Parafrasi del Canto III del Paradiso – Dante incontra nel cielo della Luna le anime beate che sono venute meno ai loro voti; parla quindi con Piccarda Donati ed apprende la storia anche di Costanza di Svevia. Nel canto viene trattato l’argomento relativo ai gradi di beatitudine.
Leggi il testo del canto 3 (III) del Paradiso di Dante
Nel canto precedente Beatrice aveva spiegato a Dante il sistema delle influenze celesti, il poeta alza ora il capo per manifestare la sua gratitudine ma subito la vista di alcune anime attira la sua attenzione. Le figure sono molto tenui, tanta è la luce che le circonda, e Dante, credendo si tratti si immagini riflesse, si volta pertanto indietro per vedere in faccia le anime che le hanno generate.
Beatrice si accorge del suo errore e sorride vedendo che il suo compagno non ha ancora ben compreso l’essenza delle cose. Dante si rigira nuovamente e vede così le anime d coloro che in vita vennero meno ai loro voti.
Il poeta chiede il nome e la condizione, sua e dei suoi compagni, all’anima che più si mostra desiderosa di parlare. Si tratta di Piccarda Donati ed in vita era stata una monaca.
Il fratello Forese Donati aveva chiesto di lei a Dante nella cornice del Purgatorio nella quale il poeta aveva incontrato la sua anima.
Dante vuole subito sapere se i beati che si trovano in questo cielo, il più lontano dall’Empireo, desiderano poter salire più in alto per avvicinarsi a Dio. La monaca risponde dicendo che in Paradiso le anime desiderano soltanto ciò che già hanno e per questo non sentono bisogno di altro. La loro felicità consiste in un totale adeguamento a quella che è la volontà di Dio. Il desiderare un’altra posizione in cielo sarebbe in contrasto con il desiderio divino, mentre la loro beatitudine presuppone un desiderio comune, condiviso.
Piccarda, su richiesta del poeta, racconta quindi con dolore la sua storia.
La donna era entrata nel monastero delle clarisse in Firenze sin dalla giovane età. Fu però poi rapita da uomini crudeli, tra i quali il fratello Corso, e costretta ad andare in sposa a Rossellino della Tosa. In realtà l’anima non racconta gli avvenimenti successivi al suo rapimento, chiaro segnale dell’ormai pieno distacco dai tormenti terreni.
Le cronache raccontano che il dolore provocato dalla violenza subita la fece morire di crepacuore non molto dopo.
L’anima beata accenna infine ad un altro spirito al quale, in vita, era toccata la stessa sorte. Si tratta di Costanza d’Altavilla, anche lei fu suora per vocazione ed anche lei fu poi costretta con la forza ad abbandonare il chiostro. Costanza dovette sposare Enrico di Svevia, dando alla luce l’imperatore Federico II.
Finito di parla, Piccarda intona “Ave Maria” e subito scompare, tanto rapidamente quanto prima lo era stata nel comparire.
Dante rivolge poi lo sguardo verso Beatrice e la vede brillare tanto intensamente da non riuscire a sopportarne inizialmente la vista.
Tutto il canto è pervaso da un continuo apparire e scomparire delle forme, a sottolineare il pieno trapasso dell’anima. La figura umana è ridotta ad un tenue fantasma e vive ormai solo nella memoria, e lo stesso vale anche per gli avvenimenti terreni e per i loro antichi tormenti.
Beatrice, quel sole che un tempo mi aveva scaldato il
cuore d’amore, mi aveva svelato,
con dimostrazioni e confutazioni, il volto bellissimo della verità;
ed io, per dimostrare di aver corretto il mio sbaglio e di essermi
convinto dei suoi argomenti, solo quanto mi era consentito
per rispetto, alzai il capo per parlare più eretto;
ma poi apparve una cosa che attirò tanto
a sé la mia attenzione, spingendomi a guardarla,
che mi dimenticai di quanto stavo per dire.
Come attraverso vetri trasparenti e puliti,
o attraverso specchi d’acqua chiari e tranquilli,
non tanto profondi che non si possa intravederne il fondo,
vengono riflesse le immagini dei nostri volti,
in modo così debole che una perla su una fronte bianca
non sarebbe meno distinguibile dai nostri occhi;
vidi io i volti di più anime, altrettanto tenui, pronti per parlare;
per cui io credei fossero immagini riflesse, e commisi quindi
l’errore opposto a quello di Narciso, che si innamorò della propria immagine riflessa nell’acqua.
Non appena mi fui accorto di loro,
ritenendo essere quelle delle immagini riflesse,
mi voltai indietro per vedere chi fossero quelle anime;
ma non vidi nulla e mi rigirai quindi nuovamente,
fissando il mio sguardo nella mia amata guida, Beatrice,
alla quale, sorridendo, brillavano gli occhi.
“Non ti sorprendere del fatto che io sorrida”,
mi disse, “per il tuo atteggiamento infantile,
poiché esso non ha ancora il piede saldo sulla verità,
ma ti fa invece ancora girare a vuoto, come è solito fare:
quelle che tu vedi sono anime reali, non immagini,
relegate in questo luogo per essere venute meno ai loro voti.
Perciò parla con loro, ascolta e credi alle loro parole;
perché la luce di Dio, che appaga i loro desideri, non li lascia
allontanare in nessun modo da sé stessa, dalla verità.”
