipico ristorante dove poterci sfamare e dissetare ; chiedendo agli abitanti cosa ci consigliassero, preferisco in loco informarmi che attraverso guide che a volte non sono così sagge ne tantomeno vere per gl’interessi che ne derivano, così chiedemmo a 5-6 negozianti in modo da capire cosa la maggioranza preferisse e, con nostra sorpresa, piacevole direi, ben 5 ci dissero che il ristorante La Cascina di Arona ci avrebbe deliziato con prelibatezze trentine rivisitate dallo chef Carlo e che saremmo stati accolti dalla moglie Sabrina assoluta padrona di casa, con gentilezza, professionalità e cortesia.
La scelta fu obbligata ci dirigemmo così verso via dei Partigiani su una collinetta a ridosso del centro, immersa nel verde e in un’atmosfera d’altri tempi, sorprendente come la cascina era conservata così come un tempo, un full immersion nel passato.
Sorpresi dall’arredamento semplice ma raffinato, fummo accolti esattamente come ci avevano descritto, un calice di gewurztraminer per darci il benvenuto, un menù tirolese 100%, e con la Sabrina (preferisce il tu), che ci argomentava e spiegava con professionalità e passione i piatti che il marito elaborava con maestria in cucina.
Fu un trionfo di sapori dalla carne salada, ai canederli, al medaglione di cervo per finire con l’orologio di formaggi e con il gelato e mirtilli caldi, a cui mi volli far aggiungere della panna montata.
Una cena incomparabile, un’atmosfera idilliaca, anche se la nostra curiosità fu rapita da figure che davvero emozionavano e ci proiettavano in un tempo che fu, da un signore in là con gli anni, con dei baffoni d’altri tempi, barba lunga ed incolta, camicia da montanaro, calzettoni e scarponi, che era da solo con il suo bicchier di vino, un sigaro spento in bocca e che continuava a parlare, a volte inveiva, altre con il sorriso beffardo che si vede in qualche film di serie B.
Una coppia in un’altro tavolo con un bambino vestito da Gian Burrasca, loro stessi sembravano usciti dalla matita di qualche genio della caricatura, lui addirittura con il panciotto, lei algida e severa con una gonna sotto il ginocchio e i capelli raccolti da forcine, mangiavano con voracità lo stinco di maiale ancora bollente, il piccolo continuava a giocare con le auto sul tavolo ignaro del comportamento dei genitori, due giovani alle prese con crauti e wurstel che erano parte del Piatto del Contadino con polenta, tortello di patate, mezzo stinco di maiale affumicato, si erano fatti spillare due Brau che mettevano sete solo nel guardarle, mentre eravamo persi nell’osservazione degli altri ospiti del ristorante, una musica sulle note del bel Danubio Blu di Strauss si diffuse nelle stanze … e tutto cambiò con nostra meraviglia, i camerieri spostarono alcuni tavoli al centro della sala facendola diventare l’opera house del gran ballo delle debuttanti di Vienna, invitavano i commensali al ballo e a loro volta davano l’esempio, Sabrina che ballava con Carlo che era uscito dalla cucina ancora con il cappello e il grembiule, il giovane cameriere che aveva invitato la signora con la lunga gonna e l’altra giovane cameriera che aveva preso la mano dell’anziano brontolone ma che alle prese con il valzer sembrava leggero come una piuma, probabilmente ricordando tempi e fasti ormai lontani.
Una bellissima sorpresa, quando dall’altra stanza entrarono altre persone vestite in abiti tipici, non erano strani, come a noi era sembrato, erano Walser della vicina Valsesia, e allora giù con i balli e canti tipici, con ancora un po’ di vino e birra, tutti in pista a ballare, anche se non sono un granché, un finale inaspettato, pirotecnico e coinvolgente, che ha ridotto le distanze fra le persone, che ha dato ancor più vita a quella nostra magica giornata, che ci ha fatto dimenticare che dovevamo ripartire e tornare a casa … con la CASCINA nel cuore.
Racconto di Andrea Arrigo Landi, concorso letterario 2013 de La Cascina