Parafrasi COMPLETA del Canto 2 (II) del poema Orlando Furioso – Prosegue la fuga della bella Angelica, che, dopo diverse vicessitudini, decide infine di proseguire il suo viaggio da sola per fare ritorno in patria.
Leggi il testo del canto 2 (II) del poema Orlando Furioso
1
Ingiustissimo amore, perché così raramente
vengono corrisposti i nostri desideri d’amore?
Poiché, malvagio, ti è spesso cosa tanto cara
volere che due cuori siano discordi dei sentimenti, l’uno ami e l’altro no?
Non mi lasci passare dove il guado è facile e l’acqua chiara,
ma mi spingi invece nel punto più profondo e scuro:
fai sì che io eviti colei che desidera il mio amore
mentre vuoi che adori ed ami colei che invece mi ha in odio.
2
Fai sì che Angelica appaia bella agli occhi di Rinaldo,
quando lui appare invece a lei butto ed indesiderato:
quando le lo amava e lo vedeva bello,
lui la odiava tanto quanto si può odiare.
Ora si addolora invano e si tormenta d’amore;
viene proprio ripagato con la stessa moneta:
Angelica lo odia, e l’odio che prova è tanto
da vorrebbe morire piuttosto che divenire sua.
3
Rinaldo, con molto orgoglio,
grida a Sacripante: “Scendi dal mio cavallo, ladro!
Non sono solito tollerare che mi venga sottratto il destriero,
ma, piuttosto, a chi ci vuole provare gli faccio pagare un caro prezzo:
ti voglio inoltre togliere anche questa donna;
poiché a lasciarla nelle tue mani si commetterebbe un grave errore.
Ad un cavallo tanto perfetto, ad una donna così meritevole
non credo convenga finire nelle mani di un ladro.”
4
“Tu dici una menzogna sostenendo che io sia un ladrone
(rispose Sacripante in modo non meno altezzoso):
chi dicesse ladro a te, lo direbbe
(a quanto io posso apprendere dalla tua fama) con maggiore veridicità.
Ora avremo la prova di chi, di noi due, sia
più meritevole della donna e del destriero;
benché, riguardo ad Angelica, con te mi trovo d’accordo
sul fatto che non esista altra cosa al monto tanto eccellente.”
5
Come sono soliti, a volte, due cani pronti ad azzannarsi,
mossi dall’invidia o da altra fonte di odio,
avvicinarsi, digrignando i denti,
con occhi torvi e rossi più della brace;
e quindi azzannarsi, accesi dalla rabbia,
con duro ringhio e con il pelo del dorso arruffato:
allo stesso modo, impugnate le spade, dopo le grida e le offese,
Sacripante e Rinaldo si gettarono l’uno sull’altro.
6
L’uno è a piedi, l’altro a cavallo: quale
vantaggio pensate possa avere il guerriero saraceno?
Non ne ha però in realtà nessuno; perché a cavallo
vale forse ancora meno di un paggio inesperto;
poiché Baiardo, per suo istinto naturale,
non voleva fare alcun torto al suo padrone Rinaldo:
né con le briglie e neanche con gli speroni, avrebbe potuto Sacripante
mai farlo, per sua volontà, muovere di un solo passo.
7
Quando crede di farlo avanzare, il destriero invece si blocca;
e se lo vuole trattenere, o galoppa o trotta:
infine si infila testa sotto il petto,
inarca la schiena ed inizia a scalciare a ripetizione.
Vedendo il saraceno che per domare questa
superba bestia non era il momento giusto,
pone le proprie mani sulla parte anteriore della sella
e salta in piedi alla sinistra dell’animale.
8
Non appena Sacripante si fu liberato, con un agile salto,
dall’ostinata furia di Baiardo,
ha inizio l’assalto, molto meritevole per le qualità in gioco,
molto energico, della coppia di cavalieri.
Risuonano entrambe le spade, ora con suoni gravi ed ora acuti:
in confronto, il martello del dio vulcano era più lento
nel cratere fumante dell’Etna, dove
batteva sull’incudine i fulmini di Giove.
