Parafrasi COMPLETA del Canto 12 (XII) del poema Orlando Furioso – Alla ricerca dell’amata Angelica, Orlando finisce vittima del nuovo incantesimo del mago Atlante: un castello nel quale tenere prigioniero Ruggiero insieme ad altri cavalieri, condotti in trappola da false visioni dell’oggetto dei loro desideri. Angelica libera non solo il paladino ma anche Ferraù e Sacripante; tra i tre inizia un duro scontro ed Angelica riprende la sua fuga.
Leggi il testo del canto 12 (XII) del poema Orlando Furioso
1
Cerere, dopo che tornando da Cibele, venerata sul monte Idea,
in fretta alla solitaria valle,
là dove, sotto la montagna Etna, è sepolto
il gigante Encelado morto fulminato da Giove,
non trovò la figlia Proserpina dove l’aveva
lasciata, lontana da ogni strada battuta, (fatto che
le arrecò alle guance, al petto, ai capelli
ed agli occhi un danno) alla fine sradicò due pini
2
e li accese con il fuoco di Vulcano, nel braciere dell’Etna,
diede loro la virtù di non poter essere mai spenti,
e portandone uno per mano,
su un carro trainato da due draghi,
esplorò i boschi ed i campi, il monte e le pianura,
le valli, i fiumi, gli stagni ed i torrenti,
la terra ed il mare. E dopo che il tutto il mondo
aveva esplorato in superficie, andò a cercare anche nel profondo inferno.
3
Se Orlando avesse avuto un potere simile a quello di
Cerere così come aveva lo stesso desiderio di ritrovare la persona amata,
allora non avrebbe, nel tentativo di cercare Angelica,
tralasciato il bosco o il campo, lo stagno od il fiume,
la valle o il monte, la pianura o la terra o il mare,
il cielo ed anche il profondo luogo dell’eterno oblio, l’inferno.
Ma poiché non possedeva il carro trainato da draghi,
vagava nella ricerca di Angelica come meglio poteva.
4
L’aveva cercata per tutta la Francia ed ora si appresta
a cercarla per l’Italia e la Germania,
per tutta la Spagna
per poi attraversare lo stretto di Gibilterra ed andare in Africa.
Mentre pensa alle nuove mete, sente all’orecchio
giungere una voce che sembra piangere:
si sporge e sopra un grande destriero
al galoppo vede d’innanzi a sé un cavaliere
5
che porta in braccio e sull’arcione anteriore
un tristissima donzella, obbligandola con la forza, senza il suo consenso.
La donna piange, si dibatte e sembra
soffrire. In suo soccorso chiama
il valoroso Orlando, il quale,
non appena guarda la bella ragazza,
crede di vedere colei, Angelica, che, per tutto il giorno e la notte,
aveva cercato in ogni luogo della Francia.
6
Non dico che fosse veramente lei, ma sembrava
effettivamente la gentile Angelica che Orlando tanto ama.
Egli, che la donna che adora
vede, triste e addolorata, essere portava via,
spinto dall’ira e dalla furia ardente,
con voce spaventosa chiama il cavaliere;
lo chiama e lo minaccia,
ed infine lancia all’inseguimento Brigliadoro a tutta velocità.
7
Non arresta la propria corsa il cavaliere, né risponde ad Orlando.
concentrato sulla sua prigioniera, al valore di lei,
si muove così velocemente tra i rami
che anche il vento sarebbe in ritardo nel suo inseguimento.
L’uno fugge e l’altro lo insegue; ed i fitti
boschi risuonano dell’acuto lamento della donna.
Al galoppo uscirono dal bosco e si trovarono in un vasto prato, dove,
nel mezzo, si ergeva un maestoso e ricco castello (del mago Atlante).
8
Con vari marmi, con un minuzioso lavoro,
era stato costruito il maestoso palazzo.
All’interno della porta costruita in oro corse
il cavaliere con in braccio la donzella.
Non molto dopo giunse anche Brigliadoro
con in sella il fiero e sprezzante Orlando.
Appena è dentro al palazzo, Orlando si guarda intorno
ma non vede più né il guerriero né la donzella.
9
Subito smonta da cavallo e come un fulmine entra
nelle stanze più interne del Castello:
corre di qua e di là senza lasciare
inesplorata né una camera né una loggia.
Dopo che i segreti di ogni stanza del primo piano
ha invano esplorato, sale le scale
e non perde meno tempo a cercare anche di sopra
di quanto ne aveva perso di sotto invano.
10
Vede letti ornati di oro e seta.
Non è possibile vedere né i muri esterni né le pareti interne
perché, come il suolo dove mette piede,
sono completamente nascoste da tende e tappeti.
Al primo ed al secondo piano il conte Orlando torna e ritorna
senza riuscire ad allietare gli occhi
con la vista di Angelica, od al limite del ladro
che ne aveva rapito il bel viso.
11
E mentre di qua e di là invano si muoveva,
pieno di affanno e di pensieri,
Ferraù, Bradimarte ed il re Gradasso,
re Sacripante ed altri cavalieri
incontrò, che vagavano al primo e secondo piano
e non meno di lui si muovevano a vuoto;
e si lamentavano del malvagio
invisibile signore di quel palazzo.
