Parafrasi del canto XLVI del poema Orlando Furioso
1
Or, se mi mostra la mia carta il vero,
non è lontano a discoprirsi il porto;
sì che nel lito i voti scioglier spero
a chi nel mar per tanta via m’ha scorto;
ove, o di non tornar col legno intero,
o d’errar sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
veggo la terra, e veggo il lito aperto.
2
Sento venir per allegrezza un tuono
che fremer l’aria e rimbombar fa l’onde:
odo di squille, odo di trombe un suono
che l’alto popular grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
questi che empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti s’allegrino ch’io sia
venuto a fin di così lunga via.
3
Oh di che belle e sagge donne veggio,
oh di che cavallieri il lito adorno!
Oh di ch’amici, a chi in eterno deggio
per la letizia c’han del mio ritorno!
Mamma e Ginevra e l’altre da Correggio
veggo del molo in su l’estremo corno:
Veronica da Gambera è con loro,
sì grata a Febo e al santo aonio coro.
4
Veggo un’altra Genevra, pur uscita
del medesmo sangue, e Iulia seco;
veggo Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella rivulzia al sacro speco:
veggo te, Emilia Pia, te, Margherita,
ch’Angela Borgia e Graziosa hai teco.
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca e Diana, e l’altre lor sorelle.
5
Ecco la bella, ma più saggia e onesta,
Barbara Turca, e la compagna è Laura:
non vede il sol di più bontà di questa
coppia da l’Indo all’estrema onda maura.
Ecco Genevra che la Malatesta
casa col suo valor sì ingemma e inaura,
che mai palagi imperiali o regi
non ebbon più onorati e degni fregi.
6
S’a quella etade ella in Arimino era,
quando superbo de la Gallia doma
Cesar fu in dubbio, s’oltre alla riviera
dovea passando inimicarsi Roma;
crederò che piegata ogni bandiera,
e scarca di trofei la ricca soma,
tolto avria leggi e patti a voglia d’essa,
né forse mai la libertade oppressa.
7
Del mio signor di Bozolo la moglie,
la madre, le sirocchie e le cugine,
e le Torelle con le Bentivoglie,
e le Visconte e le Palavigine;
ecco qui a quante oggi ne sono, toglie,
e a quante o greche o barbere o latine
ne furon mai, di quai la fama s’oda,
di grazia e di beltà la prima loda,
8
Iulia Gonzaga, che dovunque il piede
volge, e dovunque i sereni occhi gira,
non pur ogn’altra di beltà le cede,
ma, come scesa dal ciel dea, l’ammira.
La cognata è con lei, che di sua fede
non mosse mai, perché l’avesse in ira
Fortuna che le fe’ lungo contrasto.
Ecco Anna d’Aragon, luce del Vasto;
9
Anna, bella, gentil, cortese e saggia,
di castità, di fede e d’amor tempio.
La sorella è con lei, ch’ove ne irraggia
l’alta beltà, ne pate ogn’altra scempio.
Ecco chi tolto ha da la scura spiaggia
di Stige, e fa con non più visto esempio,
mal grado de le Parche e de la Morte,
splender nel ciel l’invitto suo consorte.
10
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle
de la corte d’Urbino; e riconosco
quelle di Mantua, e quante donne belle
ha Lombardia, quante il paese tosco.
Il cavallier che tra lor viene, e ch’elle
onoran sì, s’io non ho l’occhio losco,
da la luce offuscato de’ bei volti,
è ‘l gran lume aretin, l’Unico Accolti.
11
Benedetto, il nipote, ecco là veggio,
c’ha purpureo il capel, purpureo il manto,
col cardinal di Mantua e col Campeggio,
gloria e splendor del consistorio santo:
e ciascun d’essi noto (o ch’io vaneggio)
al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
del mio ritorno, che non facil parmi
ch’io possa mai di tanto obligo trarmi.
12
Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
e Paulo Pansa e ‘l Dresino e Latino
Iuvenal parmi, e i Capilupi miei,
e ‘l Sasso e ‘l Molza e Florian Montino;
e quel che per guidarci ai rivi ascrei
mostra piano e più breve altro camino,
Iulio Camillo; e par ch’anco io ci scerna,
Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
13
Ecco Alessandro, il mio signor, Farnese:
oh dotta compagnia che seco mena!
Fedro, Capella, Porzio, il bolognese
Filippo, il Volterano, il Madalena,
Blosio, Pierio, il Vida cremonese,
d’alta facondia inessicabil vena,
e Lascari e Mussuro e Navagero,
e Andrea Marone e ‘l monaco Severo.
14
Ecco altri duo Alessandri in quel drappello,
dagli Orologi l’un, l’altro il Guarino.
Ecco Mario d’Olvito, ecco il flagello
de’ principi, il divin Pietro Aretino.
Duo Ieronimi veggo, l’uno è quello
di Veritade, e l’altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceno,
il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
15
Là Bernardo Capel, là veggo Pietro
Bembo, che ‘l puro e dolce idioma nostro,
levato fuor del volgare uso tetro,
quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparro Obizi è quel che gli vien dietro,
ch’ammira e osserva il sì ben speso inchiostro.
Io veggo il Fracastorio, il Bevazano,
Trifon Gabriele, e il Tasso più lontano.
16
Veggo Nicolò Tiepoli, e con esso
Nicolò Amanio in me affissar le ciglia;
Anton Fulgoso ch’a vedermi appresso
al lito mostra gaudio e maraviglia.
Il mio Valerio è quel che là s’è messo
fuor de le donne; e forse si consiglia
col Barignan c’ha seco, come, offeso
sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
17
Veggo sublimi e soprumani ingegni
di sangue e d’amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor viene, e da’ più degni
ha tanto onor, mai più non conobbi io;
ma, se me ne fur dati veri segni,
è l’uom che di veder tanto desio,
Iacobo Sanazar, ch’alle Camene
lasciar fa i monti ed abitar l’arene.
