Parafrasi canto 29 (XXIX) del poema Orlando Furioso

Parafrasi del Canto 29 (XXIX) del poema Orlando Furioso – Ariosto racconta alcune delle folli gesta compiute da Orlando. Il furioso paladino incontra in Spagna anche Medoro ed Angelica ed è solo grazie all’anello incantato che la donna riesce a fuggirgli. La sua follia si sfogherà sulla cavalla di lei.

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Il saraceno, Rodomonte, aveva pensato
che, per il fatto di correre spesso il rischio di cadere
nel fiume dal ponticello a testa bassa,
del quale avrebbe dovuto bere molta acqua,
dell’errore, al quale lo condusse l’avere bevuto troppo vino,
dovesse rimanere purifcato;
come se l’acqua potesse estinguere, così come estingue la forza del vino,
l’errore che a causa del vino o la mano o la lungua hanno provocato.

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Nel giro di pochi giorni molti cavalieri giunsero a quel ponte:
alcuni furono lì condotti dalla via diretta intrapresa,
poiché, per quelli che andavano verso l’Italia o la Spagna,
non vi era altra via che fosse più battuta;
ad altri il coraggio temerario, e, più caro della vita stessa,
l’onore, li spinse a dare lì prova di sé.
E tutti, là dove credevano di poter acquistare la palma della vittoria,
lasciavano invece le proprie armi, e molti insieme anche la propria anima.

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Di quelli che uccideva, se erano pagani,
si accontentava di avere le loro armature ed armi;
e di coloro a quali prima appartenevano, i nomi a chiare lettere
vi faceva sopra incidere, per poi appenderle ai marmi del sepolcro:
tratteneva invece in prigione tutti i cristiani sconfitti;
e credo che poi li mandasse ad Algieri.
Non era ancora finita la sua opera di costruzione, quando
giunse in quel posto il pazzo Orlando.

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Per puro caso il furioso conte Orlando venne
a capitare sulle rive di questo grande fiume,
dove, come vi ho raccontato, Rodomonte
faceva procedere in fretta i lavori, ma non era ancora finita la costruzione
della torre, né del sepolcro, ed a malapena quella del ponte:
con tutte le proprie armi, ad eccezione del proprio elmo,
il pagano si trovò armato di tutto punto, in quell’ora
in cui Orlando sopraggiunse al fiume e quindi al ponte.
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Orlando (spinto dal proprio furore)
salta la sbarra che ne vietava l’ingresso e si mette a correre lungo il ponte.
Rodomonte, con espressione preoccupata,
a piedi, così come si trovava dinnanzi alla grande torre,
da lontano gli urla contro e lo minaccia,
senza degnarsi di opporsi a lui con la propria spada:
“Curioso villano, ferma i tuoi piedi,
imprudente, fastidioso ed arrogante!

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Solo per signori e cavalieri è stato costruito
il ponte, non per te, bestia balorda.”
Orlando, che era distratto da un profondo pensiero,
venne comunque avanti, rimanendo sordo alle parole di Rodomonte.
“Bisogna che io punisca questo matto.”
disse il pagano; ed avanzò con il forte desiderio
di farlo precipitare giù tra le onde del fiume,
non pesando di poter trovare chi gli possa rendere conto.

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In quel momento una gentile donzella,
per passare sopra al ponte, arriva a quel fiume,
adornata in modo molto elegante e bella in viso,
e dall’aspetto convenientemente poco appariscente.
Era (se vi ricordate, Cardinale Ippolito) colei
che andava da ogni parte cercando
tracce di Brandimarte, da lei amato,
tranne che dove lui effettivamente si trovava, a Parigi.

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Nel momento in cui giunse al ponte Fiordiligi
(così era chiamata la donzella),
Orlando si azzuffò con Rodomonte,
che lo voleva gettare nel fiume.
La donna, che conosceva molto bene il conte Orlando,
subito lo riconobbe senza possibilità di errore:
e rimase fortemente meravigliata,
per la follia che lo agitava, nudo, a quel modo.

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Si fermò quindi ad osservare quale esito potesse avere
il furore di quei due uomini tanto potenti.
Per fare l’uno cadere dal ponte l’altro
sono completamente occupati a metterci tutta la propria forza.
“Come è possibile che un pazzo abbia tanta forza?”
dice a sè stesso, tra i denti, il fiero pagano;
e da una parte e dall’altra si piega e si gira,
pieno di indignazione e di superbia e di ira.