12
Tutti girano per il palazzo alla sua ricerca, tutti lo
accusano di aver rubato loro qualcosa:
uno è all’affannata ricerca del destriero che il signore gli ha sottratto;
un’altro si arrabbia per aver perduto la propria donna;
altri lo accusa per altri misfatti: e stanno così
senza sapere come poter abbandonare quella gabbia;
e ci sono molti, catturati con l’inganno,
in trappola da intere settimane e mesi.
13
Orlando, dopo che più volte
ebbe esplorato per intero lo strano castello,
disse fra sé: “Qui potrei trovare dimora,
buttare tempo e fatica senza alcun risultato;
il ladro potrebbe aver portato via la donna
attraverso un’altra uscita, ed essere ora molto lontano.”
Con questo pensiero uscì nel verde prato
che circondava tutto il palazzo.
14
Mentre gira intorno alla casa situata all’interno del bosco,
tenendo sempre rivolto a terra lo sguardo
per vedere se compare una traccia, ora a destra
ora a sinistra, di un passaggio recente (del destriero del cavaliere),
si sente chiamare da una finestra.
Alza gli occhi e la voce divina di Angelica
gli sembra di udire, e sembra anche vedere il viso
che l’aveva così tanto allontanato dalla persona che era stato.
15
Gli sembra di udire Angelica che supplicando
e piangendo gli dice: “Aiuto, aiuto!
Ti chiedo di risparmiare la mia verginità
più che la mia anima e la mia vita.
Alla fine, in presenza del mio amato Orlando,
mi sarà sottratta (la verginità) da questo ladro?
Dammi la morte con la tua mano piuttosto
che essere abbandonata ad un così infelice destino.”
16
Queste parole fanno ancora un’altra volta
tornare Orlando a girare in ogni stanza,
con angoscia e con molta fatica,
ma con altrettanta grande speranza.
A volte si ferma e sta ad ascoltare una voce,
che sembra essere quella di Angelica
(se lui è da una parte del castello, la voce suona in tutt’altro luogo)
che chiede aiuto, ma non sa capire e trovare da dove provenga.
17
Ma tornando a raccontare di Ruggiero, che ho abbandonato quando
dissi che, attraverso un sentiero ombroso e buio,
seguendo il gigante e la donna,
era finalmente giunto, uscito dal bosco, in un grande prato;
potrei dire che arrivò nel luogo dove Orlando
era arrivato poco prima, se ho riconosciuto il luogo.
Il gigante passa attraverso la grande porta;
Ruggiero gli è subito dietro e non smette di seguirlo (entra anche lui).
18
Appena mette il piede dentro alla porta,
dà un’occhiata alla grande corte ed alle stanze
ma non vede più né il gigante né la donna.
Invano gira gli occhi tutt’intorno.
Più volte va su e giù e ci ritorna
ma mai trova quel che va cercando (mai gli accade quel che desidera)
e non riesce ad immaginare dove, così velocemente,
il fellone si sia nascosto con al donna.
19
Dopo che ha controllato più e più volte
le camere, le logge e le sale del primo e del secondo piano,
torna comunque di nuovo a controllare, e non rinuncia
a cercare fin sotto le scale.
Infine, con la speranza che siano tornati nel vicino
bosco, esce dal castello. Ma una voce, simile
a quella che richiamò Orlando, richiamò anche lui non di meno
e lo fece tornare nel palazzo.
20
La medesima voce, una persona
che era sembrata Angelica ad Orlando,
sembrò ora a Ruggiero essere Bradamante,
della quale era lui innamorato (che lo faceva sentire fuori di sé).
Se discutesse con re Gradasso, o con altra persona
di quelle che andavano vagando per il palazzo,
a ciascuno sarebbe sembrata essere
ciò che più ciascuno ambisce e desidera avere per sé.
21
Questo era un incantesimo nuovo e poco usato,
che aveva creato il mago Atlante di Carena
affinché Ruggiero fosse stato tenuto occupato tanto
in quell’affanno, in quella dolce punizione,
finché fosse vanificato l’influsso maligno degli astri
che l’aveva condannato a morire giovane.
Dopo il castello d’acciaio, che a nulla è servito,
e dopo Alcina, Atlante tenta un nuovo incantesimo.
22
Non solo costui, ma anche tutti gli altri
che per valore hanno per tutta la Francia una grande fama,
affinché per loro mano Ruggiero non muoia,
Atlante aspira a condurre in questo castello incantato.
E mentre loro alloggiano in quel luogo,
affinché non possano patire la fame,
aveva così bene fornito il palazzo di tutto ciò che era necessario
che sia le donne che i cavalieri vi dimorano completamente a loro agio.
23
Ma torniamo da Angelica, che con sé
avendo portato quell’anello molto speciale,
che la rende invisibile quanto viene tenuto in bocca,
ed al dito la protegge da ogni incantesimo;
ed avendo trovato, nella conca della montagna,
cibo, una cavalla, vestiti e quanto altro
aveva bisogno, aveva ora deciso
di ritornare in India al suo bel regno.
24
Volentieri Orlando o Sacripante
avrebbe voluto al suo fianco: lei non
aveva voluto più bene a l’uno o all’altro dei due suoi amanti,
allo stesso modo, anzi, si era opposto ai loro desideri.
Ma dovendo, per tornare in Oriente,
attraversare tante città, tanti castelli,
aveva bisogno di compagnia e di una giuda,
e solo con Orlando e Sacripante poteva avere la più fidata compagnia.