18
Ecco il dotto, il fedele, il diligente
secretario Pistofilo, ch’insieme
con gli Acciaiuoli e con l’Angiar mio sente
piacer, che più del mar per me non teme.
Annibal Malaguzzo, il mio parente,
veggo con l’Adoardo, che gran speme
mi dà, ch’ancor del mio nativo nido
udir farà da Calpe agli Indi il grido.
19
Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
di rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo le donne e gli uomini di questa
mia ritornata ognun parer contento.
Dunque, a finir la breve via che resta,
non sia più indugio, or ch’ho propizio il vento;
e torniamo a Melissa, e con che aita
salvò, diciamo, al buon Ruggier la vita.
20
Questa Melissa, come so che detto
v’ho molte volte, avea sommo desire
che Bradamante con Ruggier di stretto
nodo s’avesse in matrimonio a unire;
e d’ambi il bene e il male avea sì a petto,
che d’ora in ora ne volea sentire.
Per questo spirti avea sempre per via,
che, quando andava l’un, l’altro venìa.
21
In preda del dolor tenace e forte
Ruggier tra le scure ombre vide posto,
il qual di non gustar d’alcuna sorte
mai più vivanda fermo era e disposto,
e col digiun si volea dar la morte:
ma fu l’aiuto di Melissa tosto;
che, del suo albergo uscita, la via tenne
ove in Leone ad incontrar si venne:
22
il qual mandato, l’uno a l’altro appresso,
sua gente avea per tutti i luoghi intorno;
e poscia era in persona andato anch’esso
per trovare il guerrier dal liocorno.
La saggia incantatrice, la qual messo
freno e sella a uno spirto avea quel giorno,
e l’avea sotto in forma di ronzino,
trovò questo figliuol di Costantino.
23
– Se de l’animo è tal la nobiltate,
qual fuor, signor (diss’ella), il viso mostra;
se la cortesia dentro e la bontade
ben corrisponde alla presenza vostra,
qualche conforto, qualche aiuto date
al miglior cavallier de l’età nostra;
che s’aiuto non ha tosto e conforto,
non è molto lontano a restar morto.
24
Il miglior cavallier, che spada a lato
e scudo in braccio mai portassi o porti;
il più bello e gentil ch’al mondo stato
mai sia di quanti ne son vivi o morti,
sol per un’alta cortesia c’ha usato,
sta per morir, se non ha chi ‘l conforti.
Per Dio, signor, venite, e fate prova
s’allo suo scampo alcun consiglio giova. –
25
Ne l’animo a Leon subito cade
che ‘l cavallier di chi costei ragiona,
sia quel che per trovar fa le contrade
cercare intorno, e cerca egli in persona;
sì ch’a lei dietro, che gli persuade
sì pietosa opra, in molta fretta sprona:
la qual lo trasse (e non fer gran camino)
ove alla morte era Ruggier vicino.
26
Lo ritrovar che senza cibo stato
era tre giorni, e in modo lasso e vinto,
ch’in piè a fatica si saria levato,
per ricader, se ben non fosse spinto.
Giacea disteso in terra tutto armato,
con l’elmo in testa, e de la spada cinto;
e guancial de lo scudo s’avea fatto,
in che ‘l bianco liocorno era ritratto.
27
Quivi pensando quanta ingiuria egli abbia
fatto alla donna, e quanto ingrato e quanto
isconoscente le sia stato, arrabbia,
non pur si duole; e se n’affligge tanto,
che si morde le man, morde le labbia,
sparge le guance di continuo pianto;
e per la fantasia che v’ha sì fissa,
né Leon venir sente né Melissa;
28
né per questo interrompe il suo lamento,
né cessano i sospir, né il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udire intento;
poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
conosce ben; ma la persona espressa
non gli è, per cui sostien tanto martire;
ch’anco Ruggier non glie l’ha fatto udire.
29
Più inanzi, e poi più inanzi i passi muta,
tanto che se gli accosta a faccia a faccia;
e con fraterno affetto lo saluta,
e se gli china a lato, e al collo abbraccia.
Io non so quanto ben questa venuta
di Leone improvisa a Ruggier piaccia;
che teme che lo turbi e gli dia noia,
e se gli voglia oppor, perché non muoia.
30
Leon con le più dolci e più soavi
parole che sa dir, con quel più amore
che può mostrar, gli dice: – Non ti gravi
d’aprirmi la cagion del tuo dolore;
che pochi mali al mondo son sì pravi,
che l’uomo trar non se ne possa fuore,
se la cagion si sa; né debbe privo
di speranza esser mai, fin che sia vivo.
31
Ben mi duol che celar t’abbi voluto
da me, che sai s’io ti son vero amico,
non sol dipoi ch’io ti son sì tenuto,
che mai dal nodo tuo non mi districo,
ma fin allora ch’avrei causa avuto
d’esserti sempre capital nimico;
e dèi sperar ch’io sia per darti aita
con l’aver, con gli amici e con la vita.
32
Di meco conferir non ti rincresca
il tuo dolore, e lasciami far prova,
se forza, se lusinga, acciò tu n’esca,
se gran tesor, s’arte, s’astuzia giova.
Poi, quando l’opra mia non ti riesca,
la morte sia ch’al fin te ne rimuova:
ma non voler venir prima a quest’atto,
che ciò che si può far, non abbi fatto. –
33
E seguitò con sì efficaci prieghi,
e con parlar sì umano e sì benigno,
che non può far Ruggier che non si pieghi;
che né di ferro ha il cor né di macigno,
e vede, quando la risposta nieghi,
che farà discortese atto e maligno.
Risponde; ma due volte o tre s’incocca
prima il parlar, ch’uscir voglia di bocca.
