Parafrasi canto 7 (VII) del Purgatorio di Dante

Parafrasi del Canto VII del Purgatorio -Virgilio rivela la sua identità a Sordello e gli chiede informazioni sulla strada da prendere per entrare nel Purgatorio. Lo spirito si propone come guida ma è oramai sera e non è più possibile salire. I tre raggiungono quindi una valle incavata nel monte per avere un riparo durante la notte. Una valle di sorprendete bellezza che accoglie le anime di sovrani e principi.

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Dopo che gli abbracci festosi e sinceri
furono più e più volte ripetuti dalle due anime,
Sordello infine si fece da parte e chiese a Vigrilio: “Voi chi siete?”

“Prima ancora che fossero indirizzate presso questo monte del Purgatorio
tutte le anime ritenute degne di salire in cielo, da Dio,
io morii e le mie ossa furono sepolte per ordine di Ottaviano.

Io sono Virgilio; e per nessuna altra colpa se non
quella di non aver avuto fede, persi la possibilità di salire in cielo.”
La mia guida rispose a Sordello con queste parole.

Allo stesso modo in cui si coporta chi davanti a sé
vede improvvisamente comparire qualcosa che lo soprende
tanto che fa fatica a credere ai suoi occhi, e si chiede “..è … o non è..”

allo stesso modo si comportò allora Sordello; poi abbassò lo sguardo, tornò
umilmente, con riverenza, vicino a Virgilio, e lo abbracciò nel punto del corpo
(le ginocchia) dovè chi è inferiore di valore è solito abbracciare un suo superiore.

“Tu, gloria della stirpe italiana”, disse allora, “attraverso cui
la nostra lingua è riuscita a mostrare ciò che era in grado di fare,
o eterno motivo d’orgoglio della mia città d’origine, dove nacqui,

quale merito o quale grazia divina mi permette di incontrarti?
Se mi ritieni degno di ascoltare le tue parole,
dimmi se vieni dall’Inferno e, nel caso, da quale sua parte.”

“Passando 1ttraverso tutti i cerchi del regno della sofferenza, l’Inferno,”
rispose Virgilio, “sono giunto fino a questo punto; mi spinse ad intraprendere
il viaggio una potenza celeste, ed è grazie a lei che sono qui ora.

Non per qualcosa che ho fatto, ma anzi per qualcosa che non ho fatto, ho perso
la possibilità di vedere l’alta luce di Dio che tu desideri ardentemente,
ma che fu conosciuta da me troppo tardi, quando ero oramai morto.

C’é un luogo nell’Inferno che non è reso triste dai tormenti
ma soltanto dalle tenebre (dall’assenza della luce di Dio), là i lamenti
non hanno il suono delle grida ma dei sospiri.

In quel luogo mi trovo io insieme con i bambini innocenti,
addentati dalla morte prima ancora di poter essere
purificati con il battesimo dal peccato originale;

in quel luogo mi trovo io insieme con tutti coloro che non seguirono
le tre sante virtù (Fede, speranza e Carità), ma vivendo senza vizi alcuni
conobbero comunque e praticarono anche tutte le altre di virtù.

Ma adesso, se tu lo sai e puoi anche dircelo, dacci qualche indicazione
per poter raggiungere più in fretta il luogo
in cui inizia realmente il Purgatorio.”

Rispose Sordello: “Non c’è un luogo fisso dove stare per noi anime morte
di morte violenta; mi è quindi permesso muovermi tutt’intorno;
perciò, fin dove posso arrivare, ti starò vicino e ti farò da guida.

Ma guarda come il giorno è oramai prossimo al suo termine,
e siccome non si può salire di notte
conviene bene che provvediamo a trovare un buon riparo.

Alla nostra destra si trovano alcune anime appartate dalle altre,
se me lo permetti, io ti condurrò da loro,
e te le presenterò anche, di sicuro con tuo grande piacere.”

“Perché è così?”, rispose Virgilio, “Chi volesse
salire di notte, verrebbe ostacolato
da qualcuno, oppure semplicemente non ne sarebbe in grado?”

Il generoso Sordello fregò allora il dito sulla terra (tracciano una linea)
dicendo: “La vedi? Non saresti in grado di superare nemmeno questa riga
una volta che il sole è sparito dietro all’orizzonte:

non perché ci sia qualcosa che ti impedisca,
oltre alle tenebre della notte, di salire verso l’alto;
sono le tenebre, rendendo impossibile la salita, a bloccare ogni volontà.

In piena notte si potrebbe invece tornare facilmente in basso
e percorrere tutta la costa di quest’isola
per tutto il tempo che il sole rimane oltre la linea dell’orizzonte.”

Allora Virgilio, la mia guida, con una certa meraviglia
disse: “Portaci pure in quel luogo in cui, dici,
possiamo piacevolmente ripararci per la notte.”