25
Continuò a cercare ora l’uno ed ora l’altro
prima di riuscire a trovare un indizio o una loro traccia,
a volte in città, a volte in ville, altre volte
in alti boschi ed a volte ancora in tutt’altri luoghi.
La fortuna infine la inviò là dove il conte Orlando,
Ferraù e Sacripante si trovavano
insieme a Ruggiero, re Gradasso e molti altri ancora
che il mago Atlante aveva imprigionato in uno strano incantesimo.
26
Entra nel castello, invisibile agli occhi del mago,
e gira dappertutto, nascosta dall’anello.
Incontra Orlando e Sacripante che vagano
nel tentativo invano di trovarla in quel palazzo.
Vede come, simulando con l’incantesimo la sua immagine,
Atlante inganni l’uno e l’altro.
Chi di loro due debba prendere come guida (per tornare in Oriente)
valuta molto nei suoi pensieri senza riuscire a decidersi.
27
Non riesce a valutare chi dei sua sia il meglio per lei,
Il conte Orlando o Sacripante.
Orlando la potrà con più valore
proteggere nei punti più pericolosi del cammino:
ma se lo farà sua guida, lo farà anche suo signore;
non riesce quindi a vedere come potrà poi togliergli la signoria,
non appena, non più utile, vorrà poi
sminuirne l’importanza o rimandarlo in Francia (liberarsi di lui).
28
Al contrario, quando più le piaccia, valuta
di potersi liberare facilmente da Sacripante, agendo nel giusto modo.
Questa sola ragione fa sì che lei decida di scegliere Sacripante
come sua scorta e di mostrare a lui la sua fiducia ed il suo affetto.
Angelica si toglie l’anello dalla bocca, e dalla sua faccia
levò quindi quel velo che la rendeva invisibile a Sacripante.
Pensò di potersi mostrare a lui solo, accadde invece
che sia Orlando che Ferrù sopraggiunsero in quel momento.
29
Giunsero Ferraù ed Orlando,
che allo steso modo avevano girato,
sopra e sotto, fuori e dentro, alla ricerca
all’intero del palazzo di lei, che era la donna da loro amata ed adorata.
Corsero tutti insieme verso Angelica, dal momento che
nessun incantesimo poteva ora impedirglielo,
perché l’anello che la donna si mise alla mano,
rese vano ogni tentativo di incantesimo da parte di Atlante.
30
Avevano addosso la corazza e in testa avevano l’elmo,
due (Sacripante ed Orlando) di questi guerrieri le cui gesta io vi canto;
non di notte e neanche di giorno, dopo che furono entrati in questo
palazzo, se li erano mai levati di dosso.
Facili da portare, come fossero un vestito,
erano per loro, tanto erano abituati a portarli.
Ferraù, il terzo guerriero, era anche lui armato, ma
non aveva, e non voleva avere, nessun elmo
31
fino a ché non fosse entrato in possesso di quello che il paladino
Orlando tolse ad Almonte, fratello del re troiano.
Perché ciò aveva giurato allora, quando l’elmo, di buona fattura,
di Argalia, aveva cercato senza successo nel fiume.
Sebbene avesse a portata di mano Orlando,
Ferraù non lo assalì.
Incrociare fra loro le armi
non fu possibile fintanto che furono nel castello.
32
Era così incantato quel palazzo,
che non poterono riconoscersi l’un l’altro.
Né di notte né di giorno, né la spada né la corazza
e nemmeno solo lo scudo dal braccio si toglievano.
I loro cavalli, con la sella sul dorso,
con il morso a penzoloni dall’arcione, si rilassavano
in una stanza, che in prossimità dell’uscita del castello,
era sempre fornita di orzo e di paglia.
33
Il mago non sa e non può nemmeno evitare
che i tre guerrieri rimontino in sella dei loro destrieri
per correre dietro alle rosee guancie,
alla chioma dorata ed ai bei occhi neri
di Angelica, che spinge alla fuga
la sua cavalla, poiché non
gradisce vedere insieme i tre amanti,
che forse avrebbe preso come guida se fossero arrivati separatamente.
34
E dopo che li ebbe allontanati dal palazzo
a sufficienza, da poter non più temere
che contro loro l’incantatore malvagio
potesse usare le proprie ingannevoli arti magiche;
l’anello, che più di una brutta situazione le aveva evitato,
chiuse tra le sue rosse labbra,
di conseguenza scomparve alla loro vista,
e li lasciò istupiditi ed increduli.
35
Sebbene fosse stata la sua prima intenzione
quella di voler in propria compagnia Orlando o Sacripante,
perché l’aiutassero a ritornare nel regno
di suo padre (Galafron) nell’estremo oriente;
sdegnò a questo punto entrambi
cambiando all’improvviso la propria volontà,
e senza più doversi legare all’uno od all’altro,
ritenne che bastasse l’anello a sostituire entrambi.
36
Rivolgono attraverso il bosco, ora da una parte ed ora dall’altra,
derisi da Angelica, la loro stupida faccia;
come a volte il cane se gli viene sottratta
o una lepre o una volpe, a cui dava la caccia,
perché all’improvviso in qualche stretta tana,
in un fitto cespuglio od in un fosso la preda si è cacciata.
Ride di loro senza pietà Angelica,
non vista, ed osserva i loro progressi.