34
– Signor mio (disse al fin), quando saprai
colui ch’io son (che son per dirtel ora),
mi rendo certo che di me sarai
non men contento, e forse più, ch’io muora.
Sappi ch’io son colui che sì in odio hai:
io son Ruggier ch’ebbi te in odio ancora;
e che con intenzion di porti a morte,
già son più giorni, usci’ di questa corte;
35
acciò per te non mi vedessi tolta
Bradamante, sentendo esser d’Amone
la voluntade a tuo favor rivolta.
Ma perché ordina l’uomo, e Dio dispone,
venne il bisogno ove mi fe’ la molta
tua cortesia mutar d’opinione;
e non pur l’odio ch’io t’avea, deposi,
ma fe’ ch’esser tuo sempre io mi disposi.
36
Tu mi pregasti, non sapendo ch’io
fossi Ruggier, ch’io ti facessi avere
la donna; ch’altretanto saria il mio
cor fuor del corpo, o l’anima volere.
Se sodisfar più tosto al tuo disio,
ch’al mio, ho voluto, t’ho fatto vedere.
Tua fatta è Bradamante; abbila in pace:
molto più che ‘l mio bene, il tuo mi piace.
37
Piaccia a te ancora, se privo di lei
mi son, ch’insieme io sia di vita privo;
che più tosto senz’anima potrei,
che senza Bradamante restar vivo.
Appresso, per averla tu non sei
mai legitimamente, fin ch’io vivo:
che tra noi sposalizio è già contratto,
né duo mariti ella può avere a un tratto. –
38
Riman Leon sì pien di maraviglia,
quando Ruggiero esser costui gli è noto,
che senza muover bocca o batter ciglia
o mutar piè, come una statua, è immoto:
a statua, più ch’ad uomo, s’assimiglia,
che ne le chiese alcun metta per voto.
Ben sì gran cortesia questa gli pare,
che non ha avuto e non avrà mai pare.
39
E conosciutol per Ruggier, non solo
non scema il ben che gli voleva pria;
ma sì l’accresce, che non men del duolo
di Ruggiero egli, che Ruggier, patia.
Per questo, e per mostrarsi che figliuolo
d’imperator meritamente sia,
non vuol, se ben nel resto a Ruggier cede,
ch’in cortesia gli metta inanzi il piede.
40
E dice: – Se quel dì, Ruggier, ch’offeso
fu il campo mio dal valor tuo stupendo,
ancor ch’io t’avea in odio, avessi inteso
che tu fossi Ruggier, come ora intendo;
così la tua virtù m’avrebbe preso,
come fece anco allor, non lo sapendo;
e così spinto dal cor l’odio, e tosto
questo amor ch’io ti porto, v’avria posto.
41
Che prima il nome di Ruggiero odiassi,
ch’io sapessi che tu fosse Ruggiero,
non negherò: ma ch’or più inanzi passi
l’odio ch’io t’ebbi, t’esca del pensiero.
E se, quando di carcere io ti trassi,
n’avesse, come or n’ho, saputo il vero;
il medesimo avrei fatto anco allora,
ch’a benefizio tuo son per far ora.
42
E s’allor volentier fatto l’avrei,
ch’io non t’era, come or sono, obligato;
quant’or più farlo debbo, che sarei,
non lo facendo, il più d’ogn’altro ingrato;
poi che negando il tuo voler, ti sei
privo d’ogni tuo bene, e a me l’hai dato.
Ma te lo rendo, e più contento sono
renderlo a te, ch’aver io avuto il dono.
43
Molto più a te, ch’a me, costei conviensi,
la qual, ben ch’io per li suoi merit’ami,
non è però, s’altri l’avrà, ch’io pensi,
come tu, al viver mio romper li stami.
Non vo’ che la tua morte mi dispensi,
che possi, sciolto ch’ella avrà i legami
che son del matrimonio ora fra voi,
per legitima moglie averla io poi.
44
Non che di lei, ma restar privo voglio
di ciò c’ho al mondo, e de la vita appresso,
prima che s’oda mai ch’abbia cordoglio
per mia cagion tal cavalliero oppresso.
De la tua difidenza ben mi doglio;
che tu che puoi, non men che di te stesso,
di me dispor, più tosto abbi voluto
morir di duol, che da me avere aiuto. –
45
Queste parole ed altre suggiungendo,
che tutte saria lungo riferire,
e sempre le ragion redarguendo,
ch’in contrario Ruggier gli potea dire;
fe’ tanto, ch’al fin disse: – Io mi ti rendo,
e contento sarò di non morire.
Ma quando ti sciorrò l’obligo mai,
ché due volte la vita dato m’hai? –
46
Cibo soave e precioso vino
Melissa ivi portar fece in un tratto;
e confortò Ruggier, ch’era vicino,
non s’aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Frontino
cavalli quivi, e v’era accorso ratto.
Leon pigliar da li scudieri suoi
lo fe’ e sellare, ed a Ruggier dar poi;
47
il qual con gran fatica, ancor ch’aiuto
avesse da Leon, sopra vi salse:
così quel vigor manco era venuto,
che pochi giorni inanzi in modo valse,
che vincer tutto un campo avea potuto,
e far quel che fe’ poi con l’arme false.
Quindi partiti, giunser, che più via
non fer di mezza lega, a una badia:
48
ove posaro il resto di quel giorno,
e l’altro appresso, e l’altro tutto intero,
tanto che ‘l cavallier dal liocorno
tornato fu nel suo vigor primiero.
Poi con Melissa e con Leon ritorno
alla città real fece Ruggiero,
e vi trovò che la passata sera
l’imbasciaria de’ Bulgari giunt’era.