9
Con affondi, finte e colpi di taglio, mostrano
di essere maestri del combattimento con la spada:
a volte li puoi vedere muoversi eretti, a volte rannicchiati,
ora in atteggiamento difensivo ed ora di attacco,
ora protendersi in avanti ed ora ritrarsi,
ribattere ai colpi dell’avversario ed ora andare a vuoto,
girandosi l’uno intorno all’altro; e se uno cede terreno,
l’altro subito avanza di un passo.
10
Ecco ora Rinaldo abbattersi addosso
a Sacripante con la propria spada;
l’altro si difende con lo scudo, di osso e
con la piastra in acciaio temprato e di buona fattura.
La spada di Rinaldo, Fusberta, lo taglia in due, nonostante le dimensioni:
la foresta rimbomba e risuona per il colpo.
L’osso e l’acciaio si spezzano come fossero di ghiaccio,
e lasciano intorpidito il braccio del saracino.
11
Non appena Angelica, impaurita, vide
quale danno aveva provocato il colpo vigoroso di Rinaldo,
per la grande paura cambiò il colorito del viso,
così come lo cambia un condannato prossimo al supplizio;
ritiene quindi di non potersi trattenere oltre, se
non vuole essere fatta prigioniera da Rinaldo;
quel Rinaldo che le tanto odiava,
quanto da lui era infelicemente amata.
12
Volta il cavallo e nel fitto bosco
lo spinge al galoppo, attraverso un sentiero stretto e difficile:
volta spesso indietro il proprio pallido viso,
credendo di avere Rinaldo alle proprie spalle, al proprio inseguimento.
Nella fuga, non aveva ancora fatto molta strada
che incontrò, in una valle, un eremita,
con la barba lunga fino a metà del petto,
di aspetto devoto e venerabile.
13
Smagrito a causa dell’età e del digiuno,
se ne andava seduto su di un lento asinello;
sembrava, più di qualunque altra persona,
di coscienza scrupolosa e non disposta verso azioni malvagie.
Non appena l’eremita vide la bellezza elegante
della donna che gli si avvicinava,
la sua coscienza, sebbene fosse debole e poco vigorosa,
subito, per concessione divina, gli si ridestò.
14
Angelica chiese al fraticello di indicarle la strada
che la conduca ad un porto sul mare,
poiché vorrebbe scappare dalla Francia
così da non dover più sentire pronunciare il nome di Rinaldo.
L’eremita, che conosceva le arti magiche,
non cessò di confortare la donzella,
promettendole di sottrarla subito ad ogni pericolo;
infilò quindi una mano in tasca.
15
Tirò fuori un libro e fece un incantesimo;
non finì neanche di leggere la prima pagina
che subito fece comparire uno spirito con le sembianze di valletto,
a cui ordina ciò che vuole venga fatto.
Lo spirito maligno va, obbligato dalla formula magica,
dove i due cavalieri si trovavano, faccia a faccia,
nel bosco, e non per riposarsi all’ombra;
con grande coraggio si pone quindi in mezzo, tra di loro.
16
Disse: “Uno di voi mi faccia cortesemente capire,
quando anche dovesse uccidere l’altro, quale beneficio ne trarrebbe:
quale ricompensa avrete dalle vostre fatiche,
quando sarà finita la battaglia,
se il conte Orlando, senza litigi o duelli,
e senza avere neppure rotto una maglia della corazza,
verso Parigi sta conducendo la donzella
che vi ha spinti in questa dura battaglia?
17
A massimo un miglio da qui, ho incontrato Orlando
che, con Angelica, si stava dirigendo a Parigi,
ridendo di voi tra di loro, e prendendovi in giro
perché senza state litigando senza avere niente in palio.
Sarebbe forse meglio per voi, adesso che
non sono ancora più lontani, seguire le loro tracce;
poiché se Orlando a Parigi potrà farla sua,
allora non ve la lascerà più vedere.”
18
Avreste dovuto vedere i due cavalieri agitarsi
a quell’annuncio, tristi ed increduli,
chiamando sé stessi stupidi e ciechi,
per il fatto che il loro rivale si era preso gioco di loro a quel modo;
ed il prode Rinaldo precipitarsi verso il suo cavallo,
con sbuffi d’ira che sembravano originati da fiamme,
e giurare, per furore e sdegno,
che se avesse raggiunto Orlando, gli avrebbe strappato il cuore dal petto.