37
In mezzo al bosco vedono esserci una sola strada:
i cavalieri credono quindi che la donzella
stia procedendo, davanti a loro, attraverso quella via;
poiché, essendo unica, non può altrimenti procedere.
Orlando corre all’inseguimento, Ferraù non indugia oltre,
nemmeno Sacripante sprona e punge il proprio destriero di meno.
Angelica non trattiene più la briglia del proprio cavallo
e procede quindi dietro a loro con minore fretta.
38
Appena furono giunti, correndo a tutta velocità, dove i diversi sentieri
si andavano a perdere all’interno della foresta,
ed avendo i cavalieri cominciato a guardare nell’erba intorno,
se vi trovavano punti calpestati, tracce di lei;
Ferraù, che poteva, tra tutte le persone
che mai fossero state altezzose, essere incoronato re degli altezzosi,
si volse verso gli altri due con viso cattivo,
e gridò loro: “Da dove venite voi?
39
Tornate indietro o prendete un’altra via,
se non volete giacere qui morti:
né nell’amare né nell’inseguire la mia donna
possa credere qualcuno che io sopporti essere in compagnia di altri.”
Disse Orlando a Sacripante: “Cosa potrebbe
mai dire di più costui, se entrambi ci avesse scambiato
per le puttane più codarde e timorose
che mai facessero “lavori di filatura”?”
40
Poi rivolto a Ferraù disse: “Bestia di un uomo,
se io non avessi visto che sei privo del tuo elmo,
di ciò che hai detto, se l’hai detto a buona o cattiva ragione,
senza esitare oltre, ti farei rendere conto.”
Disse lo Spagnolo, Ferraù: “Delle cose che a me non importano,
perché ti devi invece tu interessare?
Io, contro voi due, sono capace da solo
di mettere in pratica ciò che ho detto, anche ora, senza l’elmo indosso.”
41
Disse Orlando a Sacripante: “Deh,
fammi il favore di prestare a costui il tuo elmo,
così che possa curarlo dalla pazzia;
mai ho avuto occasione di vederne una paragonabile ad essa.”
Il re, Sacripante, rispose: “Chi sarebbe poi più pazzo, io o lui?
Se la domanda che mi hai appena fatto ti sembra ragionevole,
prestagli allora il tuo di elmo; perché non sarò meno bravo,
di quanto forse possa esserlo tu, a punire un folle.”
42
Aggiunge Ferraù: “Parlate da sciocchi, come se,
se mi fosse cosa gradita portar un elmo,
non ne sareste già voi rimasti senza, non lo avrei già sottratto a voi;
perché vi avrei tolto i vostri, contro la vostra volontà.
Ma per raccontarvi piccola parte dei fatti miei,
me ne vado così in giro, senza elmo, per un giuramento fatto,
ed andrò in giro così fino a che non potrò avere l’elmo, di ottima fattura,
che porta sul capo il paladino Orlando.
43
Rispose sorridendo il conte Orlando: “Dunque
ritieni di poter, anche a capo nudo,
fare ad Orlando quello che in Aspromonte
lui stesso aveva già fatto ad Almonte?
Credo io al contrario che se tu dovessi mai trovarti di fronte Orlando,
avresti timore di lui dalla testa alla pianta dei piedi;
non vorresti l’elmo, ma daresti a lui
tutte le altre armi che hai addosso, a patto di non dover combattere.”
44
Lo spaccone Spagnolo disse: “Già molte altre
volte, ed altre ancora, ho messo alle strette Orlando così
che avrei potuto facilmente togliergli le sue armi,
tutte quelle che aveva indosso, non soltanto l’elmetto;
e se io non lo feci, è perché vengono alla mente alle volte
propositi che uno non immagina neanche di poter avere:
non ebbi, allora, voglia di sottrargli le armi; ora invece ne ho, e spero
che possa riuscire facilmente nell’intento.”
45
Orlando non riuscì più a mostrarsi paziente
e gridò quindi: “Bugiardo, brutto traditore,
in quale paese, e quando, ti sei trovato
ad essere più forte di me con le armi in mano?
Quel paladino, alle cui spalle ti stai vantando,
che pensi essere lontano da te, sono io.
Ora potrai vedere se tu effettivamente puoi levarmi l’elmo dalla tesa,
o se sono invece io in grado di toglierti tutte le altre armi.
46
Non voglio neanche trovarmi, rispetto a te, in condizione di vantaggio.”
Detto così, si tolse l’elmo
e lo appese ad un ramoscello di faggio;
impugnando saldamente, allo stesso tempo, la propria spada.
Ferraù non perse per questo coraggio:
trasse la spada e si raccolse in posizione,
così da poter, con la spada e con lo scudo levato in aria,
coprire il proprio capo nudo.
47
Così i due cavalieri cominciarono,
muovendo in cerchio i propri cavalli, a fare volteggi;
e dove le placche dell’armatura si congiungevano, e mostravano parti
prive di ferro, ognuno, con la propria spada, cercava di ferire l’altro.
In tutto il mondo, non poteva essere trovata una altra coppia di cavalieri
adatta ad affrontarsi in duello più di questa:
erano eguali per forza e per coraggio;
nessuno dei due poteva ferire l’altro.
48
Cardinale Ippolito, sono sicuro abbiate già compreso
che Ferraù era completamente invulnerabile, grazie ad un incantesimo,
ad eccezione dell’ombelico, là dove il suo primo alimento
prende il bambino ancora rinchiuso all’interno del ventre materno:
e dal giorno in cui la terra nera del sepolcro
gli coprì la faccia, iniziò a coprire con armatura
il punto del suo corpo dove poteva arrivare il pericolo, sempre
con sette piastre di acciaio di buona fattura e ben temprate.