49
Che quella nazion, la qual s’avea
Ruggiero eletto re, quivi a chiamarlo
mandava questi suoi, che si credea
d’averlo in Francia appresso al magno Carlo:
perché giurargli fedeltà volea,
e dar di sé dominio, e coronarlo.
Lo scudier di Ruggier, che si ritrova
con questa gente, ha di lui dato nuova.
50
De la battaglia ha detto, ch’in favore
de’ Bulgari a Belgrado egli avea fatta,
ove Leon col padre imperatore
vinto, e sua gente avea morta e disfatta;
e per questo l’avean fatto signore,
messo da parte ogni uomo di sua schiatta:
e come a Novengrado era poi stato
preso da Ungiardo, e a Teodora dato:
51
e che venuta era la nuova certa,
che ‘l suo guardian s’era trovato ucciso,
e lui fuggito, e la prigione aperta:
che poi ne fosse, non v’era altro avviso.
Entrò Ruggier per via molto coperta
ne la città, né fu veduto in viso.
La seguente mattina egli e ‘l compagno
Leone appresentossi a Carlo Magno.
52
S’appresentò Ruggier con l’augel d’oro
che nel campo vermiglio avea due teste,
e come disegnato era fra loro,
con le medesme insegne e sopraveste
che, come dianzi ne la pugna foro,
eran tagliate ancor, forate e peste;
sì che tosto per quel fu conosciuto,
ch’avea con Bradamante combattuto.
53
Con ricche vesti e regalmente ornato
Leon senz’arme a par con lui venìa;
e dinanzi e di dietro e d’ogni lato
avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s’inchinò, che già levato
se gli era incontra; e avendo tuttavia
Ruggier per man, nel qual intente e fisse
ognuno avea le luci, così disse:
54
– Questo è il buon cavalliero il qual difeso
s’è dal nascer del giorno al giorno estinto;
e poi che Bradamante o morto o preso
o fuor non l’ha de lo steccato spinto,
magnanimo signor, se bene inteso
ha il vostro bando, è certo d’aver vinto,
e d’aver lei per moglie guadagnata;
e così viene, acciò che gli sia data.
55
Oltre che di ragion, per lo tenore
del bando, non v’ha altr’uom da far disegno:
se s’ha da meritarla per valore,
qual cavallier più di costui n’è degno?
s’aver la dee chi più le porta amore,
non è chi ‘l passi o ch’arrivi al suo segno.
Ed è qui presto contra a chi s’oppone,
per difender con l’arme sua ragione. –
56
Carlo e tutta la corte stupefatta,
questo udendo, restò; ch’avea creduto
che Leon la battaglia avesse fatta,
non questo cavallier non conosciuto.
Marfisa, che con gli altri quivi tratta
s’era ad udire, e ch’a pena potuto
avea tacer fin che Leon finisse
il suo parlar, si fece inanzi e disse:
57
– Poi che non c’è Ruggier, che la contesa
de la moglier fra sé e costui discioglia;
acciò per mancamento di difesa
così senza rumor non se gli toglia,
io che gli son sorella, questa impresa
piglio contra a ciascun, sia chi si voglia,
che dica aver ragione in Bradamante,
o di merto a Ruggiero andare inante. –
58
E con tant’ira e tanto sdegno espresse
questo parlar, che molti ebber sospetto,
che senza attender Carlo che le desse
campo, ella avesse a far quivi l’effetto.
Or non parve a Leon che più dovesse
Ruggier celarsi, e gli cavò l’elmetto;
e rivolto a Marfisa: – Ecco lui pronto
a rendervi di sé (disse) buon conto. –
59
Quale il canuto Egeo rimase, quando
si fu alla mensa scelerata accorto,
che quello era il suo figlio, al quale, instando
l’iniqua moglie, avea il veneno porto;
e poco più che fosse ito indugiando
di conoscer la spada, l’avria morto:
tal fu Marfisa, quando il cavalliero
ch’odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
60
E corse senza indugio ad abbracciarlo,
né dispiccar se gli sapea dal collo.
Rinaldo, Orlando, e di lor prima Carlo
di qua e di là con grand’amor baciollo.
Né Dudon né Olivier d’accarezzarlo,
né ‘l re Sobrin si può veder satollo.
Dei paladini e dei baron nessuno
di far festa a Ruggier restò digiuno.
61
Leone, il qual sapea molto ben dire,
finiti che si fur gli abbracciamenti,
cominciò inanzi a Carlo a riferire,
udendo tutti quei ch’eran presenti,
come la gagliardia, come l’ardire
(ancor che con gran danno di sue genti)
di Ruggier, ch’a Belgrado avea veduto,
più d’ogni offesa avea di sé potuto;
62
sì ch’essendo di poi preso e condutto
a colei ch’ogni strazio n’avria fatto,
di prigione egli, mal grado di tutto
il parentado suo, l’aveva tratto;
e come il buon Ruggier, per render frutto
e mercede a Leon del suo riscatto,
fe’ l’alta cortesia che sempre a quante
ne furo o saran mai, passarà inante.
63
E seguendo narrò di punto in punto
ciò che per lui fatto Ruggiero avea;
e come poi da gran dolor compunto,
che di lasciar la moglie gli premea,
s’era disposto di morire; e giunto
v’era vicin, se non si soccorrea.
E con sì dolci affetti il tutto espresse,
che quivi occhio non fu ch’asciutto stesse.
64
Rivolse poi con sì efficaci preghi
le sue parole all’ostinato Amone,
che non sol che lo muova, che lo pieghi,
che lo faccia mutar d’opinione;
ma fa ch’egli in persona andar non nieghi
a supplicar Ruggier che gli perdone,
e per padre e per suocero l’accette;
e così Bradamante gli promette.