Io mi rivolsi quindi all’anima beata che mi sembrava più
desiderosa di parlare, e cominciai a dire,
come farebbe un uomo consumato da un gran desiderio:
“Oh anima destinata alla beatitudine, che dei raggi
della vita eterna puoi sentire quella dolcezza,
che se non provata non può essere mai compresa,
mi sarebbe cosa gradita se tu mi rendessi noti
il tuo nome e la sorte di tutte voi.” Quindi quell’anima,
pronta a rispondere e con lo sguardo sorridente, disse:
“Il nostro spirito di carità ci invoglia a non rifiutare
nessuna giusta preghiera, proprio come la carità divina,
che vuole tutta la corte di anime del Paradiso simile a sé stessa.
Durante la mia vita mortale sono stata una monaca;
e se la tua memoria riesce a farti ricordare bene,
il fatto che io sia ora più bella non ti impedirà di riconoscermi,
e scoprirai quindi da solo che io sono Piccarda,
e che, beata, sono stata posta insieme a queste altre anime
nel cielo della Luna, quello che ruota più lentamente.
I nostri sentimenti, che sono accesi soltanto
dal piacere per lo Spirito Santo, per la carità divina,
gioiscono perché sono stati così predisposti dall’ordine divino.
E questa nostra condizione di beatitudine, che può sembrare
tanto umile, ci è stato data perché non furono mantenuti i voti
pronunciati in vita e rimasero incompiuti in alcuni loro aspetti.”
Dissi quindi io a lei: “Nel vostro meraviglioso aspetto
brilla una luce sovrannaturale che vi rende irriconoscibili,
alterando le vostre sembianze originali, che ricorda di voi chi vi conobbe sulla terra:
per questo non sono stato pronto nel riconoscerti;
ma ciò che mi hai detto mi aiuta ora a ricordare,
cosicché mi è più facile riconoscerti.
Ma dimmi: voi beati che vi trovate in questo cielo,
non desiderate poter salire più in alto nel Paradiso, per poter
contemplare più da vicino Dio ed entrare quindi con lui in un rapporto più stretto?”
Con queste mie parole, elle sorrise prima un poco insieme ad altre anime;
quindi mi rispose con tanta gioia
che mostrava bene di ardere dell’amore di Dio:
“Fratello, ogni nostro desiderio e completamente appagato
dallo spirito di carità, spingendoci a desiderare solamente ciò
che già abbiamo, e non sentiamo il bisogno d’altro.
Se desiderassimo trovarci più in alto nel Paradiso,
questo desiderio sarebbe in contrasto
con quello di colui, Dio, che ci ha assegnato a questo cielo;
ti renderai conto che ciò non è possibile in queste sfere celesti,
se è vero che qui è necessario vivere in carità
e se consideri bene la natura della carità stessa.
Anzi, al contrario, è essenziale a questo stato di beatitudine
il fatto di attenersi alla volontà divina, grazie alla quale i nostri
desideri diventano una cosa sola e coincidono con essa stessa;
cosicché il modo in cui noi anime beate siamo destinate in
questo regno, a seconda del nostro grado, è gradito a tutte le
anime del Paradiso, così come è gradito al nostro re, che ci invoglia ad uniformarci alla sua volontà.
E nella sua volontà noi troviamo la nostra pace:
lui, Dio, è come un mare al quale tende ogni creatura
da lui generata ed anche quelle generate dalla natura.”
Capii allora come ogni luogo
in cielo è ugualmente Paradiso, sebbene la Grazia
divina è distribuita in misura diversa in ognuno di essi.
Ma così come accade quando un cibo ci rende sazi
ma di un’altro ci rimane ancora la gola, la voglia di assaporarlo,
dell’uno se ne ne chiede ancora mentre dell’altro si ringrazia per quanto già ricevuto,
così feci io, spinto dalla curiosità di sapere altro, con gesti
e con parole, per sapere da lei quale fosse la tela, il voto,
che non portò a compimento.
“Una vite di perfezione ed alti meriti acquisiti collocano più
in alto nel cielo una donna, santa Chiara”, mi disse, “secondo le
cui regole si indossano l’abito ed il velo monacali (l’ordine delle Clarisse)
promettendo fedeltà, di giorno e notte, fino alla propria morte,
a quello sposo, Cristo, che accoglie ogni voto, promessa,
che il vero senso di carità rende conforme al suo volere.
Per seguire i suoi insegnamenti, in giovane età,
mi allontanai dalla vita mondana ed indossai la sua veste,
mi chiusi in convento, promettendo di seguire la sua regola.
Ma poi degli uomini, più propensi a fare del male che a fare del
bene, mi rapirono, mi fecero uscire con la forza dall’amato
convento: sa solo Dio quale fu poi la mia vita.
E quest’altra luce, che vedi
alla mia destra e che brilla
di tutto lo splendore del nostro cielo,
può ritenere valido anche per sé stessa ciò io ti ho detto
riguardo a me; in vita è stata una suora e come a me le è stato
strappato dal campo il velo monacale.
Ma anche dopo essere stata ricondotta alla vita mondana,
contro la propria volontà e contro ogni buona norma morale,
in cuore suo non si separò comunque mai dal velo.
Questa di cui parlo è la luce, l’anima, della nobile Costanza,
che del secondo imperatore della casa di Svevia
diede alla luce il terzo ed ultimo erede.”
Così mi parlò e cominciò poi a cantare
‘Ave Maria’, e cantando scomparve
come scompare nell’acqua profonda un oggetto pesante.
Il mio sguardo la seguì fintanto
che riuscì a farlo, e dopo averla persa di vista
si volse verso l’oggetto del mio più intenso desiderio,
concentrandosi perciò tutto su Beatrice;
ma lei brillò ai miei occhi di una luce tanto abbagliante,
che all’inizio non riuscii a sopportarne la vista;
e ciò mi rallentò nel rivolgerle la domanda.
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