49
Allo stesso modo anche Orlando
era completamente invulnerabile, ad eccezione di una parte del corpo:
poteva essere ferito sotto le piante dei piedi;
le difese perciò con ogni possibile stratagemma ed artificio.
Ogni altra parte del loro copro era più dura del diamante
(se la loro fama non si discosta dalla realtà);
e l’uno e l’altro andavano, più come ornamento
che per reale necessità, alle loro battaglie totalmente armati.
50
Lo scontro tra i due rivali diviene più crudele ed aspro,
orribile e spaventoso a vedersi.
Ferraù ora colpisce di punta ed ora di taglio,
e non sferra colpo che non vada a segno:
ogni colpo di Orlando che incontra piastra o maglia dell’armatura di Ferraù
o la stacca o la rompe e la apre o la riduce in brandelli.
Angelica, invisibile, si concentra su di loro,
unica testimone di un tale spettacolo.
51
Nel frattempo, infatti, Sacripante, credendo
che poco oltre stesse correndo Angelica,
dopo che Ferraù ed Orlando in combattimento
vide confrontarsi, proseguì per quella via
lungo la quale credeva che la donzella, quando
era scomparsa alla loro vista, avesse proseguito la propria corsa:
così che appunto, di quella battaglia,
Angelica fu la sola testimone.
52
Dopo che, orribile e spaventoso quanto era,
ebbe, stando in disparte, ammirato a sufficienza il combattimento,
e che le sembrò troppo pericoloso
sia per l’uno che per l’altro dei contendenti;
desiderosa di vedere cose nuove,
decise di prendere lei l’elmo, per poter osservare cosa
avrebbero fatto quindi i due guerrieri vedendo che era stato rubato;
lo prese benché con l’intenzione di non tenerlo per molto tempo.
53
Ha infatti intenzione di ridarlo poi ad Orlando;
ma vuole prima prendersi gioco di lui.
Stacca l’elmo dal ramo e se lo pone in grembo,
e sta quindi a guardare ancora un po’ i due cavalieri.
Infine si allontana senza dire loro una sola parola;
ed era già un bel po’ lontana da quel luogo,
quando uno dei due si rese conto della sua azione:
tanto erano entrambi presi dall’ira ardente.
54
Ferraù, che per primo aveva visto che l’elmo non c’era più,
si staccò da Orlando e gli disse:
“Deh, come ci ha trattati da sciocchi e da stupidi
il cavaliere che era prima insieme a noi!
Che premio sarà mai toccato al vincitore,
se costui ha rubato il bel elmo da noi conteso?”
Orlando si ritrae e gira lo sguardo verso il ramo:
non vede il suo elmo ed inizia ad accendersi d’ira.
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Con l’ipotesi di Ferraù si trovò concorde,
che il cavaliere, Sacripante, che poco prima era insieme a loro,
avesse portato l’elmo con sé; strattonò pertanto le briglie
e fece sentire i propri speroni a Brigliadoro.
Ferraù, che dal campo di battaglia vide Orlando allontanarsi,
corse dietro di lui; e dopo essere giunti
dove, nell’erba, apparvero recenti le impronte
fatte da Sacripante e da Angelica,
56
il conte Orlando prese la strada sulla sinistra che
conduceva ad una valle, ove Sacripante era andato:
Ferraù si tenne invece nei pressi del monte,
lungo il sentiero battuto da Angelica.
Nel frattempo Angelica era giunta ad una fonte,
ricca di ombra e situata in un luogo piacevole,
che invita chiunque passi a riposare presso le proprie fresche ombre,
e non lo lascia mai ripartire senza avergli prima offerto da bere.
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Angelica si ferma presso le acque cristalline della fonte,
pensando che nessuno possa sopraggiungere sorprendendola;
grazie al potere dell’anello magico, che la rende invisibile,
non può neanche temere che le possa capitare qualcosa di pericoloso.
Appena giunta presso le rive erbose
del torrente, appende l’elmo ad un ramoscello;
cerca quindi, là dove, all’interno del bosco, ci sono gli alberi più robusti,
di legare la propria cavalla, così che possa pascolare e rifocillarsi.
58
Il cavaliere spagnolo, Ferraù, che aveva proceduto
seguendo le orme di Angelica, giunse infine alla fonte.
Angelica, non appena lo vede,
subito scompare alla sua vista e sprona alla corsa la propria cavalla.
Non può però riprendere con sé l’elmo, caduto sull’erba,
perché da lei troppo distante.
Non appena il pagano si accorse della presenza di Angelica,
subito corse verso di lei pieno di felicità.
59
Parve a Ferraù, come ho raccontato, Angelica davanti a sé,
di vederla scomparire come una visione al termine del sonno.
La cerca all’interno del bosco,
ma i suoi poveri occhi non possono ormai più vederla.
Bestemmiando il nome di Maometto e Trivigante,
e di ogni altra autorità della loro religione,
Ferraù ritornò quindi verso la fonte,
vicino alla quale, giaceva in mezzo all’erba l’elmo del conte Orlando.