19
Si dirige velocemente dove il suo Baiardo lo aspetta,
si lancia sul dorso del cavallo e galoppa via,
senza dire addio a Sacripante, che lascia nel bosco
appiedato, senza nemmeno invitarlo in groppa al destriero.
Il forte destriero investe e distrugge,
spronato dal suo padrone, tutto ciò che gli ostruisce il passaggio:
fossati o fiumi o pietre o spini non possono
far deviare il cavallo dalla propria traiettoria.
20
Cardinale Ippolito, non voglio che vi sembri cosa strana
se Rinaldo ora, così all’improvviso, sia riuscito a riprendersi il destriero,
che per molti giorni aveva rincorso invano,
senza poter mai riuscire a toccargli nemmeno la briglia.
Il destriero, che avevo intelligenza paragonabile a quella dell’uomo, si
fece inseguire per tante miglia non per un proprio capriccio,
ma per condurre nei luoghi dove Angelica passava
il suo signore, avendo sentito che lui la invocava con desiderio.
21
Quando Angelica fuggì dalla tenda di Nemo,
la vide e la tenne sotto controllo il fedele destriero,
che si trovava in quel momento senza alcuna persona in groppa,
poiché il proprio cavaliere ne era sceso
per poter combattere alla pari con un barone, privo di cavallo,
che con le armi non era sicuramente meno valoroso di Rinaldo;
successivamente Baiardo seguì le tracce della donna da lontano,
desideroso di consegnarla nelle mani del proprio padrone.
22
Desiderando condurre Rinaldo nel luogo ove lei si trovava,
attraverso la grande selva si mantenne, a giusta distanza, davanti a lui;
non voleva lasciarlo montare in sella,
così da non poter essere poi indirizzato su un altro sentiero.
Grazie a Baiardo, Rinaldo riuscì a ritrovare la donzella
più volte, senza però mai riuscire nel proprio intento;
venne la prima volta ostacolato da Ferraù,
poi da Sacripante come avete appena udito.
23
Ora al demone che mostrò a Rinaldo
false tracce del passaggio di angelica,
aveva creduto anche Baiardo, che obbedì, senza esitare
e mansueto, agli ordini ai quali era abituato.
Rinaldo lo spinge avanti, infiammato d’amore ed ira,
al galoppo dritto verso Parigi;
ed il desiderio di arrivare lo fa andare talmente veloce, che lento
gli sarebbe sembrato non qualunque altro destriero ma il vento stesso.
24
A malapena la notte riesce ad astenersi dall’inseguimento,
spinto dal desiderio di confrontarsi con Orlando:
tanto ha creduto alle parole prive di fondamento
del messaggero dell’astuto negromante.
Non interrompe la cavalcata la sera e la mattina seguente,
e vede infine comparire davanti ai propri occhi la città (Parigi)
dove re Carlo, sconfitto e mal ridotto,
con i propri soldati sopravvissuti si era ritirato:
25
e poiché da Agramante si aspetta un attacco
ed un assedio, si dedica con cura
a tirare insieme soldati valorosi e scorte di viveri,
a scavare fossati ed a riparare le mura.
Tutto ciò che spera possa essergli utile per la difesa
cerca di procurare senza alcuna esitazione:
pensa anche di mandare messaggeri a chiedere aiuto in Inghilterra, ed ottenere soldati armati per allestire un nuovo esercito:
26
vuole infatti scendere di nuovo in campo
e ritentare la sorte in guerra.
Manda subito in tutta fretta Rinaldo in Bretagna,
chiamata successivamente Inghilterra.
Il paladino si lamenta vivacemente per la partenza:
non per un odio nei confronti di quella terra;
ma perché re Carlo lo manda immediatamente,
senza lasciarlo alloggiare a Parigi neanche per un solo giorno.
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Rinaldo non fece mai meno
volentieri altra cosa; poiché fu distolto
dall’andare in giro a cercare il bel viso di angelica,
che gli aveva strappato il cuore dal petto:
ma ciò nonostante, ubbidendo a re Carlo,
subito si mise in marcia nella direzione richiesta,
ed in poche ore raggiunse il porto di Calais;
ed appena arrivato, lo stesso giorno di imbarcò.
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Contro la volontà di qualunque comandate,
tanto era grande il desiderio che aveva di tornare in Francia,
prese il largo con il mare turbolento ed agitato
che sembrava minacciare tempesta.
