Riassunto canto 34 (XXXIV) del poema Orlando Furioso

Giunto ai piedi dei monti della Luna, all’ingresso della caverna che conduce all’Inferno, dove si erano rifugiate le arpie, Astolfo decide di avventurarsi per i gironi infernali ed entra quindi nell’apertura. Il fumo nero e sgradevole che ne riempie l’aria, diviene però via via più denso man mano che si procede verso il basso, finché il cavaliere è costretto a fermarsi.
Astolfo incontro un’anima che gli racconta la propria storia. Il suo nome è Lidia, figlia del re di Lidia, ed è condannata a stare in quel fumo per non essersi dimostrata riconoscente verso il suo amante. L’anima dannata racconta la sua storia.

In vita era stata tanto bella quanto altezzosa ed aveva fatto innamorare di se Alceste, il cavaliere più valoroso del suo tempo. Il ragazzo si mise per amore al servizio del re di Lidia, e con le proprie imprese gli consentì innumerevoli conquiste.
Alceste chiese un giorno la mano di Lidia, ma il re, intenzionato ad ottenere un ben più vantaggioso matrimonio (Alceste aveva solo il valore dalla sua parte e non ricchezze), gli rispose con un rifiuto. Il cavaliere, acceso d’ira per l’ingratitudine, lasciò la corte per offrire le proprie armi al re di Armenia, acerrimo nemico del padre della ragazza, convincendolo quindi a muovere guerra alla Lidia.
Nel giro di un anno al re di Lidia rimase il possesso del suo solo castello e decise così di mandare la figlia a trattare la resa con Alceste. La ragazza, accortasi del potere che aveva nei confronti del cavaliere (si presentò pallido e tremante come se fosse lui lo sconfitto), riuscì invece ad ottenere molto di più. Lo fece subito sentire in colpa per i danni causati al padre quando, gli disse, avrebbe potuto più facilmente ottenere lo stesso risultato (averla in sposa) con modi più gentili. Gli disse infatti che prima di allora non avrebbe trovato alcun ostacolo in lei, ma dopo quello che era successo, non voleva ora più amarlo, preferiva piuttosto la morte.
Alceste si lanciò ai piedi della ragazza chiedendo perdono, lei glielo promise a patto di fare riconquistare al padre tutto ciò che gli era stato sottratto in quella guerra.
Tornato dal re di Armenia, il cavaliere lo pregò di ridare al re di Lidia il suo regno. La risposta negativa accese subito d’ira il giovane che uccise sul posto il re di Armenia ed in meno di un mese ridiede il regno al padre della amata a proprie spese, e conquistò anche buona parte delle terre confinanti.
La ragazza ed il re decisero poi di fare morire Alceste e, Lidia con la scusa di voler avere prova del suo valore, cominciò ad assegnargli imprese pericolosissime. Il cavaliere riuscì però sempre vincitore e la ragazza decise infine di seguire un’altra via: approfittando della sua totale ubbidienza, gli fece perdere ogni amico, e dichiarandogli poi apertamente il proprio odio nei suoi confronti, lo allontanò infine dalla corte. La sofferenza per quel trattamento fece ammalare e quindi morire Alceste.
Gli occhi di Lidia vengono ora fatti lacrimare da quel fumo denso, per punirla dell’ingratitudine mostrata verso chi l’amava.

Terminato il racconto di Lidia, Astolfo tenta di proseguire oltre per incontrare altre anime; il denso fumo diviene però insopportabile ed il cavaliere è costretto a tornare all’aperto.
Chiusa con massi e tronchi l’apertura della caverna, così da impedire alle arpie di uscire nuovamente, e dopo essersi lavato con l’acqua di una fonte, il cavaliere sale in sella all’ippogrifo ed inizia l’ascesa del monte.

Raggiunta la cima della montagna, Astolfo rimane incantato dalla bellezza del paesaggio, il paradiso terrestre, che non ha eguali sulla terra. In mezzo ad una splendida pianura sorge un ricco, bellissimo e luminosissimo palazzo, dal cui vestibolo esce un vecchio, che accoglie Astolfo dicendogli che è per volontà di Dio che ha potuto raggiungere quel posto; gli anticipa quindi che lo scopo di quel suo viaggio è mostrargli come essere d’aiuto a re Carlo e quindi alla Santa Chiesa.
Il vecchio è san Giovanni, il discepolo di Cristo, salito al cielo con il proprio corpo quando era ancora in vita.

Il mattino dopo san Giovanni racconta ad Astolfo gli avvenimenti accaduti in Francia, soprattutto per quanto riguarda il paladino Orlando. Il conte aveva infatti ricevuto il dono dell’invulnerabilità da Dio per stare in difesa dei cristiani, ma, reso cieco e violento per amore di una donna pagana, aveva mancato al proprio compito, e, per punizione, era stato poi privato della ragione da Dio.
Per volontà divina, la follia di Orlando deve avere termine dopo tre mesi; ad Astolfo spetta il compito di fare rinsavire il cavaliere utilizzando la medicina che dovranno prelevare sulla Luna.

Non appena la luna compare in cielo, il cavaliere e l’evangelista si sistemano su di un carro trainato da quattro cavalli rosso fuoco ed iniziano così il loro viaggio.
Giunti sulla Luna, san Giovanni conduce Astolfo in una valle dove viene raccolto tutto ciò che sulla terra è stato smarrito: non solo regni e ricchezze, ma anche fama, preghiere e promesse fatte a Dio, lacrime e sospiri degli amanti…
Astolfo vede infine un monte costituito da ampolle contenenti il senno, in forma di liquido, perso sulla terra. Le ampolle hanno volume diverso tra loro ed ognuna riporta il nome del suo proprietario. L’ampolla contenente il senno di Orlando è la più grande di tutte ed è quindi facile da individuare. Astolfo ritrova anche quella contenente il proprio di senno e quelle contenenti il senno di persone insospettabili.
Il cavaliere si porta al naso la sua ampolla e torna così nuovamente in possesso di ciò che aveva smarrito. Vivrà a lungo come un uomo saggio, prima di perdere ancora una volta il proprio senno.

Dopo che il cavaliere ha prelevato l’ampolla del conte Orlando, l’evangelista Giovanni lo conduce in un palazzo pieno di batuffoli di lino, seta, cotone… In una stanza vede una donna intenta ad ottenere da ogni batuffolo un filo che poi avvolge su di un aspo per formare una matassa. Un’altra donna separa le matasse brutte da quelle belle.
Sono le parche ed hanno il compito di tessere la vita di ogni mortale. Tanto più lungo è il filo e tanto più lunga sarà la vita degli uomini. I filati più belli verranno utilizzati per tessere l’ornamento del paradiso, quelli più brutti per fare i legacci dei dannati nell’inferno.
Un vecchio, il Tempo, porta via senza riposo le piastrine che accompagnano le matasse con incisi i nomi delle persone loro proprietarie.

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