65
A cui là dove, de la vita in forse,
piangea i suoi casi in camera segreta,
con lieti gridi in molta fretta corse
per più d’un messo la novella lieta:
onde il sangue ch’al cor, quando lo morse
prima il dolor, fu tratto da la pieta,
a questo annunzio il lasciò solo in guisa,
che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
66
Ella riman d’ogni vigor sì vota,
che di tenersi in piè non ha balìa;
ben che di quella forza ch’esser nota
vi debbe, e di quel grande animo sia.
Non più di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota
sia condannato o ad altra morte ria,
e che già agli occhi abbia la benda negra,
gridar sentendo grazia, si rallegra.
67
Si rallegra Mongrana e Chiaramonte,
di nuovo nodo i dui raggiunti rami:
altretanto si duol Gano col conte
Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami;
ma pur coprendo sotto un’altra fronte
van lor pensieri invidiosi e grami;
e occasione attendon di vendetta,
come la volpe al varco il lepre aspetta.
68
Oltre che già Rinaldo e Orlando ucciso
molti in più volte avean di quei malvagi;
ben che l’ingiurie fur con saggio avviso
dal re acchetate, ed i commun disagi;
avea di nuovo lor levato il riso
l’ucciso Pinabello e Bertolagi:
ma pur la fellonia tenean coperta,
dissimulando aver la cosa certa.
69
Gli imbasciatori bulgari che in corte
di Carlo eran venuti, come ho detto,
con speme di trovare il guerrier forte
del liocorno, al regno loro eletto;
sentendol quivi, chiamar buona sorte
la lor, che dato avea alla speme effetto;
e riverenti ai piè se gli gittaro,
e che tornassi in Bulgheria il pregaro;
70
ove in Adrianopoli servato
gli era lo scettro e la real corona:
ma venga egli a difendersi lo stato;
ch’a danni lor di nuovo si ragiona
che più numer di gente apparecchiato
ha Costantino, e torna anco in persona:
ed essi, se ‘l suo re ponno aver seco,
speran di torre a lui l’imperio greco.
71
Ruggiero accettò il regno, e non contese
ai preghi loro, e in Bulgheria promesse
di ritrovarsi dopo il terzo mese,
quando Fortuna altro di lui non fêsse.
Leone Augusto che la cosa intese,
disse a Ruggier, ch’alla sua fede stesse,
che, poi ch’egli de’ Bulgari ha il domìno,
la pace è tra lor fatta e Costantino:
72
né da partir di Francia s’avrà in fretta,
per esser capitan de le sue squadre;
che d’ogni terra ch’abbiano suggetta,
far la rinunzia gli farà dal padre.
Non è virtù che di Ruggier sia detta,
ch’a muover sì l’ambiziosa madre
di Bradamante, e far che ‘l genero ami,
vaglia, come ora udir, che re si chiami.
73
Fansi le nozze splendide e reali,
convenienti a chi cura ne piglia:
Carlo ne piglia cura, e le fa quali
farebbe, maritando una sua figlia.
I merti de la donna erano tali,
oltre a quelli di tutta sua famiglia,
ch’a quel signor non parria uscir del segno,
se spendesse per lei mezzo il suo regno.
74
Libera corte fa bandire intorno,
ove sicuro ognun possa venire;
e campo franco sin al nono giorno
concede a chi contese ha da partire.
Fe’ alla campagna l’apparato adorno
di rami intesti e di bei fiori ordire,
d’oro e di seta poi, tanto giocondo,
che ‘l più bel luogo mai non fu nel mondo.
75
Dentro a Parigi non sariano state
l’innumerabil genti peregrine,
povare e ricche e d’ogni qualitate,
che v’eran, greche, barbare e latine.
Tanti signori, e imbascierie mandate
di tutto ‘l mondo, non aveano fine:
erano in padiglion, tende e frascati
con gran commodità tutti alloggiati.
76
Con eccellente e singulare ornato
la notte inanzi avea Melissa maga
il maritale albergo apparecchiato,
di ch’era stata già gran tempo vaga.
Già molto tempo inanzi desiato
questa copula avea quella presaga:
de l’avvenir presaga, sapea quanta
bontade uscir dovea da la lor pianta.
77
Posto avea il genial letto fecondo
in mezzo un padiglione amplo e capace,
il più ricco, il più ornato, il più giocondo
che già mai fosse o per guerra o per pace,
o prima o dopo, teso in tutto ‘l mondo;
e tolto ella l’avea dal lito trace:
l’avea di sopra a Costantin levato,
ch’a diporto sul mar s’era attendato.
78
Melissa di consenso di Leone,
o più tosto per dargli maraviglia,
e mostrargli de l’arte paragone,
ch’al gran vermo infernal mette la briglia,
e che di lui, come a lei par, dispone,
e de la a Dio nimica empia famiglia;
fe’ da Costantinopoli a Parigi
portare il padiglion dai messi stigi.
79
Di sopra a Costantin ch’avea l’impero
di Grecia, lo levò da mezzo giorno,
con le corde e col fusto, e con l’intero
guernimento ch’avea dentro e d’intorno:
lo fe’ portar per l’aria, e di Ruggiero
quivi lo fece alloggiamento adorno.
Poi, finite le nozze, anco tornollo
miraculosamente onde levollo.
80
Eran degli anni appresso che duo milia
che fu quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella de la terra d’Ilia,
ch’avea il furor profetico congiunto,
con studio di gran tempo e con vigilia
lo fece di sua man di tutto punto.
Cassandra fu nomata, ed al fratello
inclito Ettòr fece un bel don di quello.
81
Il più cortese cavallier che mai
dovea del ceppo uscir del suo germano
(ben che sapea, da la radice assai
che quel per molti rami era lontano)
ritratto avea nei bei ricami gai
d’oro e di varia seta, di sua mano.
L’ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio
per chi lo fece, e pel lavoro egregio.