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Lo riconobbe, subito dopo averlo visto,
grazie alla scritta presente sul suo bordo;
la quale diceva chiaramente dove Orlando l’aveva conquistato,
ed anche come e quando ed a chi l’aveva sottratto.
Ferraù lo calza subito a protezione del proprio capo e del collo,
non lasciò quindi che il doloroso amore gli impedisse di prenderlo;
il doloroso amore che provava per colei che era scomparsa nel nulla,
come svanire sono soliti fare i fantasmi notturni.
61
Dopo aver allacciato l’elmo di ottima fattura che si era messo in testa,
si sembra che, per essere pienamente soddisfatto,
gli resta ora solo di ritrovare Angelica,
che appariva e scompariva dalla sua vista come fosse una saetta.
Esplorò la profonda foresta alla ricerca di lei:
dopo aver perso ogni speranza
di poter ritrovare le sue traccia,
ritornò all’accampamento spagnolo, verso Parigi;
62
cercando di attenuare il dolore che gli ardeva nel petto,
dolore per non avere potuto soddisfare un così grande desiderio,
con il conforto di portare in testa l’elmo
che era appartenuto ad Orlando, così come aveva giurato.
Il conte Orlando, dopo avere ricevuto notizia certa sulla sorte dell’elmo,
cercò poi per molto tempo Ferraù;
ma non riuscì a togliergli dal capo l’elmo fino al giorno
in cui lo uccise tra due ponti.
63
Angelica, invisibile e solitaria,
se ne va via, ma con espressione che mostra turbamento;
si duole per le sorti dell’elmo, che per la troppa fretta
aveva dovuto abbandonare presso la fonte.
“Per aver voluto fare ciò che a me non sarebbe spettato fare
(diceva tra sé), ho tolto al conte l’elmo:
ciò, per quanto lui meriti, è proprio una bella ricompensa
per tutto ciò che a lui devo.
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Con buone intenzioni (lo sa solo Dio),
sebbene il risultato dell’azione è stato triste e diverso da quanto atteso,
mi sono impossessata dell’elmo: e l’unica mia intenzione
era di condurre quel combattimento ad una tregua;
e non che, con me come tramite, quel brutto spagnolo
potesse raggiungere il suo suo scopo.”
In questo modo Angelica si lamentava con sé stessa
per avere privato Orlando del proprio elmo.
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Malcontenta e sdegnata prese quindi la via
che le sembrava potesse essere la migliore per raggiungere l’Oriente.
A volte procedette mantenendosi invisibile, altre visibile,
a seconda di cosa era opportuno, tra la gente che incontrava.
Dopo aver visto molte cose in molti paesi,
giunse infine in un bosco, dove,
tra due compagni morti, incontrò un giovane (Medoro)
ferito con crudeltà in mezzo al petto.
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Ma racconterò di Angelica più avanti;
perché molte cose devo prima narrarvi:
e né a Ferraù né a Sacripante,
per un bel po’, potrò dedicare versi.
Distoglie la mia attenzione da loro Orlando,
perché di sé vuole che, prima degli altri, narri
le fatiche e le pene che dovette sostenere a causa del grande
desiderio di possedere Angelica, desiderio che non giunse mai ad una fine.
67
Alla prima città che incontra
(essendo molta l’intenzione di poter procedere senza essere riconosciuto)
pone sulla propria testa un nuovo elmo privo di cimiero,
senza badare al fatto che fosse o meno debitamente temprato:
fosse in un modo o nell’altro, avrebbe potuto poco giovare o nuocere;
tanto confida nell’incantesimo che lo rende invulnerabile.
Così coperto in testa, procede nella ricerca:
non lo ferma né la notte né il giorno, né la pioggia e neppure il sole.
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Era giunta l’alba, ora in cui Febo conduce i cavalli
fuori dal mare, con il pelo bagnato,
e l’Aurora sparge tutt’intorno nel cielo
fiori rossi e gialli;
e le stelle terminano le proprie danze in cielo,
e si sono già coperte con un velo per scomparire alla vista:
quando, passando un giorno nei pressi di Parigi,
Orlando diede prova del proprio valore.
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Due schiere di soldati si erano unite:
ne comandava una Manilardo, l’arabo calvo,
re di Norizia, un tempo molto valoroso e tenace,
ora più utile per ottenere un consiglio che per ottenere man forte;
comandava l’altra, sotto le proprie insegne,
il re di Tlemsen, stimato come
cavaliere perfetto dal popolo africano:
il suo nome era Alzirdo.
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Questi ultimi, insieme all’altro esercito pagano,
durante quella stagione invernale, avevano soggiornato
alcuni nei pressi di Parigi, altri più lontano,
tutti nelle ville e nei castelli presenti nei dintorni della città:
avendo infatti il re Agramante speso invano
più di un giorno, nel tentativo di espugnare Parigi,
alla fine volle tentare la via dell’assedio,
dato che non esistevano altri modi per poterne entrare in possesso.
71
Per riuscire nell’intento, aveva chiamato un numero enorme di soldati;
oltre infatti a coloro che erano arrivati con lui,
ed a coloro che dalla Spagna avevano seguito
le insegne regali del re Marsilio,
molti altri soldati aveva assoldato in Francia;
avendo assoggettato tutta la Francia da Parigi fino alle rive del fiume
Rodano, con in aggiunta buona parte della Guascogna
(ad eccezione di alcune poche roccaforti).