Il Vento non tollerò di vedersi disprezzato da quel
cavaliere altezzoso; con una violenta tempesta
sollevò grosse onde intorno alla nave, con una tale rabbia
le abbatte poi sulla nave tanto da bagnare la cima dell’albero maestro.
29
I marinai esperti calano subito
le vele più grandi e pensano già di invertire al rotta,
per ritornare allo stesso porto
dal quale, in un momento così poco opportuno, era salpati.
Dice il Vento “Non è opportuno che venga tollerata
tutta quella libertà che vi siete presi”;
e soffia, urla e minaccia di fare naufragare la nave
se tentano di andare d’altra parte rispetto a dove lui li vuole spingere.
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Il vento spietato spinge ora a poppa ed ora a prua,
senza mai cessare, ma, anzi, aumentando di intensità di ora in ora:
con le vele minori, da una parte e dall’altra
vanno tutt’intorno, puntando il largo.
Ma poiché varie file per varie tele, trame,
sono necessarie, e le voglio tutte tessere,
lascio ora Rinaldo sulla prua agitata della nave
per tornare a raccontare della sua Bradamante.
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Parlo di quella famosa donzella
che lasciò a terra, sconfitto, il re Sacripante,
degna sorella di Rinaldo,
figlia di Beatrice e del duca Amone.
La grande forza ed il molto coraggio di Bradamante,
non fu apprezzato da re Carlo e da tutta la Francia
(avendone avuto più di una prova certa),
meno di quanto fu lodato il valore in combattimento del prode Rinaldo.
32
La donna fu amata da un cavaliere, Ruggiero,
giunto dall’Africa con il re Agramante,
figlio del re Ruggiero II e
della disperata Galaciella, figlia di Agolante:
Bradamante, che non era selvaggia né
feroce, non disdegnò Ruggiero come amante;
benché la Fortuna non abbia concesso loro di
vedersi e parlarsi per più di una volta.
33
Andava quindi Bradamante alla ricerca dell’uomo
amato, che aveva lo stesso nome del proprio padre,
sicura, senza compagnia,
come se avesse avuto a sua protezione mille battaglioni:
e dopo che ebbe fatto a Sacripante
sbattere il volto a terra,
attraversò il bosco, e dopo il bosco un monte,
finché raggiunse un grazioso torrente.
34
Il ruscello scorreva in mezzo ad un prato,
adornato di alberi secolari e di bei luoghi in ombra,
e, con il gradevole mormorio, i viandanti
invita ad abbeverarsi ed a soffermarsi presso di sé:
un monticello ricco di vegetazione, sul lato sinistro,
lo difende dal calore del sole di mezzogiorno.
Lì, non appena Bradamante volse i propri begli occhi a guardare la fonte,
subito si accorse della presenza di un cavaliere;
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di un cavaliere che all’ombra di un boschetto,
dal contorno verde, giallo, rosso e giallo,
sedeva assorto dai propri pensieri, solitario e silenzioso,
sulla riva di quella chiara e limpida acqua cristallina.
Lo scudo e l’elmo del cavaliere pendono poco lontano
da un faggio, dove era stato legato il cavallo;
il cavaliere aveva gli occhi bagnati di lacrime, la testa bassa,
e si mostrava addolorato ed abbattuto.
36
Questo desiderio, che sta nel cuore di tutti,
di volere sempre informazioni riguardo ai fatti di interesse altrui,
il motivo del dolore di quel cavaliere
fece domandare alla donzella.
Lui svelò la ragione del proprio dolore,
spinto dal modo di parlare cortese di lei,
e dalle sue sembianze altezzose, che al primo sguardo
gli parvero di guerriero molto valoroso.
37
Incominciò quindi a raccontare: “Signora, conducevo
fanti e cavalieri ed ero diretto là
dove Carlo attendeva Marsilio
per opporre resistenza alla sua discesa dai colli di Montalbano;
avevo con me una bella ragazza,
per amore della quale ora ardo in petto:
nei pressi di Rodonna incontrai un cavaliere armato (mago Atlante)
il sella ad un grande destriero alato.
38
Non appena il ladro, persona mortale oppure
una delle orrende anime dell’inferno,
vide la mia bella e tanto cara donna;
come un falcone che, per afferrare la preda, scende dal cielo,
in un attimo scende a terra e risale in cielo, e nel movimento
allunga le mani e rapisce la mia amata, colta di sorpresa.