82
Ma poi ch’a tradimento ebbe la morte,
e fu ‘l popul troian da’ Greci afflitto;
che Sinon falso aperse lor le porte,
e peggio seguitò, che non è scritto;
Menelao ebbe il padiglione in sorte,
col quale a capitar venne in Egitto,
ove al re Proteo lo lasciò, se volse
la moglie aver, che quel tiran gli tolse.
83
Elena nominata era colei
per cui lo padiglione a Proteo diede;
che poi successe in man de’ Tolomei,
tanto che Cleopatra ne fu erede.
Da le genti d’Agrippa tolto a lei
nel mar Leucadio fu con altre prede:
in man d’Augusto e di Tiberio venne,
e in Roma sin a Costantin si tenne;
84
quel Costantin di cui doler si debbe
la bella Italia, fin che gir il cielo.
Costantin, poi che ‘l Tevero gl’increbbe,
portò in Bisanzio il prezioso velo:
da un altro Costantin Melissa l’ebbe.
Oro le corde, avorio era lo stelo;
tutto trapunto con figure belle,
più che mai con pennel facesse Apelle.
85
Quivi le Grazie in abito giocondo
una regina aiutavano al parto:
sì bello infante n’apparia, che ‘l mondo
non ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Iove, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che l’avevano sparto
a man piene e spargean d’eterei fiori,
di dolce ambrosia e di celesti odori.
86
Ippolito diceva una scrittura
sopra le fasce in lettere minute.
In età poi più ferma l’Aventura
l’avea per mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava nove genti la pittura
con veste e chiome lunghe, che venute
a domandar la parte di Corvino
erano al padre il tenero bambino.
87
Da Ercole partirsi riverente
si vede, e da la madre Leonora;
e venir sul Danubio, ove la gente
corre a vederlo, e come un Dio l’adora.
Vedesi il re degli Ungari prudente,
che ‘l maturo sapere ammira e onora
in non matura età tenera e molle,
e sopra tutti i suoi baron l’estolle.
88
V’è che negli infantili e teneri anni
lo scettro di Strigonia in man gli pone:
sempre il fanciullo se gli vede a’ panni,
sia nel palagio, sia nel padiglione:
o contra Turchi, o contra gli Alemanni
quel re possente faccia espedizione,
Ippolito gli è appresso, e fiso attende
a’ magnanimi gesti, e virtù apprende.
89
Quivi si vede, come il fior dispensi
de’ suoi primi anni in disciplina ed arte.
Fusco gli è appresso, che gli occulti sensi
chiari gli espone de l’antiche carte.
– Questo schivar, questo seguir conviensi,
se immortal brami e glorioso farte, –
par che gli dica: così avea ben finti
i gesti lor chi già gli avea dipinti.
90
Poi cardinale appar, ma giovinetto,
sedere in Vaticano a consistoro,
e con facondia aprir l’alto intelletto,
e far di sé stupir tutto quel coro.
– Qual fia dunque costui d’età perfetto?
(parean con maraviglia dir tra loro).
Oh se di Pietro mai gli tocca il manto,
che fortunata età! che secol santo! –
91
In altra parte i liberali spassi
erano e i giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi affronta sugli alpini sassi,
ora i cingiali in valle ima e palustre:
or s’un gianetto par che ‘l vento passi,
seguendo o caprio o cerva multilustre,
che giunta par che bipartita cada
in parti uguali a un sol colpo di spada.
92
Di filosofi altrove e di poeti
si vede in mezzo un’onorata squadra.
Quel gli dipinge il corso de’ pianeti,
questi la terra, quello il ciel gli squadra:
questi meste elegie, quel versi lieti,
quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
Musici ascolta, e vari suoni altrove;
né senza somma grazia un passo muove.
93
In questa prima parte era dipinta
del sublime garzon la puerizia.
Cassandra l’altra avea tutta distinta
di gesti di prudenza, di iustizia,
di valor, di modestia, e de la quinta
che tien con lor strettissima amicizia,
dico de la virtù che dona e spende;
de le qual tutte illuminato splende.
94
In questa parte il giovene si vede
col duca sfortunato degl’Insubri,
ch’ora in pace a consiglio con lui siede,
or armato con lui spiega i colubri;
e sempre par d’una medesma fede,
o ne’ felici tempi o nei lugubri:
ne la fuga lo segue, lo conforta
ne l’afflizion, gli è nel periglio scorta.
95
Si vede altrove a gran pensieri intento
per salute d’Alfonso e di Ferrara;
che va cercando per strano argumento,
e trova, e fa veder per cosa chiara
al giustissimo frate il tradimento
che gli usa la famiglia sua più cara:
e per questo si fa del nome erede,
che Roma a Ciceron libera diede.
96
Vedesi altrove in arme relucente,
ch’ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
e con tumultuaria e poca gente
a un esercito istrutto si va opporre;
e solo il ritrovarsi egli presente
tanto agli Ecclesiastici soccorre,
che ‘l fuoco estingue pria ch’arder comince:
sì che può dir, che viene e vede e vince.
97
Vedesi altrove da la patria riva
pugnar incontra la più forte armata,
che contra Turchi o contra gente argiva
da’ Veneziani mai fosse mandata:
la rompe e vince, ed al fratel captiva
con la gran preda l’ha tutta donata;
né per sé vedi altro serbarsi lui,
che l’onor sol, che non può dare altrui.
98
Le donne e i cavallier mirano fisi,
senza trarne costrutto, le figure;
perché non hanno appresso che gli avvisi
che tutte quelle sien cose future.
Prendon piacere a riguardare i visi
belli e ben fatti, e legger le scritture.
Sol Bradamante da Melissa istrutta
gode tra sé; che sa l’istoria tutta.
99
Ruggiero, ancor ch’a par di Bradamante
non ne sia dotto, pur gli torna a mente
che fra i nipoti suoi gli solea Atlante
commendar questo Ippolito sovente.