Ci eravamo di poco allontanati da lì,
quando mi accorsi che il monte presentava una parte concava,
allo stesso modo in cui valli segnano le montagne del nostro mondo.

“Là”, disse quell’anima, “andremo noi,
dove il fianco del monte forma un avvallamento;
ed in quel luogo aspetteremo la nascita del nuovo giorno.”

Tra la pianura ed il pendio serpeggiava un sentiero obliquo,
che ci condusse fino ad un lato di quella valle, nel punto in cui
il suo fianco si abbassa per più di metà della sua massima altezza.

Il giallo dell’oro ed il bianco dell’argento puro, il rosso della cocciniglia
ed il bianco della biacca, l’indaco, lo splendore chiaro della lichite,
il verde vivo dello smeraldo nel momento in cui viene spezzato,

sarebbero tutti superati dal vivo splendore dell’erba e dei fiori,
cresciuti all’interno di quell’insenatura, così come il più piccolo
viene superato e vinto dal suo corrispondente più grande.

La natura non si era limitata a dipingere in modo incredibile,
ma con la grazia di mille diverse flagranze
aveva creato un profumo unico ed indistinguibile.

Vidi quindi delle anime cantare l’inno “Salve, Regina”
stando sedute su quel prato verde e su quei fiori
anime che non potevano essere viste stando all’esterno della valle.

“Prima che il tramonto sia completo, che anche il poco sole rimasto scenda sotto
l’orizzonte”, disse l’anima Mantovana che ci aveva condotti fin lì,
“non vogliate che io vi porti in mezzo a quelle anime.

Da questa punto sopraelevato potrete meglio conoscere
le imprese ed i volti di tutti quegli spiriti laggiù, piuttosto che stando mescolati ad essi giù nell’avvallamento.

Quell’anima che siede più in alto di tutti e mostra, nell’atteggiamento
che tiene, di aver trascurato in vita i suoi doveri,
e che stà zitto, non non mescola la sua voce al canto collettivo,

fu l’imperatore Rodolfo d’Asburgo, colui che in vita avrebbe potuto
curare le ferite che hanno poi ucciso l’Italia,
così che adesso è troppo tardi per l’intervento di altri.

L’altro spirito che vedete confortare il primo (Rodolfo),
regnò sul territorio dove sgorgano le acque
che la Moldava versa nell’Elba, e l’Elba poi a suo volta riversa nel mare:

il suo nome fu Ottocaro, e fin da quando era avvolto nelle fasce, fin
dall’infanzia, si mostrò migliore di quanto sia suo figlio Venceslao
anche nell’età adulta, che preferisce invece dedicarsi all’ozio ed ai piaceri.

E quello spirito con il naso piccolo (Filippo III), che vedi parlare
tanto intensamente con quell’altro che ha l’aspetto tanto benevolo,
morì mentre si ritirava e faceva perdere petali al giglio di Francia:

guardate come si batte adesso il petto disperato!
Osservate come l’altro vicino a lui (Enrico I) tiene la guancia
appoggiata sul palmo della mano e sospira sconfortato.

Sono rispettivamente il padre ed il suocero della rovina di Francia (Filippo il
Bello): sanno che vita viziata e corrotta conduce il loro discendente,
ed è per questo che sono così afflitti dal dolore.

Quell’anima (Pietro III d’Aragona) invece che ci appare così muscolosa
e che si accorda, nel canto, con quell’altra che ha il naso tanto marcato
(Carlo I d’Angiò), in vita si distinse per ogni genere di virtù;

e se dopo di lui avesse regnato
quello spirito giovane che siede adesso dietro di lui,
le virtù si sarebbero tramandate completamente, da vaso in vaso,

cosa che non si può invece dire degli altri eredi;
Giacomo II e Federico II governano i due regni, Sicilia ed Aragona;
ma nessuno dei due ha avuto l’eredità migliore.

Raramente infatti rinascono nei figli
le virtù dei padri; e così vuole colui (Dio)
che le distribuisce, così che gli venga riconosciuto il merito.

Le mie parole valgono anche per Carlo d’Angiò, l’anima con il grosso naso,
e non solo per l’altro spirito, Pietro III, che canta insieme a lui,
perché l’Italia meridionale e la Provenza già lo rimpiangono.

Suo figlio, la pianta nata dal suo seme, è tanto inferiore a lui
quanto, più di Beatrice di Provenza e Margherita di Borgogna,
Costanza ha motivo di vantarsi del marito, Pietro d’Aragona.

Potete poi vedere anche quel re che condusse una vita tanto semplice
sedere là in disparte, da solo, è Arrigo III d’Inghilterra:
costui ha avuto maggiore fortuna con i discendenti.

Infine quello spirito che siede tra costoro ma in posizione più bassa,
e che guarda verso l’alto, è Guglielmo, marchese di Monferrato,
colui a causa del quale la città di Alessandria, con la sua guerra,

porta dolore e lacrime nel Monferrato e nel Canavese.”

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