Non mi ero ancora neanche reso conto dell’assalto,
che subito sento le grida della donna provenire dal cielo.
39
Così come il rapace nibbio e solito sottrarre
il povero pulcino alla chioccia,
che poi si addolora per la propria disattenzione,
ed invano grida e crocchia dietro al nibbio.
Allo stesso modo io non posso inseguire un uomo capace di volare,
chiuso tra monti, ai piedi di una ripida roccia:
il mio destriero è stanco, a fatica mette una zampa davanti all’altra
lungo gli aspri sentieri delle faticose rocce.
40
Ma, non essendomi mai preoccupato di
vedermi strappato il cuore dal petto,
lasciai che il mio esercito seguisse la propria via,
senza la mia guida e senza alcun comandante:
per i pendii scoscesi e per quelli più accessibili
presi la via indicatami dall’amore,
dove mi sembrava che quel rapace
avesse portato la mia fonte di conforto e di pace.
41
Per sei giorno, di mattina e di sera, procedetti
per terreni scoscesi e per pendici aspre e selvagge,
dove non c’era una via né un sentiero,
nemmeno segni di tracce umane;
giunsi infine in una valle incolta e inospitale,
circondata da dirupi e caverne spaventose,
nel mezzo della quale, sopra una roccia, si trovava un castello
fortificato e ben posto, in posizione dominante, bello oltre ogni limite.
42
Visto da lontano, sembra risplendere come una fiamma,
costruito non con la terra cotta né con marmi.
Come più mi avvicino ai muri splendenti,
tanto più l’opera mi sembra bella ed incantevole.
Venne poi a sapere, che spiriti demoniaci instancabili,
evocati da vapori e formule magiche,
aveva completamente ricoperto il bel castello con acciaio
temprato nelle acque infuocate del fiume infernale Stige.
43
Il tanto lucidato acciaio fa risplendere ogni torre,
e né ruggine né macchie hanno il potere di intaccarlo.
Di giorno e di notte fa scorrerie per tutto il paese,
e poi il ladrone, Atlante, si rintana di nuovo là dentro.
Ogni cosa che ha intenzione di avere per sé non ha difesa alcuna:
gli si può solo urlare e bestemmiare dietro.
In quel luogo la donna, anzi il mio cuore, tiene nascosto,
ed ormai abbandono ogni speranza di poterla ritrovare.
44
Ahimè! Che altro posso fare più che guardare
da lontano la roccaforte, dove il mio tesoro è stato rinchiuso?
Come la volpe che il proprio cucciolo
senta gridare dal basso nel nido dell’aquila,
si aggira tutt’intorno senza sapere che cosa poter fare,
poiché non ha ali per poter salire lassù.
Tanto ripida è quella roccia ed in tale modo è costruito quel castello,
che solamente gli uccelli vi possono arrivare.
45
Mentre io mi trattenevo in quel luogo, ecco arrivare
due cavalieri guidati da un nano,
che diedero speranza al mio desiderio di ritrovare la donna amata;
ma alla fine sia la speranza che il desiderio risultarono vani.
Erano entrambi guerrieri di grande coraggio:
l’uno era Gradasso, re di Sericana;
l’altro era Ruggero, giovane forte,
cavaliere africano assai pregiato.
46
Il nano mi disse: “I due guerrieri sono giunti per dare prova
del loro valore contro il signore di quel castello,
il quale per sentieri nuovi, mai tentati ed inusuali, per il cielo,
cavalca armato l’ippogrifo, il cavallo alato.”
Dissi io a loro: “Signore, vi muova a pietà
la mia sorte spietata e crudele.
Doveste, come spero, vincere,
vi prego di rendermi la mia donna amata.”
47
Gli raccontati quindi come mi fu tolta,
confermando con lacrime il mio dolore.
I guerrieri ed il nano, per loro misericordia, mi fecero molte promesse,
e discesero quindi dal colle ripido e selvaggio.
Io guardai da lontano la battaglia,
pregando Dio per la loro vittoria.
sotto il castello si trovava una zona pianeggiante tanto grande
quanto può essere coperta con due lanci di un sasso.