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Cominciando ora gli agitati ruscelli
a sciogliere il freddo ghiaccio in tiepide onde,
ed i prati a rivestirsi con erbe appena cresciute, e gli arbusti
a rivestirsi con rami adornati da foglie delicate;
il re Agamante radunò tutti quelli
che avevano seguito le sue sorti, sino a quel momento favorevoli,
per poter passare in rassegna il proprio esercito armato;
e poterne quindi organizzare un migliore assetto.
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A tale scopo il re di Tlemsen
era lì giunto, insieme a quello di Norizia,
per poter arrivare in tempo in quel luogo dove venne poi considerato
ogni squadrone come amico, se presente, o nemico, se assente.
Per puro caso Orlando venne a trovarsi
(come vi ho prima detto) in quel gruppo di persone,
mentre continuava a cercare, come era ormai solito fare, la donna
che l’aveva fatto prigioniero d’amore.
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Non appena Alzirdo vide avvicinarsi quel conte, Orlando,
che per valore non aveva pari in tutto il mondo,
con un tale aspetto esteriore, con magnifici lineamenti del viso,
che il dio della guerra, Marte, sarebbe sembrato inferiore a lui;
rimase stupito dei suoi lineamenti vigorosi,
del suo sguardo fiero, del suo aspetto pieno d’ira violenta:
lo cosiderò un guerriere di immenso valore;
ma ebbe però troppo desiderio di metterlo alla prova.
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Alzirdo era troppo giovane, presuntuoso
della propria grande forza, ed apprezzato per il grande coraggio.
Per duellare con Orlando spinse in avanti il proprio cavallo,
sarebbe stato meglio per lui se si fosse tenuto nella schiera dei suoi;
poichè, nello scontro, il principe Orlando
lo fece cadere da cavallo con il cuore trafitto.
Pieno di paura il destriero di Alzirdo fuggì,
senza avere nessuno a tenergli il freno.
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Si levo subito un grido orrendo,
che risonò forte per tutta l’aria,
non appena il giovane vide, cadendo,
fuoriuscie il sangue da quella ferita tanto estesa.
Il numeroso gruppo di guerrieri si avvicinò agitato al conte,
in modo scomposto, colpendolo con il taglio e la punta della spada;
ma sono molti di più quelli che con le frecce
colpiscono ripetutamente il migliore tra tutti i vigorosi cavalieri.
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Con il rumore con cui un branco di porci selvatici
è solito, talora, correre per i monti o per le campagne,
quando un lupo uscito da una tana nascosta,
od un orso sceso dalle montagne più basse,
abbia catturato un piccolo e tenero porco,
che si lamenta, con grugniti e suoni acuti;
con lo stesso frastuono si era mossa la schiera barbarica
verso Orlando, gridando: “Addosso, addosso!”
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Lance, frecce e spade impattarono contro l’armatura,
mille alla volta, lo scudo fu colpito altrettante volte:
c’è chi gli percuote la schiena con una mazza,
chi lo minaccia da un fianco, chi frontalmente.
Ma Orlando, che non lasciò mai spazio in sé alla paura,
valuta la codarda schiera e le sue tante armi,
non più di quello che un lupo, entrato a notte fonda in una mandria,
valuti essere il numero di agnelli che ha di fronte.
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Estratta dalla fodera, aveva ora in mano quella fulminea spada
che aveva condannato a morte così tanti saraceni:
quindi, chi volesse tenere il conto di quanti cavalieri fece cadere morti,
avrebbe da compiere una impresa dura e difficile.
La strada, rossa per il sangue che vi scorreva,
era appena sufficiente per contenere tutti quei corpi morti;
perché né scudo né elmo potevano proteggere
dalla fatata Durindana, dove essa si abbatteva,
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non potevano niente nemmeno vestiti imbottiti di cotone, o turbanti
posti a circondare il capo con mille avvolgimenti.
Non solo gemiti e lamenti volano per l’aria,
ma anche braccia, spalle e teste separate dal corpo.
La Morte crudele procede senza meta attraverso tutto il campo,
facendo proprie molte e diverse persone, tutti con volti atroci;
tra sé dice: “Nelle mani di Orlando, vale
la spada Durindana come cento delle mie falci.”
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Orlando infligge colpi uno dopo l’altro, senza sosta.
Immediatamente incominciarono tutti a scappare;
e mentre prima erano giunti con il desiderio di fare presto
(poiché era solo e credevano di poterlo mangiare in un solo boccone),
non c’è ora chi, per sottrarsi dalla situazione critica,
aspetti il proprio amico, e cerchi di andarsene insieme a lui:
chi fugge a piedi da una parte, chi sprona il cavallo per una altra via;
nessuno si cura troppo di scegliere la propria strada.
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Il Valore se ne andava in giro con lo specchio
che va vedere ogni imperfezione dell’anima, con la coscienza:
nessuno ci si specchiò, ad eccezione di un vecchio,
al quale l’età avanzata aveva asciugato il sangue e non il coraggio.
Costui vide nello specchio quanto il morire fosse assai meglio
del mettersi in fuga, disonorando sé stessi:
sto parlando del re di Norizia (re Manilardo); perciò
posizionò la propria lancia per attaccare il paladino di Francia.
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E la ruppe contro il bordo superiore dello scudo
del fiero conte, che incassò il colpo senza muoversi minimamente.
Orlando, che aveva pronta la propria spada,
colpì re Manilardo mentre gli passava di fianco.