Chi potria in versi a pieno dir le tante
cortesie che fa Carlo ad ogni gente?
Di vari giochi è sempre festa grande,
e la mensa ognor piena di vivande.
100
Vedesi quivi chi è buon cavalliero;
che vi son mille lance il giorno rotte:
fansi battaglie a piedi e a destriero,
altre accoppiate, altre confuse in frotte.
Più degli altri valor mostra Ruggiero,
che vince sempre, e giostra il dì e la notte;
e così in danza, in lotta ed in ogni opra
sempre con molto onor resta di sopra.
101
L’ultimo dì, ne l’ora che ‘l solenne
convito era a gran festa incominciato;
che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
e Bradamante avea dal destro lato;
di verso la campagna in fretta venne
contra le mense un cavalliero armato,
tutto coperto egli e ‘l destrier di nero,
di gran persona, e di sembiante altiero.
102
Quest’era il re d’Algier, che per lo scorno
che gli fe’ sopra il ponte la donzella,
giurato avea di non porsi arme intorno,
né stringer spada, né montare in sella,
fin che non fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come eremita, entro una cella.
Così a quel tempo solean per se stessi
punirsi i cavallier di tali eccessi.
103
Se ben di Carlo in questo mezzo intese
e del re suo signore ogni successo;
per non disdirsi, non più l’arme prese,
che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che tutto l’anno e tutto ‘l mese
vede finito, e tutto ‘l giorno appresso
con nuove arme e cavallo e spada e lancia
alla corte or ne vien quivi in Francia.
104
Senza smontar, senza chinar la testa,
e senza segno alcun di riverenza,
mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,
e de tanti signor l’alta presenza.
Maraviglioso e attonito ognun resta,
che si pigli costui tanta licenza.
Lasciano i cibi e lascian le parole
per ascoltar ciò che ‘l guerrier dir vuole.
105
Poi che fu a Carlo ed a Ruggiero a fronte,
con alta voce ed orgoglioso grido:
– Son (disse) il re di Sarza, Rodomonte,
che te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
e qui ti vo’, prima che ‘l sol tramonte,
provar ch’al tuo signor sei stato infido;
e che non merti, che sei traditore,
fra questi cavallieri alcun onore.
106
Ben che tua fellonia si vegga aperta,
perché essendo cristian non pòi negarla;
pur per farla apparere anco più certa,
in questo campo vengoti a provarla:
e se persona hai qui che faccia offerta
di combatter per te, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei n’accetto;
e a tutte manterrò quel ch’io t’ho detto. –
107
Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
e con licenza rispose di Carlo,
che mentiva egli, e qualunqu’altro fosse,
che traditor volesse nominarlo;
che sempre col suo re così portosse,
che giustamente alcun non può biasmarlo;
e ch’era apparecchiato sostenere
che verso lui fe’ sempre il suo dovere:
108
e ch’a difender la sua causa era atto,
senza torre in aiuto suo veruno;
e che sperava di mostrargli in fatto,
ch’assai n’avrebbe e forse troppo d’uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi il marchese, e ‘l figlio bianco e ‘l bruno,
Dudon, Marfisa, contra il pagan fiero
s’eran per la difesa di Ruggiero;
109
mostrando ch’essendo egli nuovo sposo,
non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: – State in riposo;
che per me fôran queste scuse sozze. –
L’arme che tolse al Tartaro famoso,
vennero, e fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
e Carlo al fianco la spada gli cinse.
110
Bradamante e Marfisa la corazza
posta gli aveano, e tutto l’altro arnese.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
tenne la staffa il figlio del Danese.
Feron d’intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo ed Olivier marchese:
cacciaro in fretta ognun de lo steccato
a tal bisogni sempre apparecchiato.
111
Donne e donzelle con pallida faccia
timide a guisa di columbe stanno,
che da’ granosi paschi ai nidi caccia
rabbia de’ venti che fremendo vanno
con tuoni e lampi, e ‘l nero aer minaccia
grandine e pioggia, e a’ campi strage e danno:
timide stanno per Ruggier; che male
a quel fiero pagan lor parea uguale.
112
Così a tutta la plebe e alla più parte
dei cavallieri e dei baron parea;
che di memoria ancor lor non si parte
quel ch’in Parigi il pagan fatto avea;
che, solo, a ferro e a fuoco una gran parte
n’avea distrutta, e ancor vi rimanea,
e rimarrà per molti giorni il segno:
né maggior danno altronde ebbe quel regno.
113
Tremava, più ch’a tutti gli altri, il core
a Bradamante; non ch’ella credesse
che ‘l Saracin di forza, e del valore
che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
né che ragion, che spesso dà l’onore
a chi l’ha seco, Rodomonte avesse:
pur stare ella non può senza sospetto;
che di temere, amando, ha degno effetto.
114
Oh quanto volentier sopra sé tolta
l’impresa avria di quella pugna incerta,
ancor che rimaner di vita sciolta
per quella fosse stata più che certa!
Avria eletto a morir più d’una volta,
se può più d’una morte esser sofferta,
più tosto che patir che ‘l suo consorte
si ponesse a pericol de la morte.
115
Ma non sa ritrovar priego che vaglia,
perché Ruggiero a lei l’impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e vengonsi a trovar coi ferri bassi.
Le lance all’incontrar parver di gielo;
i tronchi, augelli a salir verso il cielo.
116
La lancia del pagan, che venne a corre
lo scudo a mezzo, fe’ debole effetto:
tanto l’acciar, che pel famoso Ettorre
temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
gli andò allo scudo, e gliele passò netto;
tutto che fosse appresso un palmo grosso,
dentro e di fuor d’acciaro, e in mezzo d’osso.