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Con l’una e l’altra mano va cercando
di fare una nuova presa, dove crede che possa portagli vantaggio;
ora tra le gambe ed ora a lato, qualora,
con artificio, al destro e qualora al piede sinistro.
Rodomonte stretto intorno ad Orlando somiglia
allo stolto orso che crede di poter sradicare
l’albero dal quale è appena caduto; e come se potesse avere
quello ogni colpa, nutre odio e rabbia nei suoi confronti.

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Orlando, che il proprio ingegno aveva completamente dimenticato,
io non so dove, ed usava quindi la sola propria forza fisica,
una forza tanto eccezionale per la quale, in utto l’universo,
nessuno o pochissimi altri potevano essere a lui paragonati,
si lasciò cadere rovesciato all’indietro dal ponte
con il pagano a lui abbracciato, così come in quel momento si trovava.
Cadono nel fiume ed entrambi vanno a fondo:
un’onda d’acqua schizza in aria e la costa stride.

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L’acqua li fece subito staccare l’uno dall’altro.
Orlando è nudo, senza impedimenti, e nuota come fosse un pesce:
slancia le braccia da una parte ed i piedi dall’altra,
e giunge a riva; e non appena esce fuori dall’acqua,
inizia a correre, fugge, senza soffermarsi a considerare
se ciò gli procuri più critica o lode.
Al contrario il pagano, che aveva i movimenti impediti dalle armi,
tornò a riva più lentamente e con più affanno.

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Senza pericoli alcuni, Fiordiligi nel frattempo
aveva passato il ponte e quindi il fiume;
e dopo avere controllato da ogni parte del sepolcro,
se vi erano tracce del suo amato Brandimarte,
poiché non vede né le sue armi né la sua sopravveste,
spera di poterlo ritrovare da una altra parte.
Ma torniamo a parlare del conte,
che nella folle corsa lascia alle spalle e la torre e il fiume e il ponte.

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Sarebbe una pazzia, se le follie di Orlando
promettessi di raccontarvi tutte una ad una;
poiché furono tante e tante ancora, che io non saprei quando
finirei di raccontarle; andrò invece a sceglierne qualcuna
memorabile e degna di essere raccontata in versi,
e che mi sembrerà meglio adatta al racconto;
non eviterò di raccontare quella follia incredibile,
che accadde sui Pirenei sopra Tolosa.

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Il conte aveva percorso molta della Francia,
da quando fu spinto dal suo grave furore;
ed alla fine capitò sopra quel monte, i Pirenei,
grazie al quale il Francese viene separato dallo Spagnolo di Tarragona;
tenendo sempre la propria fronte rivolta
verso occidente, là dove tramonta il sole:
e là giunse in un stretto sentiero,
che correva lungo il ciglio di una profonda valle.

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Si incontrarono con lui al varco
due giovani boscaioli, che dinnanzi a loro
avevano un asino carico di legna;
e poiché ebbero subito evidente, guardandone l’aspetto,
che Orlando aveva la testa priva di cervello sano,
gli gridarono con voce minacciosa
di andarsene o indietro o da parte,
e che si levasse da in mezzo alla strada.

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Orlando non risponde in altro modo a quanto è stato detto,
se non tirando con violenza un calcio,
che giunge preciso sul petto dell’asino
con una forza che ha poche eguali;
e vola in alto l’asino, così in alto da sembrare un uccellino
che voli in cielo a chi lo osserva.
L’animale va a ricadere sulla cima di un colle,
che innalza la propria vetta un miglio al di sopra della valle.

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Quindi si lancia con violenza contro i due giovani,
uno dei quali, più che avere saggezza, ebbe fortuna,
in quanto da quel luogo scosceso, che per due volte trenta
braccia scendeva ripidamente, si gettò per paura.
A metà del percorso trovò una molle e cedevole
boscaglia fatta di rovi e di verdura,
che si limitò a graffiargli un poco il viso:
per quanto riguarda il resto lo fece allontanare libero ed indenne.