48
Dopo che furono giunti ai piedi dell’alta roccia, sede del castello,
entrambi i cavalieri volevano combattere l’uno prima dell’altro;
tocca quindi a Gradasso, forse per sorte in un sorteggio,
oppure perché Ruggiero non stima più importante poter essere il primo.
Il re di Sericana suona il proprio corno:
la roccia ed il castello stesso rimbombano dalla base alla cima.
Ecco quindi apparire il cavaliere armato
fuori dal portone del castello sul suo cavallo alato.
49
Cominciò quindi a poco a poco a levarsi in cielo,
così come è solita fare la gru migratrice,
che vediamo prima correre e poi alzarsi
da terra di uno o due braccia;
ed infine quando le ali sono completamente spiegate,
le vediamo muoversi velocissime.
Il cavallo alato del negromante batte le proprie ali ad una altezza
tale da essere a malapena raggiungibile da una aquila.
50
Quando gli parve quindi il momento opportuno, indirizzo il destriero,
che chiuse le ali e scese in picchiata verso terra,
così come discende dal cielo il falcone addestrato,
vendendo levarsi in volo un’anitra od un colombo.
Con la lancia in posizione d’attacco, il cavaliere,
fendendo l’aria, giunge a terra con un orribile rombo.
Re Gradasso si è appena reso conto della picchiata,
che già si sente addosso il nemico che lo colpisce.
51
Il mago ruppe la propria lancia contro Gradasso,
questo non riuscì invece a colpire altro che vento ed aria:
per questo motivo, non ostacolato, il cavaliere volante non interruppe
il volo e poté allontanarsi da lì nuovamente.
Il duro scontro fece cadere a terra,
sul verde prato, il valoroso cavallo arabo.
Gradasso possedeva un cavallo arabo, il più bello
e il migliore che fossa mai stato sellato e cavalcato.
52
Il cavaliere volante salì in cielo oltre le stesse;
quindi si girò indietro e ritornò a tutta velocità in basso
e colpì Ruggiero, senza che questi facesse in tempo ad accorgersene,
Ruggiero che, distratto, era intento a soccorrere Gradasso.
Ruggiero si contorse per il duro colpo,
ed il suo destriero indietreggiò per più di un passo;
e quando si voltò indietro per colpire il mago,
ormai lontano da sé lo vide salire in cielo.
53
Ora di Gradasso, ora di Ruggiero, il mago percuote
la testa, il petto e la schiena,
lasciando invece andare a vuoto i loro colpi di risposta,
poiché è tanto veloce che a malapena può essere intravisto.
Volteggia in cielo descrivendo ampie curve,
e quando sembra voler attaccare uno, in realtà colpisce l’altro:
gli occhi dell’uno e dell’altro tanto abbaglia
che i due guerrieri non possono vedere da dove verrà l’attacco.
54
Tra i due guerrieri a terra ed i cavaliere in cielo
la battaglia durò sino a quell’ora
che avvolge tutto il mondo in un velo nero,
e tutte le belle cose, così, scolorisce.
Accadde proprio quello che vi sto raccontando, non sto aggiungendo altro:
io lo vidi e lo so: non avrò più il coraggio
di dirlo ad altre persone; poiché tale fatto meraviglioso
sembra più falso che vero.
55
Con un bel drappo di seta aveva ricoperto,
il cavaliere volante, lo scudo che aveva al braccio.
Non so come avesse tanto sopportato
di tenerlo in quel modo nascosto;
non appena lo mostra libero, senza veli,
è inevitabile che chi lo guardi rimanga accecato,
e cada a terra a peso morto,
cadendo prigioniero del negromante.
56
Lo scudo splende come fosse un rubino,
e nessuna altra luce è tanto abbagliante.
Alla vista di quel bagliore non si poté fare altro che cadere a terra,
svenuti e con la vista offuscata.
Anch’io, sebbene mi trovassi lontano, persi i sensi, e dopo
che fu passato parecchio tempo potei finalmente riprendermi;
non vidi più né i due guerrieri né il nano,
ma potei vedere solo il campo di battaglia ed il monte e il piano al buio.
57
Pensai quindi che l’incantatore
avesse ad un certo punto rapito entrambi in un colpo solo,
e sottratto, grazie al bagliore generato dallo scudo,
a loro la libertà ed a me la speranza.