La fortuna lo aiutò; perché la spada
di Orlando, nell’abbattersi su Manilardo, si voltò, colpendo di piatto:
sferrare colpi di taglio non è sempre possibile;
ma lo fece comunque stramazzare al suolo.
84
Stordito per il colpo ricevuto, il re venne disarcionato e stramazzò:
Orlando non si volta indietro per guardalo nuovamente;
ma gli altri taglia, spezza, straccia ed uccide;
a tutti, terrorizzati, sembra di averlo alle proprie spalle.
Così come nell’aria, dove hanno un così grande spazio disponibile,
fuggono gli storni dall’audace smeriglio (falco),
allo stesso modo i cavalieri di quello squadrone ormai sconfitto,
alcuni cadono a terra, altri fuggono, altri ancora si nascondono.
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La sanguinosa spada non cessò di abbattersi,
fino a quando il campo di battaglia non fu privo di persone ancora in vita.
Orlando hai un dubbio sul riprendere la strada intrapresa,
benché tutta la Francia sia a lui nota.
Sia che vada a destra, sia che proceda a sinistra,
la sua mente è sempre lontana dal sentiero intrapreso:
ha sempre timore di cercare Angelica ovunque, tranne dove lei possa
essere, e di intraprendere sempre una via che lo allontani da lei.
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Mantenne il proprio cammino (chiedendo spesso notizie di lei)
ora per campi ed ora attraverso foreste:
e così come era uscito fuori di sé,
uscì poi anche di strada; giunse quindi ai piedi di un monte,
dove, di notte, da una apertura nella roccia,
vide in lontananza volare in cielo una luce intensa.
Orlando si accosta al sasso per vedere
se in quella fessura si fosse nascosta Angelica.
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Come in un bosco di basso ginepro,
o tra la stoppia in aperta campagna,
quando si è alla ricerca della paurosa lepre,
passando per solchi che ostacolano il cammino e per vie poco sicure,
si va ad ogni cespuglio, ad ogni arbusto spinoso,
per verificare se per caso si sia nascosta proprio lì;
allo stesso modo Orlando andava cercando, con gran dolore,
la donna amata in ogni luogo dove la speranza di trovarla lo spingeva.
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Il conte Orlando, procedendo di tutta fretta verso quel raggio di luce,
giunse nel punto dal quale lo stesso si diffondeva per tutta la foresta,
attraverso una stretta fessura ricavata nel monte,
che nasconde dentro di sé una grotta molto ampia e capiente;
e davanti all’ingresso principale trova
spine e giovani piante, come mura e fossati di protezione,
per nascondere coloro che si trovavano nella grotta,
da chi avesse cercato di fare loro danno o offesa.
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Di giorno, in pieno sole, non sarebbe stato possibile trovarla,
ma il raggio di luce la rendeva invece di notte ben visibile.
Orlando si fa subito una idea di quello che avrebbe potuto essere;
vuole quindi meglio accertarsi della presenza di Angelica all’interno.
Dopo avere legato Brigliadoro,
in silenzio si avvicina alla grotta nascosta:
e, muovendosi tra i folti rami, entra quindi
nell’apertura, senza farsi annunciare da nessuno.
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Scende per molti gradini all’interno della grotta,
dove gente ancora viva stava imprigionata.
L’interno della caverna era non poco spazioso,
inciso, con la punta degli scalpelli, a forma di volta;
non totalmente privo di luce del sole,
sebbene l’entrata non ne potesse concedere molta;
ne poteva infatti entrare a sufficienza da una finestra,
che, sul lato destro, si apriva stringendosi verso l’esterno.
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Al centro della caverna, nei presso di un fuoco,
si trovava una giovane donna con un viso piacevole;
doveva avere da poco passato i quindi anni,
a quanto riuscì a stimare il conte dopo un primo sguardo:
ed era tanto bella da fare sembrare
un paradiso quel luogo selvatico;
benché avesse gli occhi completamente bagnati dalle lacrime,
segnali evidenti del dolore che provava nel suo cuore.
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C’era anche una donna anziana; era in corso tra di loro una disputa accesa
(come avviene solitamente tra le donne),
ma non appena il conte Orlando scese all’interno dell grotta,
finì la disputa e le donne rimasero in silenzio.
Orlando le salutò in modo cortese
(come si deve sempre fare con le donne),
loro si alzarono prontamente,
e lo salutarono anch’esse in modo cortese.
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Ed è comunque vero che assunsero anche un’espressione alquanto turbata,
non appena udirono improvvisamente quella voce,
e, contemporaneamente, videro entrare là dentro
un uomo tanto fiero armato di tutto punto.
Orlando chiese loro chi fosse quella persona tanto
scortese, ingiusta, selvaggia e crudele,
che potesse tenere imprigionata nella grotta
una donna con un viso tanto gentile ed amoroso.
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La vergine riuscì a fatica a rispondergli,
essendo interrotta da impetuosi singhiozzi,
che dalle rosse labbra, simili a coralli, e dai bianchi denti, simili a preziose
perle, fanno uscire spezzettate le sue dolci parole.
Le sue lacrime scendevano dalle guance fiorite
fino alla bocca, dove capita che se ne possa inghiottire qualcuna.
Vi possa fare piacere seguire il resto della storia nel prossimo canto,
Ippolito, perché è ormai tempo di finire questo canto.