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L’altro boscaiolo si attacca invece ad una sporgenza che usciva
fuori dalla roccia, con l’obiettivo di salirci sopra;
in quanto spera, dovesse riuscire a raggiungere la cima,
di trovare una via che lo metta al sicuro dal pazzo.
Ma quello, Orlando (che non vuole che il boscaiolo rimanga in vita),
lo afferra per i piedi, mentra sta accingendosi a salire:
e quanto più può allargare le proprie braccia,
le spalanca, tanto da lacerare in due pezzi il boscaiolo;

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allo stesso modo in cui vediamo talora
qualcuno fare con un airone, o fare con un pollo,
quando vuole che con le calde interiora
rimanga saziato un falcone o un astore.
Quanto fu fortunato a non morire
quell’altro che corse il rischio di spezzarsi il collo!
Che ad altri raccontò poi questo suo miracolo,
così che ne venne a conoscenza anche Turpino e per noi lo scrisse.

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Queste cose, ed altre tanto incredibili,
fece attraversando la montagna.
Dopo molto girovagare, alla fine discese,
verso mezzogiorno, nella terra di Spagna;
ed intraprende il cammino lungo il mare
che bagna la spiaggia intorno a Tarragona:
e come vuole la follia che lo governa,
pensa di costruirsi un rifugio in quella sabbia,

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nel quale potersi riparare un poco dal sole;
quindi si caccia sotto quella sabbia, mista a terra, fine ed arida.
Stando così, soppraggiunse per caso lì dove lui si trovava,
la bella Angelica insieme a suo marito Medoro,
che erano (così come vi ho in precedenza raccontato)
scesi dai monti Pirenei fino al litorare della Spagna.
Ella si avvicinò a lui a meno di un braccio di distanza,
non essendosi ancora accorta di lui.

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Che quella persona fosse Orlando, non le passa nemmeno per la testa:
è troppo diverso da colui che era solito essere.
Da quando la follia si impadronì di lui,
è sempre andato in giro nudo, sia all’ombra che al sole:
se fosse nato nell’assolata Assuan,
o là dove i Garamanti venerano il dio Ammone,
o presso ai monti, della luna, dai quali il grande Nilo sgorga,
la sua carne non sarebbe stata più bruciacchiata di quanto lo era adesso.

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Aveva gli occhi quasi nascosti nella testa, tanto erano rientrati,
la faccia smagrita ed asciutta quasi quanto un osso,
la chioma arruffata, squallida ed irta,
la barba folta, spaventosa e spiacevole.
Angelica non fu più veloce a vederlo,
di quanto lo fu a tornare indietro, tremando tutta:
tremando tutta, e riempiendo il cielo di grida,
si volse chiedendo aiuto verso la sua guida, Medoro.

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Non appena lo stolto Orlando si accorse di lei,
per trattenerla si alzò di botto:
tanto gli piacque il volto delicato di Angelica,
tanto ne divenne immediatamente ghiotto.
Di averla lungamente amata e riverita,
ogni ricordo era in lui guasto e ridotto in pezzi.
Le corre dietro, e si comporta
come si comporterebbe il cane per rincorrere la preda.

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Il giovane Medoro, vedendo quel pazzo inseguire
la sua donna, gli getta il proprio cavallo addosso,
e contemporaneamente lo percuote e lo colpisce,
non appena vede che gli costui gli volta le spalle.
Crede di potergli staccare la testa dal busto:
ma trova invece una pelle dura come osso,
anzi, molto più dell’acciaio; poiché Orlando era nato
invulnerabile per incantesimo..

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Come Orlando si sentì colpire alle spalle,
si girò, nel girarsi strinse il pungo
e con una forza che supera ogni possibile misura,
colpì il destriero che il saraceno aveva spinto innanzi.
Lo colpì al capo, e come se fosse stato di vetro,
lo spezzò, così che quel cavallo uccise:
e si voltò nuovamente, nel medesimo istante,
verso colei che gli fuggiva dinnanzi.

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Angelica spinge in tutta fretta la propria cavalla,
e con frusta e con speroni la colpisce ripetutamente;
poiché le sembrerebbe lenta, per il proprio bisogno di fuggire,
anche se volasse più veloce della freccia scagliata dall’arco.
Si ricorda poi che l’anello che porta al dito
può salvarla, e se lo getta quindi in bocca:
e l’anello, che non perde i suoi poteri magici,
la fa sparire così come con un soffio fa sparire il lume.

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Fosse stata la paura, o l’aver assunto
una posizione tanto scomposta nel maneggiare l’anello,
oppure il fatto che la cavalla fosse caduta a terra,
io non posso affermare né l’una né l’altra ipotesi;
nello stesso momento in cui si gettò
l’anello in bocca e nascose alla vista il proprio bel viso,
sollevò le gambe in aria, cadde dall’arcione
e si trovò riversa sulla sabbia.

