Riassunto canto 33 (XXXIII) del poema Orlando Furioso

Terminata la cena nel castello di Tristano, Bradamante rimane nel grande salone ad ammirare i dipinti che ne rivestono le mura. Le pitture era state fatte realizzare con un incantesimo da Merlino per rappresentare scene future, per rappresentare in particolare le guerre che in futuro verranno sostenute dai francesi.

Il padrone del castello racconta che il re francese Fieramonte, passato il Reno ed occupata la Gallia, fu anche intenzionato a conquistare tutta l’Italia, visto il declino dell’impero romano, e per fare ciò chiese a re Artù di allearsi con lui. Artù, consultatosi con Merlino, capace di prevedere il futuro, fece però conoscere a Fieramonte il pericolo a cui andava incontro nel voler compiere quell’impresa. Merlino annunciò anche tutte le sconfitte e le sciagure alle quali sarebbero andati incontro i futuri re di Francia una volta oltrepassate le Alpi per muovere guerra in Italia. Re Fieramonte non solo abbandonò l’impresa, ma fece anche fare quei dipinti così da avvertire i suoi successori del pericolo previsto da Merlino e mostrare loro gli onori derivanti al contrario dall’aver preso le difese dell’Italia.
Il signore del castello mostra quindi in dettaglio i singoli avvenimenti rappresentati.

Bradamante va infine a coricarsi e, addormentata, riceve in sogno la visita di Ruggiero che le rinnova la propria promessa d’amore. La donna si risveglia in lacrime, crede che sia vero solo ciò che la tormenta da sveglia; vorrebbe perciò dormire in eterno, fosse anche grazie alla morte.
Rimessasi in viaggio, incontra ancora la messaggera, di nome Ullania, insieme al suo seguito ed ai tre cavalieri sconfitti in duello la sera prima. Questi tre, per vendicarsi dell’umiliazione e della notte passata al freddo ed a stomaco vuoto, sfidano nuovamente Bradamante e finisco nuovamente a terra. Ullania, infierisce sui tre re dicendo loro che a sconfiggerli è stata una donna e che quindi potevano anche scordarsi di sfidare Orlando, Rinaldo o altri cavalieri di Francia. I tre, per purificarsi dall’umiliazione, si spogliano quindi delle armi ed abbandonano i propri cavalli, decidendo di rimanere così per un anno intero, per poi cercare di riconquistare armi e cavalli combattendo.

Bradamante riprende infine il proprio viaggio verso Parigi e, giunta alla città, ritrova Rinaldo e re Carlo, e viene a sapere da loro della sconfitta subita da re Agramante.

Torniamo a parlare della sfida tra re Gradasso e Rinaldo per il possesso della spada Durindana e di Baiardo. I due cavalieri, giunti presso la fonte, impugnano subito la spada e danno inizio ad un feroce combattimento. Il pagano sferra colpi pesanti ma Rinaldo è veloce a schivare la spada Durindana; il cristiano porta invece a segno molti colpi, ma non può nulla la sua spada contro la corazza diamantata ed incantata di re Gradasso.
Devono entrambi abbandonare il duello quando vedono che il cavallo Baiardo è stato assalito da un mostro alato (probabilmente frutto di un nuovo incantesimo di Malagigi per cercare di interrompere il duello, ma la verità non si saprà mai). Il cavallo riesce a mettersi in salvo in un bosco e quindi in una grotta.
I due guerrieri decidono di rimandare la loro sfida per riuscire a recuperare il destriero oggetto del loro contendere, con il patto che chi lo trova lo debba riportare alla fonte e rimettere quindi di nuovo in premio. Gradasso sale in groppa al proprio destriero e corre all’inseguimento di Baiardo.
Rinaldo prosegue invece a piedi e, non riuscendo a trovare la giusta via, torna poi presso la fonte ed infine, non vedendo tornare neanche il rivale, all’accampamento cristiano.

Re Gradasso riesce invece a ritrovare il cavallo Baiardo, non è però intenzionato a rispettare il patto fatto con lo sfidante cristiano, raggiunge pertanto re Agramante ad Arles e da qui si imbarca per raggiungere l’India.

Tornando ora a parlare delle avventure di Astolfo: il cavaliere, in sella all’ippogrifo, dopo aver esplorato in lungo ed in largo la Francia a la Spagna, ed essere poi passato in Africa, raggiunge infine l’Etiopia, sulla sponda cristiana del Nilo.
Astolfo fa visita al re d’Etiopia Senapo e lo trova tormentato dalle arpie. I mostri alati giungevano a saccheggiare il suo palazzo ogni volta che veniva allestito un banchetto.
Le arpie erano state mandate da Dio per punirlo per aver voluto, quando era giovane, muovere il proprio esercito verso la sorgente del Nilo, verso i monti della Luna, sede del paradiso terrestre, per assoggettare i suoi abitanti. Il re d’Etiopia venne in quell’occasione anche reso cieco da Dio.
Come termine per la punizione, venne predetta a Senapo la venuta dal cielo di un cavaliere in sella ad una cavallo alato, Astolfo viene quindi ora accolto come un salvatore.
Su indicazione del cavaliere cristiano, viene allestito un bacchetto per fare da esca alle sette arpie e, appena queste giungono, Astolfo tenta di ferirle con la spada senza però riuscire nel suo intento.
Viene fatto preparare un secondo banchetto, viene chiesto a tutti gli abitanti del castello di tapparsi le orecchie, Astolfo monta in sella all’ippogrifo e, questa volta, non appena vede arrivare i mostri dà subito fiato al suo corno incantato facendoli scappare terrorizzati.
Le arpie, inseguite dal cavaliere, che non smette di suonare il corno, raggiungono il monte della Luna e si infilano subito nella grotta che porta fino agli abissi dell’Inferno.

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