Così a quel castello che rinchiudeva la mia donna amata,
dissi, ripartendo, le parole di estremo saluto.
Sentito il mio racconto, giudicate ora se un’altra pena crudele,
causata dall’amore, possa reggere il confronto con la mia.”
58
Il cavaliere tornò quindi a dolersi come prima,
terminato il racconto della causa di quel dolore.
Costui era il conte Pinabello, figlio
di Anselmo di Altaripa, nipote di Gano di Maganza;
che tra la sua gente malvagia, unica
persona leale e cortese non volle rimanere,
ma anzi nei vizi più brutti ed abominevoli,
non solo eguagliò gli altri ma li superò anche.
59
Bradamante, esprimendo i propri sentimenti con vari espressioni del volto,
ascoltò quieta il discendente di Maganza;
non appena fu pronunciato il nome di Ruggiero,
mostrò attraverso l’espressione del viso di essere molto felice:
ma quando apprese che era stato poi fatto prigioniero,
si turbò di passione amorosa;
non si accontentò che per una o due volte le venisse raccontata la storia,
gliela fece ripetere ancora oltre.
60
E dopo che, alla fine, la situazione le sembrò sufficientemente chiara,
disse a Pinabello: “Cavaliere, concediti il riposo,
poiché il mio arrivo può ben essere a te gradito,
e questo giorno essere ritenuto fortunato.
Raggiungiamo quindi subito quella avara dimora,
che un così ricco tesoro ci tiene nascosto;
non sarà spesa invano questa fatica,
se la fortuna non mi sarà troppo nemica.”
61
Rispose il cavaliere: “Tu vuoi che io attraversi
nuovamente i monti e che ti mostri la via per il castello?
A me non interessa molto dover rifare inutilmente il cammino,
avendo perso ogni altro avere;
ma tu per sentieri a precipizio e pareti rocciose instabili
vai incontro alla prigione; sia come vuoi.
Non devi però poi lamentarti con me, dopo
che io ti ho avvertito e nonostante tutto vuoi andare in quel luogo.”
62
Così detto, Pinabello monta nuovamente in sella al suo destriero
e diviene quindi guida di quella donna coraggiosa,
che si mette in pericolo per ritrovare Ruggiero,
pericolo che quel mago la faccia prigioniera o che la uccida.
In quel momento, ecco giungere alle loro spalle un messaggero
che tutta la sua voce grida: “Aspetta, aspetta!”,
il messaggero dal quale Sacripante aveva saputo
essere stata lei a mandarlo lungo disteso.
63
A Bradamante il messaggero porta notizie
di Montpellier e Narbonne,
passate nelle mani degli spagnoli, avevano alzato le bandiere di Castiglia,
insieme a tutto il litorale di Aigues-Mortes, della Provenza;
e che Marsiglia, non essendoci Bradamante
a sua difesa, in modo non buono si infonde coraggio,
e consiglio e soccorso le domanda quindi
attraverso quel messaggero, ed a lei si affida.
64
Queste città e, per molte miglia, ciò che tutt’intorno
alla costa risiede tra il fiume Varo ed il fiume Rodano,
l’imperatore aveva dato a Bradamante, figlia del
duca Amone, nella quale riponeva la propria speranza e fiducia;
dato che il valore di lei, con meraviglia,
è solito rimirare, quando la vede maneggiare le armi.
Ora, come ho detto, per chiedere aiuto
quel messo era giunto da Marsiglia.
65
La giovane donna, incerta tra il sì ed il no,
ha qualche dubbio sul fatto di voler ritornare:
da una parte le pesa il proprio onore e dovere,
dall’altra la incalza la passione amorosa.
Decide infine di proseguire l’impresa appena iniziata
e di liberare quindi Ruggiero dal castello incantato;
ed se anche il proprio valore non dovesse riuscire in tale impresa,
spera almeno di poter rimanere accanto a lui nella prigionia.
66
Si scusò in un modo tanto convincente, che quel messaggero
sembrò rimanere comunque contento e tranquillo.
Quindi intraprese il proprio viaggio
con Pinabello, che non ne sembrò tanto contento;
seppe infatti che lei discendeva da quella stirpe, di Chiaromonte,
che tanto odiava sia privatamente che pubblicamente:
e già immagina la futura angoscia,
se lei fosse venuta a conoscenza della sua discendenza da Maganza.