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Fosse stato quella caduta anche più corta di due dita,
sarebbe rimasta avviluppata con il matto,
che nell’urto le avrebbe tolto la vita;
ma una grande fortuna l’aiutò in quella circostanza.
Cerchi ora pure, Angelica, con un’altro furto di ottenere l’aiuto
di una altra bestia, come già aveva prima fatto;
perché non sarà per riavere questa cavalla
che si metterà ancora a correre sulla sabbia dinanzi al paladino.

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Non dubitate ora che lei riesca
a provvedere a sé stessa; seguiamo quindi le vicende di Orlando,
nel quale non cessa la rabbia e l’impeto
per il fatto che Angelica si tenga a lui nascosta.
Insegue la cavalla di lei lungo la nuda spiaggia,
e le si avvicina sempre di più:
riesce a toccarla, ed ecco che l’afferra per la criniera,
quindi per il freno, ed alla fine riesce a trattenerla.

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Il paladino la afferra esultando tanto quanto
un’altro avrebbe fatto prendendo invece una ragazza:
le sistema le redini e la briglia,
spicca un salto e si va a mettere in sella;
la spinge al galoppo per molte miglia,
senza concederle riposo, ora da questa ed ora da un’altra parte:
non le toglie mai né la sella né il freno,
mai le lascia assaporare né l’erba e né il fieno.

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Voledosi cacciare dall’altra parte di un fossato,
finisce a gambe all’aria con la cavalla.
L’incidente non nuoce a lui, né lui sentì il colpo;
ma la povera cavalla, urtando il fondo del fossato, si sloga una spalla.
Orlando non riesce a trovare un modo per tirarla fuori dal fossato,
alla fine se la mette in spalla
e ritorna su, e procede con tutto quel carico sulle spalle
per una distanza superiore a tre tiri d’arco.

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Sentendo poi che quel peso gli gravava troppo,
pose in terra la cavalla con l’inenzione di condurla per la briglia.
La bestia lo seguiva zoppicando e con passo lento;
diceva Orlando: “Cammina!” ma lo diceva inutilmente.
Fosse stata anche in grado di seguirlo al galoppo,
non sarebbe stato comunque abbastanza per il destriero di un pazzo.
Alla fine le levò dal capo la cavezza,
e la legò, dietro di sé, sopra al piede destro;

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e così prosegue il proprio cammino trascinandola, e per confortarla
le dice che così potrà seguirlo con un maggiore agio.
Le levano il pelo e le asportano la pelle
i sassi che incontra lungo quel difficile cammino.
La bestià, così malamente trascinata, morì
finalmente per lo strazio ed il disagio.
Orlando non pensa a lei e non la guarda nemmeno,
procede di fretta senza rallentare il cammino.

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Non smise di trascinarsela dietro sebbene fosse ormai morta,
continuando il proprio veloce viaggio verso occidente;
saccheggia continuamente ville e case,
quando sente di aver bisogno di cibo;
sia frutti che carne che pane, per ingozzarsi,
ruba agli altri; ed usa anche la forza contro le persone:
qualcuna la lascia morta, altre le lascia storpie;
per poco tempo si ferma, procede continuamente oltre.

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Avrebbe agito allo stesso modo, o poco meno,
con la sua donna, se non si fosse nascosta alla sua vista;
poiché non era in grado di distinguere il bianco dal nero,
e credeva di fare del bene, facendo in relatà del male.
Sia maledetto quell’anello magico ed anche
il cavaliere, Ruggiero, che a lei lo aveva donato!
Poiché se non fosse stato per quell’anello, Orlando avrebbe
potuto vendicare sé stesso ed altri mille in un solo colpo.

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Non solo lei, ma avessoro potuto stare
tra le mani di Orlando anche tutte quelle che ci sono al giorno d’oggi;
poiché tutte, allo stesso modo di Angelica, non mostrano gratitudine,
né si può trovare in loro traccia di bontà.
Ma prima che le corde, rallentate dal dolore,
possano emettere un suono stonato con quanto stò cantando,
farò meglio a rimandare ad altra occasione questa narrazione,
così che il racconto possa risultare meno noioso a chi lo ascolta.