117
E se non che la lancia non sostenne
il grave scontro, e mancò al primo assalto,
e rotta in schegge e in tronchi aver le penne
parve per l’aria, tanto volò in alto;
l’osbergo aprìa (si furiosa venne),
se fosse stato adamantino smalto,
e finìa la battaglia; ma si roppe:
posero in terra ambi i destrier le groppe.
118
Con briglia e sproni i cavallieri instando,
risalir feron subito i destrieri;
e donde gittar l’aste, preso il brando,
si tornato a ferir crudeli e fieri:
di qua di là con maestria girando
gli animosi cavalli atti e leggieri,
con le pungenti spade incominciaro
a tentar dove il ferro era più raro.
119
Non si trovò lo scoglio del serpente,
che fu sì duro, al petto Rodomonte,
né di Nembrotte la spada tagliente,
né ‘l solito elmo ebbe quel dì alla fronte;
che l’usate arme, quando fu perdente
contra la donna di Dordona al ponte,
lasciato avea sospese ai sacri marmi,
come di sopra avervi detto parmi.
120
Egli avea un’altra assai buona armatura,
non come era la prima già perfetta:
ma né questa né quella né più dura
a Balisarda si sarebbe retta;
a cui non osta incanto né fattura,
né finezza d’acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua di là sì ben lavora,
ch’al pagan l’arme in più d’un loco fora.
121
Quando si vide in tante parti rosse
il pagan l’arme, e non poter schivare
che la più parte di quelle percosse
non gli andasse la carne a ritrovare;
a maggior rabbia, a più furor si mosse,
ch’a mezzo il verno il tempestoso mare:
getta lo scudo, e a tutto suo potere
su l’elmo di Ruggiero a due man fere.
122
Con quella estrema forza che percuote
la machina ch’in Po sta su due navi,
e levata con uomini e con ruote
cader si lascia su le aguzze travi;
fere il pagan Ruggier, quanto più puote,
con ambe man sopra ogni peso gravi:
giova l’elmo incantato; che senza esso,
lui col cavallo avria in un colpo fesso.
123
Ruggiero andò due volte a capo chino,
e per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
che quel non abbia tempo a riaverse:
poi vien col terzo ancor; ma il brando fino
sì lungo martellar più non sofferse;
che volò in pezzi, ed al crudel pagano
disarmata lasciò di sé la mano.
124
Rodomonte per questo non s’arresta,
ma s’aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intronata avea la testa,
in tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
gli cinge il collo col braccio possente;
e con tal nodo e tanta forza afferra,
che de l’arcion lo svelle, e caccia in terra.
125
Non fu in terra sì tosto, che risorse,
via più che d’ira, di vergogna pieno;
però che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
e fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell’onta,
stringe la spada, e col pagan s’affronta.
126
Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
lo cansa accortamente, e si ritira,
e nel passare, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
e di due punte fe’ sentirgli angoscia,
l’una nel fianco, e l’altra ne la coscia.
127
Rodomonte, ch’in mano ancor tenea
il pome e l’elsa de la spada rotta,
Ruggier su l’elmo in guisa percotea,
che lo potea stordire all’altra botta.
Ma Ruggier ch’a ragion vincer dovea,
gli prese il braccio, e tirò tanto allotta,
aggiungendo alla destra l’altra mano,
che fuor di sella al fin trasse il pagano.
128
Sua forza o sua destrezza vuol che cada
il pagan sì, ch’a Ruggier resti al paro:
vo dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
lungi da sé, né di accostarsi ha caro:
per lui non fa lasciar venirsi adosso
un corpo così grande e così grosso.
129
E insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede e la coscia e l’altre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
sì che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L’elsa e ‘l pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte le forze insieme unite
da sé scagliolli, e sì Ruggier percosse,
che stordito ne fu più che mai fosse.
130
Ne la guancia de l’elmo, e ne la spalla
fu Ruggier colto, e sì quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difficilmente.
Il pagan vuole entrar, ma il piè gli falla,
che per la coscia offesa era impotente:
e ‘l volersi affrettar più del potere,
con un ginocchio in terra il fa cadere.
131
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e tien sì curto,
che con la mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il pagan che gli è risurto;
si stringe con Ruggier sì, che l’abbraccia:
l’uno e l’altro s’aggira, e scuote e preme,
arte aggiungendo alle sue forze estreme.
132
Di forza a Rodomonte una gran parte
la coscia e ‘l fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande arte,
era alla lotta esercitato molto:
sente il vantaggio suo, né se ne parte;
e donde il sangue uscir vede più sciolto,
e dove più ferito il pagan vede,
puon braccia e petto, e l’uno e l’altro piede.
133
Rodomonte pien d’ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da terra lo sospende,
quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
senno e valor, per rimaner di sopra.
134
Tanto le prese andò mutando il franco
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcogli il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e all’altro attraversogli e spinse;
e da la terra in alto sollevollo,
e con la testa in giù steso tornollo.
135
Del capo e de le schene Rodomonte
la terra impresse; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c’ha la Fortuna per la fronte,
perché levarsi il Saracin non possa,
l’una man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
l’altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
136
Come talvolta, ove si cava l’oro
là tra’ Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa ruina su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere,
ne restano sì oppressi, che può il loro
spirto a pena, onde uscire, adito avere:
così fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch’in terra messo.
137
Alla vista de l’elmo gli appresenta
la punta del pugnal ch’avea già tratto;
e che si renda, minacciando, tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
138
Come mastin sotto il feroce alano
che fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto s’affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscire al predator di mano,
che vince di vigor, non già di rabbia:
così falla al pagano ogni pensiero
d’uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
139
Pur si torce e dibatte sì, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che ‘l pugnal tiene,
che trasse anch’egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s’accorse de l’errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.
140
E due e tre volte ne l’orribil fronte,
alzando, più ch’alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d’impaccio.
Alle squalide ripe d’Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.
Finis.
Pro bono malum