67
Tra i casati di Maganza e Chiaromonte
c’era un antico odio ed una intensa inimicizia;
più volte si erano scontrati duramente,
spargendo sangue in grande quantità:
nel suo cuore, l’ingiusto conte
progetta o di tradire l’imprudente giovane;
oppure, non appena gli fosse capitata una buona opportunità,
di lasciarla sola, intraprendendo altra strada.
68
E la sua mente fu assorto nelle fantasie scaturite
dal nativo odio, dall’incertezza e dalla paura,
che senza accorgere smarrì la strada:
e si ritrovò in una selva oscura,
al centro della quale si ergeva un monta che culminava
con una vetta spoglia di dura pietra;
Bradamante, figlia del duca di Dordona,
lo segue sempre, mai lo abbandona.
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Come Pinabello vide di essere giunto in un bosco,
pensò subito di liberarsi della donna.
Disse: “Prima che il cielo torni nuovamente a farsi minaccioso,
è meglio avvicinarsi e ripararsi sotto ad un albero.
Oltre quel monte, se l’ho effettivamente riconosciuto,
si trova, giù nella valle, un ricco castello.
Tu aspettami qui; che dalla cima nuda del monte
voglio poterne avere con i miei occhi la certezza.”
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Dopo essersi così pronunciato, verso la cima maggiore
del monte solitario spinse a tutta velocità il proprio destriero,
cercando continuamente con lo sguardo di scorgere una via,
attraverso la quale poter farle perdere le proprie tracce.
Ed ecco che nella roccia trova una caverna
profonda più di trenta braccia.
Scavata con picconi e scalpelli, la roccia
scende a strapiombo, ed ha nella sua parte basse un ingresso.
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Nella parte bassa della roccia si trovava un uscio ampio e capiente,
largo ingresso di una stanza di maggiori dimensioni;
fuori dalla caverna usciva una luce intensa, come se una fiaccola
ardesse nel cuore della caverna montana.
Mentre in quel luogo il traditore taceva preso dall’ansia di averla depistata,
la donna, che da lontano lo inseguiva
(temendo di poterne perdere le tracce),
all’ingresso della caverna lo raggiunse.
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Poiché il traditore vide così fallire
ciò che poco prima aveva progettato,
di toglierla di mezzo oppure di farla morire,
architetta ora un espediente nuovo e poco credibile.
Le va incontro e la fa quindi salire là
dove il monte era forato e vuoto;
dicendole che aveva visto in fondo alla caverna
una ragazza con un bel viso gioioso.
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Ragazza con bei lineamenti e ricche vesti,
che potevano fare intendere fosse di nobile condizione;
ma, triste e turbata tanto quanto poteva esserlo,
lasciava capire di essere rinchiusa nella caverna contro la propria volontà:
le disse che conosceva la condizione di quella povera sventurata,
avendo cominciato ad inoltrarsi all’interno della caverna;
ma dalla parte più interna della stessa era uscito
una tale che l’aveva poi ricondotta all’interno a forza.
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Bradamante, che tanto era coraggiosa,
tanto era poco prudente, diede fede alle parole di Pinabello;
e, desiderosa, per poter aiutar la donna,
pensa a come poter mettere piede nella caverna.
Ecco che volgendo gli occhi alla cima frondosa
di un olmo, vede un lungo ramo;
con un colpo di spada subito lo taglia
e lo cala all’interno della caverna.
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Dalla parte tranciata, affida il ramo nelle mani
di Pinabello, per poi attaccarsi:
prima putta i piedi nella caverna,
per poi sospendersi completamente nel vuoto con in alto le braccia.
Pinabello sorride e le chiede
se è brava a saltare; apre quindi le proprie mani e le distende in avanti,
dicendole: “Potesse essere qui insieme a te
tutta la tua gente, così che io possa così sterminare i Chiaromonte!”
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Non come volle Pinabello, decise
la sorte della giovane ed innocente Bradamante;
perché, precipitando, si ferì
per primo contro il fondo della caverna il forte e robusto ramo.
Si spezzò anche, ma la sostenne a sufficienza,
salvandola da morte certa con il proprio aiuto.
Per molto tempo la donzella giacque a terra priva di sensi,
come io riprenderò a raccontarvi nel prossimo canto.